mercoledì, dicembre 29, 2010

L'Oroscopone tirolese di fine anno



Ventata di novità per il tradizionale Oroscopone di fine anno : illustriamo il segno zodiacale PADRONE del 2011!

2011 - anno del Brezel

(leggere accompagnati da una piacevole melodia tirolese)

Siete un tipo di pane molto popolare in Svizzera in Germania e tra le altre popolazioni di lingua teutonica compreso l'Alto Adige, ma quest'anno non avrete confini culinari, sarete l'esaltazione globalizzata e poliglotta di ogni palato. A seconda delle regioni, venite chiamato anche laugenbrezel, pretzel, pretzl, breze o brezn. A Monaco di Baviera i nati sotto il segno del Brezel, accompagnano i ricchi piatti di carne insieme alla senape; quelli della prima decade del segno, saranno soliti accompagnarsi con il Weibwurst...fortunelli!

Venite preparati ancora secondo il tradizionale metodo di panificazione detto Laugengeback. In Germania indica il pane che, prima della cottura, viene immerso per qualche secondo in una soluzione bollente di acqua e bicarbonato di sodio : tutta salute per voi, che da anni siete abituati. La situazione non cambierà, non temete, brontoloni abitudinari! L'entrata di Giove nella casa del Brezel comporterà solo dei bruschi appuntamenti al buio nel forno.

Anche nel 2011 manterrete la forma di un anello con le due estremità annodate...Gnum, siete deliziosi!

I vostri ingredienti sono e rimarranno farina di grano tenero, malto, lievito di birra e acqua, oltre al bicarbonato di sodio. In alcune regioni viene aggiunto al vostro già ben messo costrutto anche lo strutto (scusate il gioco di parole piccoli amici infarinati) o utilizzata farina integrale, di farro o di altri cereali. Sulla glassatura di uovo sbattuto viene spolverato del sale grosso oppure dei semi di sesamo. Già l'acquolina in bocca? Per il 2011 sono previste gustose novità! Brezel agli smarties, Brezel allo squaqquerone, Brezel alla merda (solo nella prestigiosa osteria di vico dietro il coro di san Cosimo), Brezel al Pikachu, Brezel agli ovuli sodi.

I fornai esperti eseguono un movimento veloce per dare a voi brezel in meno di un secondo la vostra forma caratteristica. Generalmente ci vogliono anni di esercizio per accorciare i tempi di questo movimento, ma i risultati sono stupefacenti : i nati sotto il segno dell' omino di marzapane anche nel 2011 non potranno competere con voi.

Per i Kaiser nati sotto il segno del Brezel, conferma degli anni passati : acchiapperete ancora un mucchio di pagnotte, tartarughe, rosette, ciabatte, e nessun filone; siete veramente i must di ogni panetteria.

Per i nati sotto il segno dei Caballeros non rimane che un augurio : che tutte lE appartenenti alla costellazione del Brezel siano clementi con voi!

Hasta la iPiroga siempre...e Buon Anno!

ergonomia del verbo

"La vuoi ancora una fetta?"
E mentre nella tua mente formuli "No" te la ritrovi già nel piatto: questo è un Nso.

Lo Sni è molto più complesso.
Ci sono un sacco di cose bellissime in uno Sni, soprattutto le persone. Le persone che stanno nelle parole sono sempre più belle di quelle che le pronunciano.

Insomma, c'è un motivo se l'insulto ha un gusto nell'essere evocato, un senso catartico di uguaglianza. Un ritrovamento, una logica, un "ecco!", si operano quando nella nostra mente l'insulto rispecchia perfettamente la persona cui lo lanciamo. Dopotutto, l'amore non è molto diverso.

Ma torniamo allo Sni.
Chi non ha mai perso, parlando, il filo del discorso e poi cercando con lo sguardo le parole non trova che gli occhi del suo interlocutore?
E cosa pronunciano quegli occhi, se non "Sni"?

In uno Sni ci sono tutte le gradazioni di grigio tra il potrei ma non voglio ed il vorrei ma non posso.
In un Nso c'è la parte noiosa della variabile, l'immobilità delle cose mutevoli.
Il sì ed il no? Quelli sono utili e basta.

venerdì, dicembre 17, 2010

NON SPERATE!

Non è un caso che si cominci con un "Non".

Non è un caso che rendimento, sentimento e pentimento siano misteriosamente assonanti.
Tutti sono migliorabili, ma tendono all'impossibile.

Provate voi, ad avere un sentimento unitario.
Non crediate che pentirvi genericamente porti ad un'unica sensazione di espiazione. Ogni colpa ha il suo pentimento. Forse pentirsi così come si dice "mi pento" non basta, come non basta essere genericamente trascinati dal sentimento, bisogna essere specifici.

Non sperate, perché è la speranza a credere in voi.

giovedì, dicembre 09, 2010

Capitolo 13) Pensieri e Parole

"P-però, bel placcaggio"
Ecco, di nuovo quella maledetta balbuzie.
Non so neanche come mi sia venuto in mente di rivolgere parola a questo simpatico ometto;una pescheria, tra l’altro, non è nemmeno un luogo adatto per le presentazioni.

E invece sì che lo sai, non mentire Oscar, lui ti ha salvato la vita. Nessuno ti ha mai salvato la vita prima d’ora. E’ una sensazione strana, devi ammetterlo.

"Piacere, io sono Oscar, p-piacere di conoscerti. Lo so cosa pensi, so cosa pensano tutti, giù in p-paese: no, io non sono uno fuori di testa, uno svitato, e la balbuzie mi viene solo quando sono emozionato; sei stato in gamba con quel p-polpo, mi piacerebbe lavorassimo insieme"

Il postino esita un attimo, forse è muto: ebbene sì, ho incontrato l’unico postino muto del mondo. Poi all’improvviso la sua smorfia si tramuta in un ampio sorriso alla Julia Roberts, e io già immagino la scritta Calippo sopra la porta d’ingresso che si tramuta in “Calippo e soci” o “Calippo and friends” come Pavarotti.

"Piacere, mi chiamo Sebastiano, e mi piacerebbe ascoltare quello che hai da dirmi, se davvero si tratta di lavoro".

Pausa, applausi, cambio scena.

*

“Piacere, io sono Oscar”

La prostituta mi guarda stupita, evidentemente nessun cliente le si era mai presentato. Quantomeno non la mattina dopo. Ma io ho deciso di fare le cose per bene.

“Senti schizzato – e già una prostituta che dice schizzato perde in credibilità – portami fuori da sto centro sociale, c’è puzza di bestie”.

La mia risposta indignata non si fa attendere : “la legge non disapprova che due persone si accordino per fare sesso, la legge disapprova che due persone si accordino per fare sesso in cambio di denaro” , recito agitando il dito indice nella sua direzione.

Ovviamente noi non avevamo fatto sesso, né in cambio di denaro né senza. L’avevo speso meglio, quel denaro; ho affittato Veronique per l’intera serata, e poi l’ho portata qui al Noir, uno dei pochi centri-giovani rimasti in Friuli, in modo che mi facesse fare bella figura con gli amici (quali amici?), e per conquistarla, come se non fosse una volgare battona, sempre seguendo il mio proposito di fare le cose per bene. C’è stata una grande festa ieri sera, pieno di gente, tutto bellissimo. Peccato soltanto che, una volta entrati, io abbia rivisto Veronique solo questa mattina.

“Hai dormito con un altro uomo, questa notte, non è vero?” – la predica è appena cominciata, ma Veronique, di cui il nome unico rimasuglio delle sue decantate origini parigine, non ci sta a farsele cantare.

“Sei il peggior cliente che io abbia mai avuto, e ti assicuro che di gente strana ne ho vista." - mentre parla si passa la lingua sulle labbra in continuazione, ma ormai io voglio solo moralizzarla, la sua magia nera non ha più nessun effetto su di me.

"Ma almeno quelli erano davvero clienti, e a una cert’ora si addormentavano, oppure fedifraghi tornavano dalle loro mogli strisciando" - è meglio che adesso lasci sfogare Veronique, in fondo ne ha passate tante : mi ha raccontato non senza un certo trasporto di essere orfana, e che appena nata una suora l'aveva trovata sul sagrato di Notre Dame avvolta in uno scialle.

"E invece tu? Hai denigrato la mia professionalità: almeno una bottarella, eddai, non si fa così. Io comunque so’ di Ostia, altro che Parigi. E mi chiamo Lorenza”.

Cinebrivido.

“Pentitiiiii” – urlo correndole dietro, svegliando tutti i reduci della sera prima, in parte anche sinceramente divertito per aver offeso la dignità della finta parigina, con la mia decisione di non abusare di lei.

Dieci minuti dopo sono già diretto verso l’ufficio, fischiettando Battisti e Cremonini; in un ritardo esagerato rispetto all’orario concordato con Sebastiano, ma notevolmente in anticipo rispetto al mio programma, che per stamattina prevedeva colazione in camera con Veronique-Lorenza. L’abitudine di farsi dei bei programmini dovrebbe essere abolita nel mondo occidentale.

Mentre salgo le scale, telefono al mio collega Scalise, per sondare il suo livello di malumore giornaliero, ma il cellulare squilla sorprendentemente a vuoto. E, poco dopo, trovando aperta la porta dello studio, mi rendo conto che per stamattina le soprese non sono ancora finite : la figlia del proprietario del bar all’angolo, Manuela, è seduta nel mio ufficio, e ha l’aria di aspettare proprio me.

Sorrido e le faccio un cenno di saluto : certo, non è Veronique-Lorenza, ma almeno non la prenderà a male se non mi calerò subito giù le braghe.

I suoi occhi verde smeraldo mi ricordano Sebastiano : davvero un peccato che io venga subito tramortito con un colpo alla nuca, prima di poter elaborare altre brillanti riflessioni.

mercoledì, dicembre 08, 2010

intimissimi

Tutte le volte che il mondo ha più ragione di me, respiro più profondo che posso.
C'era qualche personaggio di un telefilm che metteva in una scatolina della mente tutte le cose che lo disturbavano.
Tutte le volte che il mondo ha più ragione di me respiro per ricordare che ne faccio parte anche io.
Tutt

"Cosa ne dici? Pensavo di metterci ancora un paio di cose sull'inverno e poi di intitolarlo "intimissimi".Allora, che te ne pare?"

Ma Filippo non mi ascolta, o forse non può.
Guarda lontano mentre riprendo il discorso.

sabato, dicembre 04, 2010

il malato immaginato

a Jean Baptiste Poquelin piace questo elemento

Il suo diario: una vita che
volevo; vederlo, entrare nella sua vita e forse, poi, annegarvi.
Come un uomo che esce da un caffè e dice:
"Che bella nuotata!"
. Il completamento del proprio ruolo sociale è, come una barzellettà. La fine di un'iterazione, la calibrazione della propria immagine pubblica.

Un pò come tutti gli uomini sono affascinato dalla deduzione, anche se sostengo di averne fatto uso solo quando funziona. Nella categoria "interessi" non ho dubbi: Film Disney, Basil l'investigatopo, donne.

Sono un animale sociale.
Vivo in un condominio, sono un personaggio da una storia e via ma, inaspettatamente, sul pianerottolo lo trovo.
Un libricino, un moleskine forse, un diario dei cartoni animati col lucchetto di plastica, una risma di fogli pinzati un.

Un Diario.

Il suo diario: dimenticato forse ma, gioia e gaudio, diario. Pensiero di carta e ancora la parola: diario.
Di chi? Non importa: lo apro.
Se abita in questo condominio capirò, saprò, mi troverò: sono un uomo, sono nato per essere in cerca di: donne. Ho scelto cacciatore ma sono raccoglitore di: diari.
Ed eccone uno. DI qualcuno, che sicuramente mi conosce. Che parla di me. AH! Diario.

Sono conosciuto, nel condominio come nel quartiere: figuro sicuramente tra queste pagine.
Da qualche parte sono sicuro di esserci nascosto anche io; io io io fondamentalmente, sonoramente, inconfutabilmente IO, in quel diario.
Nel pensiero di chi mi conosce ci sono: io.
Non sono un pazzo o un maniaco, un ritrovatore - sono io.

Chiamatemi Ismaele: è il diario di una donna. E' già qualcosa ma non tutto. Io, devo, ancora, trovarmi.
Perdonate se, sono un pò, difficile. Io non tengo diari, li cerco solamente. E, questo, è il mio pensiero. Destrutturato, ricombinato il meglio possibile per essere leggibile. Quando è ordinato il pensiero rischia di essere un. Diario. Io no, non tengo diari. Vi cerco me stesso, LI leggo.

Siete nella mente di un uomo ma, questo, è molto, diverso da un diario.
Eccomi, ci sono, anche io! Il pazzo del quarto piano. Eccolo.
E' commovente non è vero?
Parolano di me.

Ritrovarsi non nelle parole ma negli scritti altrui.
La carta è molto più sincera: le parole non sempre conoscono il pensiero che le genera.

Il pensiero ha un'impaginazione. Tutta diversa da quella cui siamo abituati. Non ci si riferisce a sè stessi con la stessa sincerità con cui le mani battono la tastiera,

stringono il cappio o il calamaio. E come mai più, Pasolini diceva che; scrivere è inutile?

L'impaginazione delle mentalità è; diversa
ogni volta.
La punteggiatura delle
profondità della mente: UN MISTERO;

Charlie Brown voleva essere chiamato Saetta e invece no: buon vecchio Charlie Brown.

venerdì, dicembre 03, 2010

Il mio nome è Merlo;

so a che cosa state pensando, state pensando che non è un nome allegro.
Conosco la vostra propensione per la leggerezza.
Quando saprete qualcosa di più sulla mia vita e sul mio lavoro vi renderete conto che è un nome che mi si addice; uno di quei rari casi in cui il nome scelto da bambino corrisponde alla persona che lo porta.

Gli antichi, saggiamente, usavano aggiungere qualcosa al nome, che descrivesse chi lo portava, come ad esempio Ludovico il Pio; altre volte il nome era completamente sostituito da un soprannome, come quel pittore, il Sodoma.
Oggi il soprannome è caduto in disuso, si preferisce usare i titoli, come quel politico, il cavaliere. Con una rassicurante perdita dei connotati più strettamente valutativi.

Sono convinto che sarebbe più opportuno decidere il nome al momento della morte; solo così la scelta potrebbe essere equilibrata.
Il giudizio complessivo non lo si può dare prima della nascita, a meno che tu non sia un determinista convinto con particolari doti di chiaroveggenza, né a metà della vita; questa è opinione universalmente riconosciuta. Non capisco perché il nome, che ha una portata così ampiamente descrittiva, non debba andare a vantaggio dei posteri che lo conosceranno. Ci vorrebbero due nomi, uno provvisorio, anche un numero, e uno da scegliere alla morte, anche poco rispettoso.
Però dove lavoro io la situazione è confusa, si ragiona essenzialmente per numeri e posti, a tutto vantaggio delle canaglie; e per praticità del personale amministrativo.

Io li chiamo per nome; quello che avevano da vivi, sempre meglio del numero; nessuno si è mai lamentato.
Quando al mattino respiro l' odore di terra bagnata, e si distingue ancora la luce tremolante dei lumini, rinnovo la mia promessa:

Good Morning, Vietnam.
Vi garantisco l' eterno riposo,
perseguo i reati contro la pietà dei defunti.
Voi che ancora vivete non disturbate
chi riposa in pace.
Il mio nome è Merlo
sono un agente della polizia mortuaria. A vostra completa disposizione.

Il mio lavoro mi piace. Non è un lavoro molto conosciuto, non è ben pagato, nessun moccioso lo vorrebbe fare da grande.
A volte percepisco qualche extra, quando mi scambiano per becchino; è importante per me avere delle gratificazioni: il lavoro è la mia vita.
Lavoro qui, il mio ufficio è circondato da alberi, marmi pregiati e ascolto il silenzio.
Il mio lavoro è la mia vita e sono contento di non stare dietro ad un computer.

Voi che vivete non avete idea di quanti problemi abbiano i morti.
Come Marzio, del campo F: l' amante che buttava via i fiori della moglie, la moglie quelli dell' amante. Le ho multate e mi sono tenuto i soldi.

Ah, il campo F. Proprio vicino alla parete dei loculi 1200-1300.
Lei riposa, nel suo cantuccio un po' defilato, sulla destra in basso. Non le faccio mai mancare un fiore al mattino e la buonanotte la sera.
Mi piace raccontarle che faccio questo lavoro per lei.
E' una balla.

mercoledì, dicembre 01, 2010

Capitolo 12) Sliding Doors

E’ uno di quei momenti in cui preferirei essere da un’altra parte; anche in una situazione oggettivamente peggiore, come portare fuori il cane per il suo bisognino durante il temporale, e senza ombrello. Ho paura di non essere all’altezza del momento, e ho tutto il tempo di convincermene : il corridoio che mi separa dal mio amico sembra non finire mai.

La critica che mi viene mossa più spesso è di non fermarmi ad analizzare la situazione, di non chiedermi mai : “c’è un modo migliore per affrontare il problema che ho davanti?"

Eppure la mia professoressa di matematica del liceo me lo ripeteva sempre : “Non passare dalla finestra, quando puoi usufruire della porta, Scalise”.

“Porta o finestra quello che mi attende all’interno è comunque un quattro in pagella signora, allora preferisco allontanare il momento”.

Meritavo anche oggi un votaccio? Mi ero fidato troppo del mio istinto. Se tutta questa storia del messaggio segreto fosse stata una trappola del vero assassino? Quella è gente che non scherza, e, mentre mi si formula il pensiero, sento già un accenno di tremolio alle gambe. L’aveva davvero nascosto Oscar quel messaggio o lo spietato killer del mistero poteva averlo costretto con la forza, con le minacce, con i ricatti?

Come potevo non essermelo chiesto prima, quando ero ancora al sicuro in Friuli, a girare per i boschi a piedi nudi.

All’improvviso il corridoio finisce : la stanza è molto grande e luminosa; tre grandi finestroni occupano la parete ovest, lasciando entrare una luce calda e surreale. Oscar è solo, ma circondato da decine di manichini, alcuni vestiti di tutto punto, altri completamente spogli; riconosco Capitan Uncino, e al suo fianco ci sono Marylin Monroe e Amleto, entrambi con le braccia aperte, in modo tale che sembri che stiano discutendo animatamente; più indietro ci sono Darth Fener - lo riconosco dal casco - e quattro soggetti che in un'altra vita devono aver impersonificato i quattro moschettieri : anche se il tempo passa per tutti, mi posso sentire al sicuro con loro. Alla destra di Oscar c'è un manichino vestito da principessa, e uno al naturale che sembra in procinto di abbracciare il primo. Riflettendoci, quel pervertito si è sicuramente divertito un mondo a metterli tutti in queste strambe posizioni.

Mentre incrocio lo sguardo del mio amico, penso che vorrei subito abbracciarlo, chiedergli in che razza di posto ci troviamo, e poi portarlo fuori; invece resto ipnotizzato dallo sfuggevole riflesso dei miei occhi verdi nei suoi. Dura un solo istante, ma è come se fosse un’eternità.

*

“Ciao signor cane, ciao b-bello, vuoi giocare eh? Dimmi, vuoi giocare?”

“Rolly, stai lontano dal barbone, non farmi pentire di averti portato a fare un giretto”.

In effetti, questo sabato mattina mi sono vestito un po’ raffazzonato, ma non c’è limite alla maleducazione della gente. Sarà questo maglione sgualcito? O è colpa dei miei blu jeans un po’ troppo strappati? Eppure vanno di moda così, di questi tempi.

Chi voglio prendere in giro? Il punto è che tutti in questo paese, oramai, mi conoscono per quello che non sono, o che sono solo in parte.

Entro in pescheria, confidando che almeno il pescivendolo non dica ai merluzzi di stare lontani dal barbone. C’è molta gente, e il dettaglio mi infastidisce. Perbacco! Mi gioco i pantaloni che quel tizio lì davanti che parla con Mario, il pescivendolo più chiacchierone di Osoppo, è un impiegato comunale, o magari delle poste : ha un’aria così infelice che non può occuparsi di altro, persino i becchini hanno una postura più dignitosa.

“FERMI TUTTI, QUESTA E’ UNA RAPINA”

Una rapina in una pescheria? Evidentemente in giro c’è gente più strana di me.

sabato, novembre 27, 2010

dove ci siamo già visti? bevi qualcosa? becciamo?

Ultimamente quando vado in un posto con della musica ad alto volume capita che mi trovi a parlare con delle altre persone.
Il fatto che gli ambienti di aggregazione giovanile abbiano un volume che impedisce la comunicazione verbale dovrebbe dare da pensare a tutti quelli che non hanno ancora imboccato la via dello Scarabeo a livelli agonistici.

Se proprio si vuole è comunque possibile parlare.
C'è questa cosa fastidiosissima che l'uomo sia un animale sociale.
Il punto è che per riuscire a capire quello che mi viene detto finisco sempre per concentrarmi sul labiale.

La cosa mi conferisce una spiacevole aria da maniaco.
Questo mi fa pensare al fatto che il sistema sia controllato: non si parla ai maniaci ed agli sconosciuti, ogni sconosciuto è un potenziale maniaco; ogni maniaco viene disconosciuto, una volta riconosciuto come tale.

L'errore è mio: la conversazione accidentale è l'equivalente della sigaretta di quello che ha gli amici sempre in ritardo.

Annuisci e accenditene un' altra, bambola.

domenica, novembre 21, 2010

Capitolo 11) Spin Off

"Tu non ci crederai, ma ora sono assolutamente certo che quella macchina ci stia seguendo".
Deborah digrigna i denti ed emette un mugolio decisamente infastidito.
"E' la quinta volta che ne sei assolutamente certo, e poi puntualmente l'auto piena zeppa di cattivi in questione ci supera" - e, mentre mi sminuisce, ho la sensazione che parli solo perchè proprio non può esimersi dal farlo.

La portiera si apre e il mio piede sinistro tocca l'asfalto bollente : in quel contatto percepisco di essere già più vicino alla verità.
Io ho visto troppi film.
I miei pensieri viaggiano a ruota libera, e dal vortice esce un'immagine della mia vecchia vita : un uomo vecchissimo in doppiopetto e bombetta che, una mattina allo sportello delle poste, si era congedato da me in modo decisamente singolare : "E si ricordi giovine, più si sente puzza di sterco e più si è vicini alla verità".
Aveva appena pagato il canone Rai.

La California.
Deborah alterna momenti di profonda inquietudine ad altri di grande spensieratezza; in questo momento sta giocando a fare la diva del cinema, perchè "è il nome del posto che lo richiede", e rimane ferma in posa a fare smorfie, finchè io non fingo di farle una foto.
Non mi ha fatto altre domande durante il resto del tragitto, e questo mi è parso molto strano; se io venissi sequestrato dal mio ex-fidanzato, probabilmente mi sarei già buttato in corsa giù dalla Toyota Corolla. E avrei portato le sue sigarette con me.
Come se non bastasse, non sono folgorato da nessuna idea migliore di girare a vuoto nella piazza di questo assurdo paesino, e, proprio mentre credo che alla prossima finta foto potrei soffocare, vedo l'insegna che sto cercando.

Polpo di Genio - trattoria e wine bar (specialità marinare)

Entro marciando a passo deciso.
Il locale è piuttosto buio, sicchè i miei occhi impiegano qualche istante ad abituarsi alla nuova condizione; metto a fuoco gli avventori, e mi stupisco che ci sia qualcuno, considerando l'ora insolita per rinchiudersi in una trattoria sperduta nel mezzo della Toscana.
Ci sono solo il barista e un cliente, relegato nell'angolo più buio del locale, e solo parzialmente visibile; nessuno dei due mi rivolge parola, nonostante il mio ingresso affannato. Il barista è un ometto piccolo e insignificante, uno di quelli che nei film italiani di serie B farebbero i tassisti terroni trapiantati a Milano, che per sbarcare il lunario si improvvisano anche dog-sitter, o qualcosa di peggio. Ha i baffi, ma non la barba, ed è pelato come un melone lucente; ma, soprattutto, non ha affatto l'aria di sapere il fatto suo, caratteristica essenziale per essere un barista credibile.

Dell'altro uomo, invece, mi colpiscono gli occhi spenti, ed eppure visibili nella penombra causata da un grande tendone impolverato; il volto sembra severo ma sincero; è quello di un uomo che ha osservato svariate categorie di suoi simili mentire, e che dunque ha appreso alla perfezione questa nobile arte, ma che ha deliberatamente scelto di non usufruirne mai. Quasi mai.
La fermezza del braccio, indirizzato ma non disteso verso il bicchiere sul tavolo; la compostezza della mano, il controllo del proprio animo inquieto.
Forse, a giudicare dal mantello in cui pare avvolto e dalla diffidenza con cui lo osserva il barista, è lui stesso un forestiero.
"Le offro un altro giro, signor Merlo?" - il pelato sembrerebbe in giornata di buona, peccato dover essere proprio io a guastargli la festa.
Non mi faccio pregare.
"Servirà dopo da bere al signor Merlo; io sono qui per parlare con il signor Oscar, e se lei non lo conosce o se egli non si trova qui, le porgo le mie sincere scuse in anticipo".

Quello che accade dopo è una sequenza di eventi in rapida successione, ancora oggi poco lucidi nei miei ricordi, e tendenti a fondersi insieme, a causa dell'eccitazione da apprendista detective : il Melone Lucente che dapprima fissa impietrito il bancone e che poi scosta il tendone polveroso indicandomi un corridoio segreto - un corridoio segreto come nei film! - l'avventore che esce dal locale senza proferire parola, lasciando una scia di profumo di crisantemi; la mia totale noncuranza nei confronti di Deborah, non badando se fosse entrata anche lei nel locale o meno; la stralunata visione di Oscar, chiuso in una stanzetta in fondo al corridoio dei misteri.

Non ti fidare Sebastiano, possibile che per una volta una ciambella ti riesca con il buco?
Sta per accadere qualcosa di brutto.

sabato, novembre 20, 2010

limiti del protagonismo

Se tutti pisciassimo nella doccia risparmieremmo l'acqua dello sciacquone.
Se tutti pisciassimo nella doccia ognuno avrebbe il dubbio di pisciarsi in testa, ma la fiducia nella tecnologia è un altro discorso.
Se tutti pisciassimo nella doccia forse, forse, salveremmo il pianeta.
SE.
Se il pianeta avesse, effettivamente, bisogno di essere salvato.

Se tutti pagassimo il biglietto dell'autobus avremmo trasporti pubblici migliori.
Se tutti richiedessimo lo scontrino?
Se nessuno guardasse film scaricati o in streaming?
Se comprassimo la musica?
Mi sembra una bestemmia, mi sembra di negare un dato di fatto suggerendo di comprarla, mi sembra di avere il diritto di ascoltare la sana, libera, artistica musica rubata.

Io credo che la vita sociale sia per ipotesi un gran casino.
Matteo, intendo l'evangelista, ha scritto:
"Perché stai a guardare la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo?"
Già, perché?
Prendiamo la mafia. A me la mafia non ha mai fatto niente, nel senso che non sono mai stato minacciato personalmente nella mia integrità fisica, economica o sociale da un ente criminale organizzato.
Però sono contro la mafia.
Però sono anche contro chi piscia nelle docce e contro chi mi fa osservare che io sono un ladro.
Insomma, sono contro un sacco di cose tranne che contro me stesso.
Io ho ragione o meglio, la ragione, che io incarno, ha ragione.

Se vuoi salvare la terra, perché credi che vada salvata, pisciati addosso o nella doccia, fa lo stesso.
Se vuoi salvare il paese, perché credi che vada salvato, e credi che sia colpa solo dei politici, dei mafiosi e dei politici mafiosi allora paga il biglietto, le tasse, non guidare in stato di ebbrezza, non fare uso di sostanze dichiarate illegali, leggi le leggi e vivi secondo la via che la nostra società democratica ha eletto come via della ragione.
Se ti stanno sul cazzo gli scrittori che utilizzano le parole corsivate, non farti troppi scrupoli ad usarne.

Se credi che la colpa per qualunque cosa sia dei sopraelencati, o di altri, ma anche tua allora comincia a togliere la trave che è nel tuo occhio, e poi penseremo alle travi degli altri. Perché il giudizio per se stessi della propria coscienza è un giudizio puro, adimensionale e crudele. Che non fa distinzione per la grandezza della pagliuzza o della trave ma che identifica solo la responsabilità o la sua mancanza.

SE.

Se tutti pisciassimo nella doccia non è detto che il mondo, come non è detto che abbia bisogno di essere salvato, si salverebbe. Ma di sicuro qualcosa cambierebbe.
Ad esempio smetteremmo di coltivare gli asparagi.
Se qualcuno pisciasse nella doccia gli effetti ci sarebbero comunque, magari solo più lievi.
Se tu pisciassi nella doccia, per salvare la terra o per sbaglio, non credere che il tuo gesto si perda nel numero, perché di sicuro saranno in due a riconoscerne l'esistenza: te stesso e chi fa la doccia dopo.

Volevo tirare in ballo Saviano e Frank Serpico, ma non ci sono riuscito.
Siamo la generazione che ha reso ogni cosa sociale, che ha fatto diventare le discoteche divertenti con un fotografo (e risolvendo così anche la crisi dei fotografi introdotta dalle fotocamere) e la possibilità di riconoscersi per poter dire "io c'ero".
Abbiamo a disposizione una rete autoreferenziale del villaggio globale con i suoi scemi, appunto, del villaggio, ed ognuno può scrivere il poema epico di sé stesso, anche se non è un eroe.

Solieri ha detto che la gente va negli stadi solo per cantare Alba Chiara e Salieri fu apprezzato, al tempo, più di Mozart stesso.
Che cosa voglio dire?
Non lo so: forse che siamo i capitani di domani.

venerdì, novembre 12, 2010

Matteo si rivela

EDITIO EXTRAORDINARIA
-O&L Ora et labora magazine-

Assiso su una poltrona è intento a mangiare un caco; neanche mi nota quando entro nella hall della clinica di lusso nella quale si è sottoposto ad una pulizia del colon.

Eccolo li', il divo, assorto nei suoi sogni di gloria e di potenza; mi avevano avvertito che non sarebbe stato facile intervistarlo, nel viaggio mi ero gingillato sulla possibilità di essere trattato malamente, tale eventualità' prese la forma della certezza quando si accorse di me.

“Se è vero che il nostro corpo è il nostro ufficio anche lei dovrebbe sottoporsi ad uno di questi trattamenti”

Mi anticipa fin dalla prima battuta su quello che potrebbe essere disdicevole per la sua immagine. Una pulizia del colon, mi ha consigliato una pulizia del colon. Bastardo. E' evidente che vuole provocarmi; deve essere stata quella checca del suo agente a convincerlo a concedere un' intervista: ora lui non ne ha voglia, o vuole fare un dispetto al suo assistente per poi avere un pretesto per licenziarlo; o forse tutte e due le cose e qualcos altro certamente più abominevole e che ora mi sfugge.

Cari amici di “Ora et labora”, esistono molti modi di fare un intervista. Io ho sempre cercato di rivelare l' anima del mio interlocutore, anche se nera;
(a questo punto le vostre mutande dovrebbero essere già bagnate di quel liquido giallo col quale amate inumidire i bordi della tazza del gabinetto, la tavoletta e il pavimento circostante)
Chi non ha mai sentito dire che i cattivi sono più intriganti?
Cazzate.
Se vi capita di sentirlo dire ancora voi rispondete con un nome:

Matteo.

Se volete immaginare un colore per la sua anima pensate al vomito.

Avevo voglia di fuggire, ma quegli occhi, cari amici di Ora et labora, dovete credermi: hanno qualcosa di magnetico; mi sentivo il protagonista di cuore di tenebra, libro che voi purtroppo non avete letto perché messo all' indice, ma
eccolo lì, il mio Kurz, il suo mistero, la trama fitta della giungla, le teste mozzate, il sangue, il verso di un animale quando non te lo aspetti, proprio dietro di te, il brivido freddo lungo la schiena.
In quell' istante la vidi, amici di Ora et labora, la macchia nell' occhio, voi non crederete, il segno del maligno: nel medioevo per una cosa simile ti avrebbero ucciso. Desiderai di essere sbalzato da qualche buco nero o contingenza planetaria nel medioevo, come molti di voi, del resto, cari amici di Ora et labora.
Non dissi niente. Aspettai; gli occhi fissi nei suoi. Mi dava fastidio l' idea di vincolarmi a lui, sia pure per un tête à tête di un quarto d' ora; avevo paura per la mia anima, voi capite, cari amici di Ora et labora. Ma volevo vedere.

“Io adoro i cachi; su di essi ho una teoria ma se lei preferisce potrà considerarla una metafora: i cachi sono come le persone, succhi la parte dolce e sputi il resto...”

Immaginai Virgilio mentre scaglia la manciata di terra nelle fauci del Minotauro, cercai un pugno di terra e non lo trovai. Certe cose al Liceo non te le insegnano. Rimasi in silenzio.

“Sto parlando del caco, della sua passività indiscussa, della sua dolcezza che lo rende suo malgrado una preda prelibata... è una teoria. Sappia fin da ora che se non sarà di mio gradimento io non autorizzerò la sua intervista. Assaggia e sputa quello che non va giù, è la mia teoria”.

“Io dunque sarei un caco”, parlai senza pensare, e in effetti non c' era nulla di logico nella mia osservazione. Ma, cari amici di Ora et labora, in verità era proprio quello che voleva sentirmi dire; Matteo ha un suo modo per farti arrivare alle cose, non è logica, è influsso malefico, ispirazione nefasta.

“Se preferisce può considerarsi un altro tipo di frutto, a sua discrezione”

Continua a mangiare, truculento; ho sentito dire che fra le scimmie capita che vi sia qualche episodio di cannibalismo. Ci avevo pensato, si, ma prima di veder mangiare Matteo non avevo mai afferrato la vera essenza del cannibalismo, per dirla con le parole di Kurz morente, l' orrore... l' orrore... l' orrore...

“Dicevamo... (spocchioso)... ah certo i cachi, si...”

E' il momento di cominciare. Se state leggendo siete ancora in tempo per buttare il settimanale cattolico che avete fra le mani, vi mando la mia personale indulgenza. “Ha conosciuto solo cachi nella sua vita?” Il suo fastidio è palpabile, sta pensando a quel qualcosa di peggio.

“No, anche qualcosa di peggio”, sputa, il caco gli cola dalle labbra carnose; è barbuto quel tanto che basta per dare il via a delle disgustose coreografie. Cari amici di Ora et labora, se voi foste stati con me ora avreste molto più che il semplice sospetto che la scimmia SIA un nostro antenato.

“Che cosa trasforma il caco in qualcosa di peggio?”

“La debolezza, un male multiforme. Da essa derivano altruismo e ottimismo, se malauguratamente questi due figliano rischia di nascere uno spirito puro... l' altruismo, non c' è niente di più vile di un atto di altruismo... Ma, ora, lei mi ha fatto una domanda molto generale e giustamente pretenderà di avere una risposta generale... Direi la virtu', chiaro sintomo di superstizione; una regola di vita eccessivamente sopravvalutata”

“Anche lei ha paura”

“Si, temo il fallimento, temo che persone più stupide di me arrivino più in alto; questo è il mio credo, prenda appunti: non sperare nella vittoria ma fai in modo che gli altri non vincano.
Prenda Napoleone, sa cosa l' ha fregato, il fatto di voler vincere, se si fosse limitato a perseguire la sconfitta degli altri oggi noi parleremmo francese e avremmo periferie piene di negri”

“Scheletri nell' armadio?”

“Così ci perdiamo, il mio armadio è un cimitero. Pero' posso dirle un piccolo segreto che in qualche modo va ricollegato a quanto stavamo dicendo... posto su facebook le foto dei miei amici quando vengono brutti: far perdere gli altri, non vincere, è una regola di successo”

“Il suo motto...”
Si piega leggermente sulla poltrona. Ha finito il caco ma continua a tenere il cucchiaino in mano, lo muove ritmicamente, come un maestro d' orchestra, cerca l' ispirazione; inserisce il cucchiaino nella fogna, lo estrae, mostra l' arcata di denti superiore, forse sorride e finalmente parla. I suoi canini non sono particolarmente sviluppati.

“Barcamenarsi in questo mare magnum che è la vita ottenendo i massimi vantaggi col minimo dello sforzo... in fondo non siamo che vasi d' argilla... per la verità alcuni più furbi di altri... io non lavo i piatti, mi limito a sciacquarli...”

“Ma se qualcuno mangia in quei piatti rischia di avere un gran mal di pancia”

“Vede, di mal di pancia non è mai morto nessuno, io invece sento che di fatica potrei morire. Non sono un lavativo, per fatica io intendo: fare qualcosa che non mi dà vantaggio; ecco, io a fare una cosa che non mi da vantaggio ci potrei anche morire.” Esprimendo quest' ultimo concetto cambia tono di voce, più sottile e acuto; sembra il lamento frustrato di un sonnambulo. Si riprende e continua. “Mi considero un filosofo della vita, uno che ha metodo nelle cose e non perde tempo, il tempo è denaro, il denaro è successo. Ho sentito da qualche parte che il denaro è una bella ragazza. Che ti sta accanto una notte e te la devi godere finchè puoi... ma il denaro è molto di più, è potere, lusso, soddisfazione e anche una bella ragazza...”

“Lei è uno che dura?”

“Eh?”

“Le do un aiuto, a Vienna, qualche anno fa lei ha dichiarato: ora mi porto una troia in camera, in albergo, e ci do tutto il giorno”

“Ora ricordo, avevo circa dodici anni, da allora non si è mai lamentata nessuna”

“E con la ragazza di Vienna poi come è andata?”

“La pianti con questa fabbrica del fango”

“E' omosessuale?”

“Non l' ho ancora dichiarato”

“I tre oggetti a cui non potrebbe rinunciare”

“I post it sui quali annotare i miei crediti, anzi debiti degli altri suona meglio, la gazza al mattino, lo sopino per il cesso”

“Quante volte va in bagno in media?”

“Una volta al di', a volte bisso”

“Complimenti”

“Grazie ne vado molto fiero”

“e fa bene. Libro sul comodino?”

“La biografia di Lippi e sport week”

“Fotografie?”

“Io e Lippi alle Cinque Terre”

“Poster, calendari?”

“Megaposter del capitano, statuetta votiva del mister e un calendario di donne nude”

“Ah, avrei pensato che un calendario della juventus; sarebbe stato più nelle sue corde”

“Infatti quello di donne nude me l' hanno regalato”

lunedì, novembre 01, 2010

Capitolo 10) California Dreaming

"Io sono uno di quelli che non resta indifferente di fronte alle cose.
Sono uno che agisce, uno che agisce. Uno che nel bene o nel male fa il primo passo, spesso più lungo della gamba. Non sono un ignavo" - ripeto ad alta voce, ticchettando sul volante con la punta del pollice, e alla fine me ne convinco quasi.
"Meglio un ignavo di un bastardo. Oh, la mia testa..."
Deborah si è svegliata, buongiorno.

Ammetto che avrei invertito i ruoli volentieri, per aver potuto essere io ad addormentarmi nelle gelide brughiere friulane, e poi aprire gli occhi sotto il sole caldo della Toscana.
Un po' di mal di testa è sopportabile a fronte di questo piacevole risveglio; come passare all'improvviso dal bianco e nero alla tv a colori.
Da quanto non lasciavo Osoppo? Pur sforzandomi, non riesco a trovare risposta : una volta che mi sarò lasciato alle spalle questa storia, dovrò fermarmi a riflettere sul binario morto su cui è stata dirottata la mia vita. Magari scrivo pure un libro, una bella autobiografia.

"Ferma la macchina, o chiamo la polizia".
"Siamo già fermi Deb..."
"Non mi chiamare in quel modo! Io per te non sono più Deb nè Debby, e dopo ieri sera direi che sono anche meno, se possibile".
Seguono minuti di silenzio interminabili, la Toyota Corolla riposa a bordo strada, sotto l'ombra di quello che credo sia un platano; non lontano da noi scorgo il cartello marrone che annuncia Livorno.
Mi azzardo ad accendere la radio, ma questo la fa imbestialire.
"Ti rendi conto Sebastiano? - bello scandito SE BA STIA NO, è proprio arrabbiata - questo è sequestro di persona, io ti faccio arrestare; spegni quella cosa, mi hai anche colpita TI RENDI CONTO? Entro stasera avrò un bernoccolo così alto che non riuscirò più a stare seduta in questa auto del Pleistocene".
Una manata secca per spegnere l'autoradio.
Ah, il problema allora è il segno della terribile colluttazione di cui siamo stati protagonisti, chissà cosa diranno i clienti a vederti conciata così; magari chiederanno di essere affidati a qualche collega integra fisicamente.
Mi piacerebbe risponderle così a tono, invece che fornire la solita spiegazione razionale con un finto timbro rassicurante, che, a dirla tutta, non mi riesce neanche così bene.
"Stiamo andando a risolvere questa faccenda; intendo...la faccenda di Manuela, e forse anche di Belene. Ho una pista, e, anche se a dir la verità non è niente di più di un'intuizione, ormai devi fidarti di me, fino in fondo".
Accendo di nuovo la radio, riconosco i timbri scoppiettanti dei Beach Boys : bello.

"Non capisco, perchè mi hai portata con te?" mi chiede Deborah, con un insolito tono a metà tra il rassegnato e lo stravolto.
Ma io non so rispondere a questa domanda.
Perchè la realtà è che ieri notte ho agito di istinto, sotto i fumi residui della grappa, sicuro per un qualche oscuro motivo di avere bisogno di lei l'indomani mattina : ma la mattina sta finendo, e io non so che farmene della ragazza di nome Deborah che sta seduta in camicia da notte sui sedili posteriori della mia Toyota.
"Dobbiamo andare in un paese, e una volta lì cercare un posto con un nome particolare, forse si tratta di un locale".
Criptico al punto giusto. Ora mi dirà che non ho riposto alla sua domanda.
Le donne : ormai per me non hanno più segreti.
"Uff, e quale sarebbe questo nome?" - bofonchia mentre si lega i capelli.
E c'è ancora qualcuno che parla di sesso debole.

Strabuzzo gli occhi, ma le rispondo, stavolta senza fare il misterioso : "in realtà non lo so di preciso, però nel nome deve esserci la parola polpo. Ah, se vuoi, nel bagagliaio c'è una mia camicia e un paio di pantaloni, ovviamente da uomo".
Ma se resti in sottoveste va bene lo stesso, Deb.
"E il paese come si chiama? Vorrei almeno una sigaretta, non dirmi che hai smesso te ne prego".
Lei è decisamente più adatta di me al mestiere di investigatore privato, si capisce dallo spirito di adattamento ai cambiamenti repentini.
Mentre sfilo una sigaretta dal pacchetto morbido di Lucky Strike, e noto la sua smorfia di disgusto alla visione della marca, soddisfo la sua curiosità.
Sentito il nome e tirata la prima boccata, Deborah finalmente sorride, e io mi sento sollevato, ma come al solito non siamo sulla stessa lunghezza d'onda.
"Mi viene da ridere sai?" So, il nome è quello che è, ma è lì che dobbiamo andare.
La guardo senza dire nulla, sornione.
"Sono quattro anni che non fumo" - e mentre lo rivela, adesso Deborah ride di gusto.

La pausa è finita, la Corolla morde di nuovo l'asfalto.
Deb è seduta al mio fianco, addosso ha pantaloni e camicia del suo passato (remoto) fidanzato.
Superiamo Livorno, ormai manca poco : direzione Bibbona, località La California.
Sognando.

circumnavigazione della fine del mondo

Si faceva chiamare Doris, come sua madre.
Eppure a parlarci era lei, sepolta in piedi dentro la massa gelatinosa dell'alieno.
Sospesa pronunciava di tanto in tanto parole rassicuranti di spiegazione, esprimendosi come poteva, mentre fianco a fianco procedevamo per il lungo corridoio.
Cercando forse di spiegarci i complicati componenti della nave mentre vi passavamo accanto.

Sembrava molto difficile per l'alieno tradurre attraverso Gilda tutto quanto, come un ospite modesto, straniero e poverissimo. Dai pori sul bordo del suo mantello di peli gelatinosi si susseguivano lenti fischi simili a lamenti d'oboe. Persistenti come un profumo sonoro, sembravano l'espressione di uno sforzo simile all'ansimare di un cane o alla ventola di un calcolatore.
"Puoi smettere di illustrarci la nave, se ti costa fatica."
"Non è doloroso, solo complicato." Fu la risposta.

Ruth mi guardò attraverso la semitrasparente presenza di Doris: non aveva più pronunciato parola. Io e l'alieno avevamo tenuto in piedi la conversazione attraverso la traduzione incosciente di Gilda.
Era uno sguardo penetrante e freddo, che continuava a ricordarmi quello che aveva detto quando l'alieno ci aveva detto di chiamarlo come la madre di Gilda: Doris.
"Io non so come si chiamasse veramente sua madre. In effetti non so niente di lei. Dobbiamo leggere tra le righe. Il modo in cui si esprime nel linguaggio che conosciamo è attraverso ciò che Gilda sa. Ci sono troppi intermediari in una conversazione così. Non sono tranquilla."

Però eravamo saliti sulla nave. Perché Gilda era lì, partita e intrappolata come volontaria. In un alieno che si faceva chiamare come sua madre. La sua presumibilmente morta madre. La donna che l'aveva portata dentro di sé nove mesi terrestri. La sua incoscienza si bilanciava con la primitiva diffidenza di Ruth.
Aveva fatto bene a fidarsi così? A concedersi all'alieno?
Forse era solo una forma di predatore estremamente cortese, che intratteneva le sue vittime prima di divorarle. Un cattivo di serie B che spiega il suo piano prima di infliggere il colpo finale.

"Siamo arrivati"
Tranne il fatto che lievitasse nella gelatina turbinante di quell'essere non c'era niente di strano in Gilda. Teneva gli occhi apertissimi e sempre in movimento come suo solito. Disse:
"Ecco la pedana di comando:"
Fece una pausa, concentrandosi. Cercando con gli occhi verso l'alto le parole più giuste. Un concetto che si sarebbe perso tra corde vocali che non potevano pronunciarlo.
"salga solo chi è giusto."
E se chi fosse salito non fosse stato giusto? Sarebbe stato punito? O si trattava di un'espressione formulare, uno stereotipo, una password, un rito, un avviso altisonante, un "attenti al gradino" spaziale?

La frase evocò in noi il giudizio ed il terrore di essere giudicati. Secondo quale misura?
Il timone della nave era una bilancia?
Le nostre anime non sarebbero mai state pronte a qualunque interrogatorio: travisai ogni possibile significato e presi il comando delle stelle.

sabato, ottobre 23, 2010

non si vive di solo pane, disse il salumiere

La tipa dei tuffi.
Come ho fatto a non parlare mai della tipa dei tuffi?
Tra noi nulla è stato perfetto, ma solo perché nulla è stato: c'è una magica regola che stringe di più il desiderio di un'incontro meno questo ha la possibilità di avvenire, fino a che non ci si accorge che non è avvenuto veramente. Ci si accorge che le probabilità erano effettivamente bassissime e si rivolge la mente ad altre cose.
Poi però un giorno ti ricordi della tipa dei tuffi.

Mai vista tuffare una volta tra l'altro, insegnava soltanto a tuffarsi ai bambini, come quelle zitelle che consigliano tutti sull'amore.

Che poi, ripensandoci, oggi zitella si dice "single". Non per fare sciovinismi, anche perché la parità dei sessi giova della mancanza di sesso, inteso come genere, della lingua inglese, ma l'addio delle zitelle sottintende una sorta di solitudine per scelta, venendo a mancare l'accezione dispregiativa che aveva assunto nella mia mente.
Che poi zitella sarebbe un vezzeggiativo (il che ha ancora di più i tratti di un'offesa) di zita, che altro non vorrebbe dire che bambina, ragazzina, pura, vergine.

Vergine pura?La traduzione di cesso scartato dal costruttore che non diverrà mai e poi mai l'angelo di focolare di nessuno vorrebbe dire vergine? Io se fossi una donna brutta che non ha mai visto un uomo o un cesso che la sparge nel vento a caso mi indignerei, perché in ogni caso il significato sarebbe travisabile e l'una confusa con l'altra.

La troia si incarognirebbe perché vedrebbe in zitella solo la purezza che non ha, pur essendo l'unica compagna di se stessa, e la cozza si troverebbe caricata pesantemente sulla schiena la verginità, il negativo di un piacere mai assaggiato, come se fosse qualcosa di orribile, un punteggio negativo, un autogol della vita.

Insomma, comunque la si guardi la parola "zitella" è orribile, mentre della condizione che indica non c'è nulla di cui sorprendersi, vergognarsi o fare un gran baccano: una donna o un uomo soli, questo indica.
Le parole andrebbero evitate, tanto più quando ci piacciono perché sembrano esprimere bene un concetto che abbiamo in mente. Per non offendere proprio nessuno dovremmo stare zitti, e questo non sarebbe possibile, anche perché altrimenti dire che ci romperemmo i coglioni sarebbe un eufemismo nonché una fonte di offesa per gli eunuchi.

Ora che ho parlato abbastanza di cose noiose e che ho allontanato la maggior parte dei lettori che si erano avventurati in queste pagine, posso tornare alla tipa dei tuffi.
Ahimè, solo con la memoria.
E' andata così, l'avrò vista un paio di volte appena e di sfuggita, battezzandola con quel nome al primo sguardo.
Poi l'ho cercata, ho parlato con altri che l'avevano vista e apprezzata e che le avevano dato altri nomi, ed ecco che già nella sua ipotetica solitudine ella non era più sola, ma circondata dei misteriosi pensieri di cento uomini.

Tempo fa sono andato alle docce, passando davanti alla porta in cui l'avevo scorta, poche volte e da lontano, quasi un anno prima. Non c'era, però l'ho pensata ugualmente.
Era tardi e fuori faceva freddo, qualcuno si stava asciugando i capelli in fondo al corridoio.
Mi sono riflesso male in uno specchio appannato: non siamo che spiriti nella condensa.

sabato, ottobre 16, 2010

tre terzi, quattro quinti

Trecentocinquantotto giorni dopo "la logica della trilogia", due anni e sei giorni dopo "Il fantasma dell'Opera Pia", tre anni ed undici giorni dopo "la fiera del male".
Le date sono importanti almeno tanto quanto la distanza che le separa.
In questa quarta parte le parti sono messe da parte. I ruoli sono assegnati personalmente da ognuno, secondo coscienza.
I misteri, che si erano moltiplicati, non sono stati risolti con delle divisioni.
Chi si aspetta delle risposte dalla fine di un ciclo non potrà che porre ottime domande.

Prefazione a cura di Vasco da Gama

La vita della mia mente non ha mai partorito nulla di più vicino ad un fiore di quanto non lo sia il nome con cui lo indichiamo. Forse perché la vita della mente non è una serra, ma un luogo spazzato dal vento del pensiero.
Le viole del pensiero ed i non-ti-scordar-di-me non aiutano certamente un'impollinazione ideologica più di quanto la lettura di un menu non sfami un affamato.
Questo per sottolineare quanto le metafore siano oggetti da maneggiare con cura.

Gli uomini pesce mi hanno lasciato. Certo, qualcuno rimane, desideroso ancora di sfide. Famelico, la sua pinna mi insegue in tutti i rifugi della stanchezza. Sono partiti una sera, approfittando del blackout della vasca coperta.
I bambini hanno urlato di gioia e di spavento. Abbiamo tutti urlato, nella bagnata oscurità del pallone. Ho guardato sott'acqua ed ho visto la piscina spalancarsi sulle profondità dell'oceano. L'infinita profonda profondità.
Gli uomini pesce vi si sono inabissati, decisi, affondando come piombini staccati dalle lenze.
Nessuna stella li ha salutati nel loro viaggio, gli unici testimoni dell'addio siamo stati io e la non-luce del blackout.

La piastrelle della piscina si sono richiuse sopra di loro, un sarcofago d'acqua e mistero.
Un luogo in cui li ho seguiti con la vita della mente.

venerdì, ottobre 08, 2010

la dieta dell'allineamento morale

Ero disperato.
Davvero, disperato.
Poi, in realtà non ricordo bene se ad esserlo fossi io o mio fratello. Ci sono momenti di drammaticità così intensa che è difficile distinguere la propria agitazione da quella di un altro, il proprio dolore da quello altrui.
Mi sembra di ricordare che i depressi se la passino bene durante le sciagure, se questo c'entra qualcosa.

Insomma che in casa c'era tensione. Non si trovava più Batman. Scomparso, sparito. Forse addirittura rubato ; ed io tremavo al pensiero, ma in effetti ancora adesso mi spavento con niente.
Che poi in realtà di Batman ne avevamo almeno due, anche se non saprei dire quale fosse il mancante. Il classico in grigio e nero o il fluorescente per le missioni subacquee, ad ogni modo era un mistero oppressivo e carico di terrore.

Il Pinguino dal canto suo sembrava felice, per quanto possa essere felice la plastica.
Anche l'altro Batman sembrava contento, o almeno indifferente.
Anche se è vero il contrario, la vita non è Toy Story. Io da bambino non avrei mai potuto immaginare niente di così innocente e bambinesco come dei giocattoli che vivono mentre io non ci sono. Non che fossi un empirista, l'ipotesi del furto era solo più accattivante.

La regola delle 5 W: chi lo aveva rubato e quando? Perché qualcuno dovrebbe poi rubare un giocattolo ad un bambino anzi, a due?
Dove era successo il fattaccio? In casa, sicuramente in casa, Batman non era mai uscito, su questo sono sicuro che fossimo sicuri.

In casa? Ecco che cosa c'era di agghiacciante. Qualcuno era entrato in casa o forse addirittura era costantemente nella casa.
Che si trattasse di un oggetto di poco conto potevo capirlo anche io, che ero un bambino. Ma allora perché rubarlo?
Il rapimento di Batman era un avvertimento.
La dimostrazione di poterci togliere in qualunque momento qualsiasi cosa. Giocare con i nostri interruttori emotivi, fino a farci tradire la memoria di Batman: da compagno di gioco ad oggetto di poco conto, solo perché non c'era più.

Ma chi poteva avere una simile organizzazione logica della malvagità? Chi si occupava maniacalmente del destino del nostro dolore per il pupazzo perduto? Anche se quindici minuti dopo mi ero dimenticato di tutto ed avevo ripreso le mie avventure con il Pinguino ed ero tornato ad avere paura delle solite cose chi poteva organizzare una parentesi di panico così strutturata?

Un davanzale. Giocando l'avevamo lasciato lì. Nello studio, tra le tende a maglia fine ed una finestra raramente aperta: l'abbiamo trovato lì giorni dopo. Forse addirittura settimane dopo.
Ce l'avevamo messo noi.

Ora arriva il momento in cui non vorrei offendere nessuno. In cui faccio la mia sparata sperando di essere capito, sapendo che sapete che non servono due guardie bigotte per cercarmi l'anima.
Per farla breve: quando poi al catechismo ci hanno spiegato la Pasqua io l'ho capita.
L'ho capita subito.

sabato, ottobre 02, 2010

a meno dell'audio

Un grande incrocio.
Il consueto traffico feriale. Una mattina piovosa. Capoluogo ligure.
Lui va verso Brignole, lei dalla parte opposta.
La guarda, mentre lei non fa altrettanto. Poi si invertono i ruoli, una nuvola di moscerini lo distrae. Fioccano come neve in controluce, dopo le strisce.
A meno dell'audio mentale di entrambi, a meno dei loro pensieri, possiamo intuire che si piacciano.
Verde.

Cento metri dopo stanno litigando.
Lui la rincorre, la costringe a girarsi.
Si ferma, urla di rimando, la cosa si ripete. Una, due, tre volte. Alla fine sale sbattendo la portiera lasciata per tutto il tempo sola con le quattro frecce, in curva.

Curva su cui lei stende la mano per prima, scandendo il suo nome di battesimo. L'amico che li presenta descrive ognuno con poche parole. A meno dell'audio privato possiamo supporre che entrambi, in misura diversa, si sentono o sovra o sottostimati dalle sue parole.
Lui risponde. Sorride, si passa una mano tra i capelli.

A meno dell'audio in presa diretta, a meno delle sfumature della voce, del timbro, dei difetti di pronuncia l'idea è che abbiano fatto buona impressione.
A meno degli attori, le parti sono sempre le stesse.

domenica, settembre 26, 2010

la misura

Tutti i grandi autori si sono misurati con il sesso.
Tutti i grandi autori si sono misurati il sesso, ma questa è un'altra storia.

Sono sei mesi che scrivo come un matto e finalmente mi sono deciso a tirare le somme.
Per la prima volta esplicitamente, sicuramente non per l'ultima.
E' il bilancio di quanto detto finora, il commento a caldo sulle tre etichette principali del mio pensiero: neotenia, estati d'animo e rallentare.

Parlavo del sesso per dire che tutti i grandi autori si misurano con i grandi temi. Impossibile evitarne qualcuno, impossibile parlarne tra le righe, girarci intorno.
Inutile dire come da grandi temi derivino grandi responsabilità.

A grandi linee mi sembra di poter dire che sono sei mesi che parlo di queste cose: della conoscenza, della solitudine e dell'equivoco. Tre parole che possono sicuramente combinarsi tra loro acquisendo nuovi significati.
La solitudine che deriva dalla conoscenza o dall'equivoco, l'equivoco nella percezione della vita di chi non ne partecipa con gli altri a causa della solitudine, la conoscenza cosciente di questa solitudine, l'esperienza di abbandono e infine l'equivoco della conoscenza, la superbia forse.

Sei mesi che parlo delle tre cose che rendono impenetrabile l'animo umano. Sei mesi che indago le radici della singolarità dell'animo umano. Animo che per quanto commoventi e nobili ed evocativi e privi di malizia siano i sentimenti che lo legano ad un altro resta inevitabilmente un elemento non dipendente dalla nostra volontà, come un sesto senso che non abbia niente da sentire.

La frase "l'importante è partecipare" calza perfettamente. Non è una gara tra pari. Non è una gara. Ogni percorso è unico, percorso da un solo corridore, destinato inevitabilmente a vincere e a perdere. L'importante è partecipare a se stessi, per quanto possibile. Immergersi e vestire, calzare adeguatamente, l'unico animo cui possiamo accedere.

Si può condividere qualcosa, si può cercare di rendere tangenti le esperienze, le sensazioni, ma non si può mangiare lo stesso panino. Siamo vivi anche perché possiamo partecipare ad una sola esistenza, la nostra, altrimenti saremmo immortali.

Bisogna adeguarsi ad entrare in contatto con l'altro con metodi più rozzi di quelli che usiamo per parlare con noi stessi. Conosci te stesso, perché anche quando crederai di conoscere al di fuori di te, sarà quello che continuerai a fare.

Siamo tutti re di noi stessi e miserabili del resto del mondo.

lunedì, settembre 20, 2010

Capitolo 9) Dal Tramonto all'Alba

"Non insistere Seb, non ho la minima intenzione di assecondare questo tuo delirio".
Gesù, adoravo quando mi chiamava Seb.
"E' solo una notte Deb, una notte soltanto" - Seb e Deb, eccoci qua in tre semplici parole, come ai vecchi tempi.
"O forse non puoi assentarti sul posto di lavoro? Non mi pare che le mignotte timbrino il cartellino, sono rimaste le uniche al giorno d'oggi" - essere sopravvissuto alla sbronza della notte precedente mi fa sentire un re.
Il mio regno per una notte (in macchina) con Deborah.
Slap!
Schiaffo in pieno volto. Pausa. Rewind.

Ore 04:37 - Casa di Oscar (Osoppo)

Dal mio ultimo autostop sono passati 24 anni. Ma quando ho alzato il dito a bordo strada, mi sono sentito eccitato come allora. Rivoli-Osoppo a bordo della Citroen bianca del signor Bianchi; Elio di nome, banalità di cognome. Il tragitto è brevissimo, ma io sono indubbiamente ubriaco, così mi lascio coinvolgere e troviamo il tempo di parlare di tutto : delle stagioni, del basketcheseavesselostessospaziodelcalciosuigiornalisarebbeilprimosportitaliano, dei cognomi più comuni, della politica - il signor Bianchi ha lasciato scheda bianca alle ultime elezioni, guai a smentirsi - parliamo persino di donne, sparandole grosse entrambi, finchè finalmente è il momento di scendere, e posso smettere di essere spensierato.

Oscar abita in una vera catapecchia; non ho idea se si possa permettere qualcosa di meglio, ma so che a lui piace così. E anche a me piace così, a pensarci bene. Da Oscar mi sento a casa molto più che a casa mia, e quella sensazione di familiarità mi pervade anche stasera, fradicio di grappa. "Quattro passi in avanti a partire dalla cassetta delle lettere, poi uno a sinistra, mezza giravolta : ecco quella maledetta piastrella...vediamo bella, cosa riservi per Zio Sebastian?" - finita la frase da neuropsichiatria, per la scoperta balzo in piedi urlando e gesticolando. Se qualcuno qui intorno mi sentisse, di sicuro chiamerebbe la polizia. E farebbe bene.

Ore 05:52 - Edicola di Ubaldo Brambieri (Rivoli)

"Ho bisogno assolutamente che tu mi dica queste fatidiche parole Ubaldo : la mia edicola vende cartine della Toscana". Ubaldo mi fissa come si guardano i pazzi, quasi roteando la testa di 180 gradi. Come non capirlo? Sono bagnato fradicio e senza scarpe, l'ho importunato prima al Bar, mi ha visto sorseggiare qualche goccetto di troppo, è l'alba e formulo richieste stravaganti ancora prima che l'edicola sia aperta.

Del resto anch'io ho le mie attenuanti : sono tornato a Rivoli a piedi (stavolta nessun signor Bianchi) e a metà strada mi sono ritrovato nel bel mezzo di un odioso temporale settembrino. Per salvare i miei adorati mocassini me li sono tolti al grido di "che la grappa sia maledetta".

"Se io le rispondo di si, senza fare domande e senza chiamare i carabinieri, poi mi promette che, almeno per stanotte, non si fa più vedere davanti alla mia edicola?" Sì sì certamente, almeno per stanotte, almeno per stanotte, grassone dammi quella cartina : sono io che dovrei desiderare di non averti più nel mio campo visivo, non il contrario.

"Prometto. Ah, se non fosse ovvio, non posso pagargliela, amico, ma solo per stanotte" - in vita mia, mai ritorno al lei è stato più appropriato.

Ore 6:28 - Casa di Deborah (Osoppo)

"Sei fuori di testa? Nemmeno mia madre mi ha mai colpito in questo modo barbaro!" - e, mentre dico questo, mi sento più immaturo e piagnucolante di un bambino dell'asilo.

"Io non ci vengo con te, è già stato un discreto incubo averti trovato nuovamente davanti alla mia porta di casa, per di più in queste condizioni! E ora, se non ti dispiace, me ne torno a dormire; e vorrei che te ne andassi subito Sebastiano...ma poi cosa diavolo ti è successo? Sembri uno scappato di casa, uno che ha fatto di corsa mezzo Friuli".

Quasi. Ci sei andata vicina. E poi pioveva fino a due secondi fa, se non te ne fossi accorta, stupida oca. Deborah abita sempre nello appartamento, e questo dovrebbe suggerirmi qualcosa, ma i miei sensi sono appannati, per non parlare dell'intuito investigativo. L'unica cosa che mi viene in mente è che sono stato fortunato a trovarla, molto fortunato.

Così fortunato che non posso permettere che lei torni dentro a dormire. Mentre Deborah si volta e sbuffa, ormai certa che io sia stato persuaso a lasciarmi la porta di casa sua alle spalle, la colpisco alla nuca con il primo oggetto che trovo a tiro : una statuetta Peruviana di dubbio gusto. Deborah cade a terra svenuta e velocemente la carico in macchina. Macchina che ora, senza alcun dubbio, mi convinco di poter domare, e al diavolo autostop e scampagnate.

Mentre metto in moto, vedo spuntare i primi raggi di sole : illuminano il mio ghigno da pazzo.