sabato, luglio 24, 2010

condizioni di tangenza

Da molto tempo non ripensavo al paradiso dei piloti.
Trattasi di luogo appena sopra le nuvole, in cui non serve volontà per volare.
Si incolonnano in una scia luminosa gli aerei, che volano ancora proprio perché sono caduti.
Sciamano nella mia immaginazione l'F22 che avevo ricevuto in regalo, il Fokker del Barone Rosso, gli aerei dell'11 settembre, l' Enola Gay, l' F14 di Maverick e Goose e poi lo shuttle, gli aeroplani di carta.

Quest'immagine brulicante di figure mi riporta alla terra, in particolare alle formiche.
Il loro metodo di scambiare informazioni ed operare è stato chiamato stigmergia.
La definiscono così J. Kennedy ed R.C. Eberhart:
"...è una forma di comunicazione che avviene alterando lo stato dell'ambiente in un modo che influenzerà il comportamento degli altri individui per i quali l'ambiente stesso è uno stimolo."
Mi domando quale sia l'ambiente che la mia generazione vuole colonizzare.

Non il denaro non l'amore né il cielo. Forse siamo il popolo dell'amicizia: generazione <3.
Per troppo tempo l'unico intrattenimento di lunghi viaggi in treno è stato il pensiero (rassicurante) che gli sconosciuti con cui avremmo incontrato lo sguardo sarebbero rimasti tali.
Io credo che ora non si stia tanto cercando di approfondire la conoscenza di coloro in cui siamo incappati, per caso o per destino, quanto di aumentare il numero delle incidenze con le vite altrui.

Per concludere il suo Sandman, Neil Gaiman ha pensato bene di ri-chiamare in scena William Shakespeare, cui mette in bocca queste parole:
"Bene, per quante parole sublimi possa aver usato,la vita non è una commedia. Incontriamo le persone una volta sola per poi non rivederle mai più. Non c'è una logica nelle cose che succedono, non c'è il momento in cui ci voltiamo verso il pubblico per ricevere gli applausi. Non c'è possibilità di infilarci dietro al palco per vedere gli attori mentre si cambiano parrucca e si dipingono il viso mormorando le rispettive battute."
Non ho purtroppo più tempo di pensare all'amicizia, alla difficoltà di conoscere l'altro di entità progettate a malapena per conoscere sé stesse. Sono a Parigi, è il 1916: sopra di me si librano gli Zeppelin. Che siano amici o nemici non importa: noi siamo le formiche degli eventi.

martedì, luglio 20, 2010

Capitolo 7) Tra le nuvole

"Ora devi dirmi tutto quello che sai sulla tua amica e su chi l'ha minacciata".
Quando pronuncio la parola amica provo come una specie di sussulto, e provo a immaginarmi Deborah al posto di Belene.
"Se vuoi che io ti aiuti, devi raccontarmi tutto".

Mentre le parlo, con una scarpa cerco di pulire l'altra dai residui di brioches alla marmellata 2.0, e con la mano rivolgo un gesto di commiato all'ispettore, come se davvero lo meritasse, con tutto il tempo che mi ha fatto perdere in inutili domande.
Poi guardo Deborah, è tutta accaldata, come se avesse corso; le gote sono rosse, ha l'affanno, e ha addosso qualcosa di diverso da prima. Il mio intuito investigativo mi fa addirittuta accorgere come la macchina non sia posteggiata dove si trovava prima.
Sono stato là dentro a vomitare così a lungo?
Sul volto mi si formula un punto interrogativo così grande che le è impossibile ignorarlo.
"Avevo caldo, avevo sudato molto, credo si tratti della tensione, e visto che porto sempre abiti di ricambio in macchina..."
Abiti di ricambio.
Ecco perchè l'ho mollata, ora ricordo : Deborah è maniacale, ha bisogno di cure.
Ha tutto un senso finalmente, compresa questa terribile giornata con la mia ex-fidanzata prostituta.
Peccato che sia stata lei a scaricare me, e non il contrario, così decido di fare finta di niente.
"Ora andiamo in studio e mi racconti tutto, d'accordo?"

Dannazione a Oscar, arriva tardi in ufficio, mi telefona mentre sono in riunione con il mio primo cadavere, e poi sparisce : l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.
Guido io, Deborah non dice una parola : meglio così, odio conversare quando sono al volante.
Mentre parcheggio mi ricordo di Manuela : chissà se è ancora lì che mi aspetta speranzosa.
Speriamo; il pensiero di una donna in mia attesa mi allieta le rampe di scale, che perciò faccio di corsa, anche troppo, e a metà mi ritrovo col fiato corto; Deborah mi segue a ruota.
Quando entro in studio, però, mi accorgo che forse l'ho fatta aspettare troppo.
Il corpo di Manuela è prono, la ragazza è nuda, distesa tra la scrivania e il muro, intenta in un ultimo penosissimo gesto : impugna un foglietto di carta.
Un orecchio è mozzato, e l'immagine di Manuela nella mia mente affaticata sfuma in quella di Belene.

La vista si annebbia, mi sento mancare le gambe : due cadaveri di donna in un solo giorno sono troppi, soprattutto per un ex-impiegato delle poste che gioca a fare l'investigatore.
Mi lascio cadere a terra, e in un angolo del pavimento scorgo Cesare, il padre di Manuela, seduto, la testa tra le mani, gli occhi bassi : non si è neanche accorto della mia presenza, il pancione gli si gonfia e sgonfia regolare, triste e regolare.

Deborah è dietro di me, è stata forte, ed è rimasta in piedi; in un'altra vita era una ragazza che sveniva al cinema alle prese con un film horror, e invece ora, al massimo, si cambierà un'altra camicia una volta usciti.
Mi porge il foglio dalle mani di Manuela.
Non ho la forza di dirle che non dovrebbe toccare nulla, leggo solamente il post-it giallo : "E' STATO IL MATTO DI OSOPPO".
Ecco il colpo di grazia. Oscar è il responsabile di questo incubo.

La testa mi vola via, leggera : non sono più nel mio studio, i problemi, le ragazze, il Friuli, l'Ispettore Manetta; tutto è lontano, opaco.
Attraverso una nuvola filtra un raggio di sole. Sorrido.
Mi risveglio tra le braccia di Deborah, china su di me; mi stringe forte mentre sento le sirene delle volanti : è stata lei a chiamare la polizia. Ben fatto.
Potrebbe essere un'ottima assistente, devo ricordarmi di proporglielo, una volta finito tutto questo.
Ho voglia di piangere, ma devo alzarmi in piedi.

lunedì, luglio 19, 2010

Capitolo 6) Pulp Paul Fiction

Ha anche l'odore da battona, a pensarci bene.
Ma non da battona da strada, sporca e lurida; Deborah profuma : profuma di incontri di lusso.
La sua amica Belene - e quando sento il nome, comincio a non essere più così tanto sicuro che Deborah sia un nomignolo da marciapiede - è stata minacciata, e non dal suo pappone : questa, nel magico mondo della prostituzione, è una novità che mi incuriosisce.
Si prospetta un caso interessante Sebastiano.

Mentre ci dirigiamo a casa della cara Belene, Deborah mi parla un po' del mestiere più antico del mondo, o meglio, della personalissima interpretazione sua e delle sue colleghe.
Mi spiega che alcune di loro lavorano in appartamento, e altre, le meno graziose, stanno in strada, e che alla direzione di tutti i traffici, a godersi lo spettacolo, c'è una vecchia megera veneta, nota a tutti con il nome di Gòto.
Questa è proprio bella.

Ma cosa diavolo ti ha fatto cadere così in basso? - glielo vorrei tanto chiedere, ma il mio pensiero successivo è che sia stata proprio la relazione avuta con me la causa scatenante, così mi tappo la bocca.
Per fortuna non ho avuto tante fidanzate, altrimenti sai che ressa sui marciapiedi.
Tutto d'un tratto ecco che il silenzio assume un suo perchè. Capisco che siamo arrivati sul posto, e altrettanto velocemente noto che non siamo i soli : le luci delle volanti della polizia, la folla di curiosi, un fotografo del Fatto di Osoppo.
Belene è morta, è così lampante che nè io nè Deborah abbiamo bisogno di dirlo ad alta voce.

Con fare spadroneggiante scendo dall'auto - la sua auto - mentre lei rimane a bordo. Con la coda dell'occhio, le rivolgo ancora uno sguardo mentre mi allontano : gelida, ha l'espressione di chi aveva capito in anticipo come sarebbe andata a finire, ma è arrivata troppo tardi.
"Sono un detective privato, lasciatemi passare"
Funziona solo nei film, nella vita vera i poliziotti ridono in faccia a chi fa il nostro mestiere.
E non hanno del tutto torto, Scalise tu vo' fa' l'americano?
Oggi sono fortunato, conosco l'Ispettore.
L'Ispettore Manetta.

Si, avete capito bene, come quello di Topolino, ma senza i caratteristici baffoni.
Però il sigaro lo fuma eccome.
Non ridete, è un vero duro, e se è stato scomodato un Ispettore, il caso deve essere uno di quelli che scottano davvero.
"Oh Scalise, non occorre che ti avvicini, in questo buco malfamato ci sono già abbastanza topi di fogna".
Cinebrivido. Questa la doveva proprio dire, non poteva esimersi.
Lo conosco, ma io e il vecchio Manetta non siamo esattamente buoni amici.
"E poi c'è anche il cadavere di una signorina, ovviamente".
Ovviamente.
"Ispettore, questo caso mi riguarda da vicino, se mi lasciasse..."
Manetta sbuffa di fronte al mio patetico tentativo, ed eppure svariati se e ma successivi riesco ad entrare nella casa, se così può essere chiamata.

E poi la vedo lì, stesa sul pavimento, nuda, le braccia larghe a Uomo di Vitruvio, il sangue dappertutto.
Ha un orecchio mozzato di netto.
Tutto questo mi ricorda Van Gogh, poi lascio definitivamente spazio al romanticismo : il primo cadavere non si scorda mai.

L'idillio è rovinato dalla suoneria del mio telefono cellulare : Maracaibo.
E' Oscar.
Non posso rispondere però : sono troppo impegnato a vomitarmi sui piedi nella stanza acccanto.
Riconosco con piacere il cornetto mangiato al bar poche ore prima.

domenica, luglio 18, 2010

il vasino di pandora

Ristorante con grandi speranze e personale educato.
Si deduce che siamo in Europa; lontani dal Mediterraneo, a giudicare dall'ora di cena.

Due coniugi siedono nel soppalco, sorbiscono un passato che manca di sale perché lo chef, in testa, ha solo la figa. Pasteggiano con vino rosso, allungato dal figlio del proprietario che spera, facendo la cresta sulle bevande, di comperarsi una moto. Sogna passeggiate notturne.

Il ristorante è stato consigliato alla coppia da un comune amico e ne sono, per ora, soddisfatti. Di lui si può dire che sia un puttaniere; di lei che sia stata una baldracca, da giovane.
Ci sono stati tempi difficili, ma la pazienza e la vergogna hanno cancellato le incomprensioni che in passato avevano rischiato di rendere la loro una casa desolata.

Ad esempio nessuno dei due ricorda del giorno in cui lui rincasando le aveva teso una pistola, chiedendole di sparare. Non ricordano più il fatto, tanto meno il motivo per cui si fosse giunti a quel punto. Il ricordo più vicino a quell'evento è di proprietà di un antiquario e della sua bottega, dove la pistola giocattolo era stata comprata.

Sentono le campane: è il cellulare di lei.
Inforca gli occhiali e risponde al figlio maggiore, che vive in un altra città.
La conversazione si avvolge intorno a tutto il dolce, così cattivo da far cambiare idea al marito circa il ristorante: si ripromette di ricordarsene e di non venirci mai più.

Quando escono, le luci dei lampioni tremano nel tramonto come patti con i fantasmi della memoria.

venerdì, luglio 16, 2010

Il viale alberato

Le foreste e le cattedrali.

Esiste un' attrazione fatale che da quaranta gradi Celsius porta alla dannunziana pioggia nel pineto: o per lo meno ad invocarla.
Dall' invocazione scaturisce sempre qualcosa: la fortuna di ricordare un sogno fatto in un pomeriggio d' estate, un angelo caduto.

Gli alberi, gli alberi sono angeli caduti.

La testa,
le radici: intelligenza potente. Non una spasmodica ricerca del nutrimento: la conoscenza dei punti cardinali, la consapevolezza del vero movimento.

Le foglie,
cio' che è visibile, l' ancestrale respiro della terra.

Il fiore, lo sposalizio delle linfe che scaturiscono dal suolo con il sole. Il farsi incontro, la prosecuzione delle specie, l' unione nel senso comune.

E soprattutto la tensione verso l' alto; la congiunzione fra la terra e il cielo.

Sta scritto nella tavola Smeraldina:
Egli sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori.

Gli uomini sono alberi caduti.

Capitolo 5) Non esiste saggezza

Prima le signore.
Sembra incredibile, ma Deborah mi ha riferito molte cose interessanti, e senza nemmeno scocciarsi per averle dovute ripetere tre o quattro volte, a causa della mia scarsa concentrazione mattiniera.
E' ancora molto carina - penso mentre le apro la porta dello studio per farla uscire - chissà cosa aveva trovato in uno come me.

"Sei sempre il solito, fai parlare solo me, e non racconti niente! Di' un po', ti vedi con qualcuna?"
Domanda a bruciapelo. Dal panico dimentico che Deborah mi ha appena assegnato un caso, e quasi mi convinco del fatto che sia venuta a trovarmi in veste di mia ex-fidanzata.
"Beh, diciamo che vedersi proprio non è il termine giusto, però qualcuna, anzi più di una, c'è".
Fai schifo Sebastiano.
A mentire e nella scelta delle menzogne.
"Addirittura? Dai se sono tante allora non c'è termine migliore di vedersi, no?"
Sorride, io divento rosso paonazzo. Non ho nessuno che me lo confermerà mai, ma ne sono certo.
L'ho sparata grossa e male, per fortuna mi salva la campanella, come ai tempi della scuola : sulle scale incontriamo Manuela, e dallo stupore per il numero crescente di donne intorno a me, divento ancora più rosso.

Deborah e la figlia del barista si salutano, suppongo per educazione, e poi lei si rivolge a me :
"Stai fuori a lungo?"
Un Tu mai usato
"Perchè avrei bisogno di parlarti, ti aspetto in ufficio se stai via poco"
"Potrebbe trattarsi di una cosa un po' lunga, comunque dovrebbe arrivare Oscar a momenti, puoi parlarne con lui".
Mi allineo al suo bel Tu.
"Mhh..d'accordo, ma forse preferisco parlarne con te, valuterò, credo mi troverai ancora qua".

Le donne sono così : ci sono lunghi, lunghissimi, infiniti periodi in cui non vedi manco per sbaglio l'ombra di una di loro, e altri in cui ti piombano in ufficio tutte insieme.
Finisco di scendere le scale con Deborah, e mi sembra di essere tornato indietro nel tempo.
"Allora, dove mi hai detto che abita questa tua amica prostituta?" - le domando sorridendo.
Anche la vita di Deborah è cambiata parecchio in questi anni : adesso, oltre al nome, la puttana la fa per davvero.
E la cosa sconvolgente è che non sono affatto sorpreso.

lunedì, luglio 12, 2010

e il futuro?

L'ermetismo e la cripticità sono interessanti solo per chi ne conosce un significato, uno qualsiasi, purché non sia uno di quelli proposti da noi stessi. A questo, credo, serve la critica.


"Il morso che spezza" è il ventunesimo esagramma dell' I Ching, ottenuto in risposta alla domanda del titolo.
La conoscenza del futuro è una pratica tanto inutile quanto il chiedersi come mai il tempo non sia stato inventato "dopo" tutto il resto.
La preveggenza non è una forma di conoscenza, quanto di intrattenimento. La visione di una vita futura non può arricchire la vita odierna di quel tanto che basta per arrivare a vivere la vita che è stata l'oggetto della visione.

Comincio a temere che l'unico viaggio nel tempo possibile sia la partecipazione stessa all'esistenza e che la comprensione dei passati futuri non interessi nemmeno a chi si è interrogato a riguardo.
L'interruzione della misura del tempo appartiene a questo modo di pensare: pentola guardata non bolle mai.
Non ho tempo di pensare alle analogie con le barche contro la corrente di Fitzgerald adesso.

Cosa succederà quando il saggio, volendo indicare il dito, non riuscirà a distogliere lo stolto dalla luna?
La foto precedente l'abbiamo scattata io ed E. , in qualche prato sopra Mioglia.
La bellezza delle imperfezioni di forma attraverso cui deve passare la luna per raggiungere la sua pienezza è solamente meno chiara perchè la scala di grigi perde valore davanti alla singolarità del bianco e del nero, seppure ognuno degli infiniti colori che le compone sia altrettanto precisamente definito.

Il desiderio di essere eccitati o sensibilizzati da un'unica condizione, come da una precisa distinzione tra giorno e notte o la perfetta percezione dello scorrere del tempo sono desideri pericolosi, che finiscono col farci fissare sempre l'altra cosa, insicuri di quello che il saggio ci stia indicando.

Le leggi dell'universo si soffermano sui transitori e sul loro continuo ritorno.
Il sole sorge, compie la sua parabola nel cielo e tramonta.
Primavera estate autunno inverno e ancora primavera.
La neotenia sottolinea negli adulti di oggi caratteristiche morfologiche e fisiologiche tipiche delle forme giovanili degli antenati.
Il linguaggio tenta con i bianchi e con i neri di descrivere i grigi, di collegare le anime senza toccarle.

Si vive insieme e si muore soli, si vive insieme e si muore soli, si vive e si muore, insieme e soli.

domenica, luglio 11, 2010

il morso che spezza

sorrido, mi ammalo di luna piena

mercoledì, luglio 07, 2010

Estati d'animo (settima ed ultima parte)

Non so se sono viva o morta.
Per la verità credo ci sarebbero dei modi per capirlo come cercare di muovermi magari, per vedere se mi sono rotta qualcosa.
In realtà non mi interessa tanto.

Vedo solo una specie di disco davanti a me, illuminato da una luce debolissima, lontana.
Potrebbe essere qualsiasi cosa.
Forse è la terra vista dallo spazio, il lato di notte con l'alba che non arriva mai, immobile.
Oppure il rivelatore di fumo sul soffitto di quella camera d'albergo in cui ero il giorno in cui il sole si fermò.
Magari mi sono immaginata tutto, giustificando con un sogno particolarmente complesso quei cinque minuti di sonno in più prima di andare a lavorare.
Che cosa non si farebbe per un pò di riposo.

Più probabilmente si tratta del volante della mia auto, sommersa da tonnellate di terra, illuminato dall'unico spiraglio che mi collega alla superficie. Un faro al contrario, che guidi i soccorsi verso di me. L'occhio del sole è indiscreto, ti osserva anche nella tragedia.

Forse sono vere tutte le ipotesi: sto per morire, sepolta viva nel ventre della terra, ed intontita dal dolore sono rimbalzata dentro e fuori dalla coscienza, inventandomi una storia che giustificasse quella piccola luce che rimane sempre accesa, là in cima.
Forse sono i riflettori che usano i soccorritori, per poter scavare anche di notte.

Immagino che mi trovino, dopo essere stata all'ombra della luce tutto questo tempo e forse, forse succede davvero. Tutto avrebbe senso solo se servisse a far succedere qualcosa, a farmi trovare me stessa, o un tesoro.
Penso all' incontro con gli occhi di un mio soccorritore, di capire che tutto questo sole, il terremoto, questi anni intermittenti come sentieri nella foresta sono serviti a trovare un qualcosa o qualcuno che altrimenti, nella versione precedente del mondo, non avrei trovato mai. Esiste altro, oltre all'amore?

No, ecco che torna il dolore, fortissimo, al ventre. Crollo su me stessa, trattenuta solo dalla cintura di sicurezza. Tutto questo mi ricorda il dolore del parto. Venire alla luce: mi sembra un termine improprio.



Fine

domenica, luglio 04, 2010

Estati d'animo (sesta parte)

Era in ritardo, la verifica dell'impianto d'irrigazione sarebbe dovuta cominciare venti minuti prima.
Guidava ancora vestita come aveva dormito, sapendo che tanto metà del suo armadio si trovava già nella macchina.

Sarebbe stato un problema fare brutta figura alla serra, dopo appena due giorni che era lì. Cose del genere sarebbero venute fuori nella valutazione di fine mese e il rischio era di non essere più assegnata in un posto tranquillo come quello.

Schiacciò a fondo il piede nudo sull' acceleratore, sorpassando la polvere incandescente del deserto.
La sera prima si era accorta che l'impianto di condizionamento era difettoso, ma aveva pensato di poter trovare il tempo di andare a sostituire la macchina prima di andare al lavoro.

L'aria gelata andava e veniva irritandola, istigandola a correre sempre più veloce lungo l'asfalto della superstrada deserta.

Improvvisamente l'orizzonte tremò, scrollando alta la polvere tutto intorno a lei.
La macchina si buttò nella voragine appena creata dal terremoto come in un parcheggio, dritta e sicura di sé, in velocità.

Mentre veniva inghiottita, tutto quello che poteva pensare era che improvvisamente l'arrivare in ritardo non era più un problema.
Era scusata.