mercoledì, dicembre 30, 2009

L'oroscopone di fine anno

Segno per segno i mutamenti astrali di un 2010 che si preannuncia più balordo anche dell'anno passato. Bye bye 2009!

Pollastra : per le nate sotto questo segno si prevede un primo trimestre 2010 pieno zeppo di gallo, un secondo trimestre pieno zeppo di gallo, un terzo trimestre pieno zeppo di gallo, un quarto trimestre chicchiricchiii.

Cotechino : intramontabile segno iPiroga, ogni anno che passa per lui è sempre più dura. Tuttavia la crisi ha dato una boccata d'ossigeno quest'anno, ma il prossimo sarà tutta un'altro mangiare.

Bonfa : per i nati sotto il segno del Bonfa è tempo di prendere le proprie cose, metterle in una valigia e tornarsene a nuoto a nutrirsi di arancini alla Norma.

Palestrato : neanche nel 2010 vincerete Mister Olimpia.

Fotografo : neanche nel 2010 vincerete Mister Olympus.

Aquaria Negresco : nuovo anno da dimenticare, se confrontato alla chiusura del 2009, con quei due polli italiani che si sono fatti spennare vivi. "Bacc Bacc ci hanno rubato tutto"

Metal Slug ; per i nati sotto questo segno Venere propizia nel 2010, durante i titoli di coda, di nascosto, vi farete un elmetto di un soldato tedesco. E vi piacerà da morire.

Cicciolina : a Cicciolina non piace stare solo sotto il segno, ma gradisce anche sopra, davanti, dietro. E in questo momento gradisce anche salutare l'autore di questa rubrica.

Mario Tennis : per i nati sotto il segno di Mario Tennis un primo semestre da smash dal punto di vista lavorativo, mentre manrovescio sul fronte sentimentale. Waluigi meglio di Wario, ma in difficoltà contro Peach e Toad. Secondo semestre a metà fra dk junior e shy guy.

Song Bilong & Song : segno jolly del 2010, attenzione fra giugno e luglio a non distrarvi con le minorenni shemale, ci sono i mondiali di calcio.

Efrem : segno flop del 2010. Lavoro up, famiglia super, soldi a valanga, ma fica sempre la stessa carestia degli ultimi desolanti anni.

Psicbiatra : busserà alla vosta porta, ai primi di gennaio, appena rientrati dalle ferie, l'unico nato sotto il segno dell'Efrem, per iniziare una serie di sedute che vi renderanno millionari.

Caballero : segno simpatia del 2010. Sarebbe il sesto anno di iPiroga, siete degli eroi.

domenica, dicembre 27, 2009

Volo

Mi piacciono le montagne, ci voleva internet per farmelo capire.
E' una montagna con le gambe lunghe, cammina tenendosi pericolosamente in equilibrio su piccoli tacchi slanciati. I grandi laghi vogliono le grandi montagne, è una regola che non si deve scordare. La pioggia. Il ciclo dell'acqua.
Posso spiegarmi subito: un disegno su internet mi ha fatto perdere la ragione. Ho sentito il richiamo della foresta. Il disegno di una montagna con delle gambe da donna.
Come vorrei ritrovare quel disegno, mostrarlo a tutti e stamparlo, magari appendendolo incorninciato a genova, sopra alla scrivania.
Come un monito: ti piacciono le montagne.
Il punto è che se si vuole, essere ermetici, incomprensibili, è facile. Mi verrebbe da dire banale. Io è una vita che lo faccio: se non vuoi dire niente di te basta dire tutto con altre parole.
Oggi ho da fare.
Elvis ama Edu.
Ti rispetto.
Mi piacciono le montagne.
Stringendo, mi sento di poter dire che la comunicazione è di per sè incerta, effimera. Se la si vuole rendere incisiva va esagerata, gonfiata, distorta.
E' per questo che quando si mette a parlare la gente che gestisce i soldi, più spesso i tuoi, non si capisce più un cazzo.
E' per questo che...no, lasciamo stare.
Volo, o almeno mi sembra di volare.
Se leggi fra le righe, le righe non le leggi.

giovedì, dicembre 24, 2009

Il Natale dei caballeros


Caro Babbo Natale,
te lo dico così a freddo, senza mezzi termini, ma tu non pensare male :
portaci un po' di fica, te ne prego.
Non ne chiediamo tanta, giusto un po', giusto il giusto.
Lo sappiamo che tu sei generoso e capisci quando c'è bisogno, e qui vi è il bisogno, questa iPiroga è la casa del bisogno. Non troppo bella, solo che si possa guardare rimanendone soddisfatti.
Non troppo simpatica, solo che non si voglia tirarle il ferro da stiro nei denti. Oppure quello che hai in magazzino, quello che ti è rimasto, lo so che è tardi.
Almeno due caballeros su tre vorrebbero una bella pollastrella, non chiediamo troppo no?
Pensa che bello sarebbe svegliarsi domani mattina e trovare una bella patatina sotto l'albero, vestita da babbo natale magari. Pensa che bello Babbo, pensa che bello.
(P.S. : ti ho fatto anche un disegno su come ci piacerebbe tanto tanto tanto)

martedì, dicembre 22, 2009

martedì, dicembre 08, 2009

Il P. del Q.

Essere o non essere, pomposo post per il quinquennio.

Le carte dei Tarocchi, come le lame di un frenetico multiplayer di GoldenEye, si sono piantate nei miei occhi: sono la lente che Ermete T. Marra mi ha prestato per scrivere questo post.

Notte densa di spunti: pericolo di divagazione, speranza di non buttare via niente. Come l' ottimo macellaio quando scanna la bestia taglia in modo da non sprecare carne, così l' Irreprensibile quando si trova immerso nella nube densa dell' ispirazione. Ma il pensiero non è solido come la carne, è liquido come il sangue. E scaturisce dai monti della Luna con dolore, nel chiaroscuro della luce rubata. Due bestie che leccano il sangue, un oscuro presagio. Non è la luce adatta per cercare la Verità, è una luce rapita al Sole, che suo malgrado confonde. Laggiù si intravede un sentiero.

La verità è solo metaforicamente questione di illuminazione; le pagine di Diritto dell' Unione europea sono ben illuminate, ma questo ha poco a che fare con la chiarezza. Non scordiamo poi l' esempio illustre di cecità e saggezza, Omero: fra le altre cose ci ha raccontato che ha ragione chi vince. Virgilio che ha fortuna chi fugge: con questi precedenti vedo poche possibilità di redenzione della coscienza collettiva italiana.

Quando si parla di verità bisogna essere scettici. Ognuno ha la sua verità. E se è vero che la Verità è una sola, ognuno ha il suo modo per raccontarla e per giungervi. Nella sagra dell' Arte abbiamo scrutato con sospetto alcuni celebri esempi di nesso fra pornografia e arte. Abbiamo parlato di arte e di peccato. Abbiamo trascurato in larga misura la Verità, considerandola come espressione valutativa: il vero buono, il falso cattivo. Ciò non poteva durare a lungo, perchè a forza di calunniare, mentire, sbeffeggiare, inquisire, castrare, sminuire, mal interpretare, finisce sempre per scaturirne una verità. Di solito in effetti la Verità è ingombrante, e si mette di mezzo.

La sagra dell' Arte, capolinea:
La verità sul mito di Edipo, e altre storie. Macroscopiche analogie.


Il vitello d’ oro. Frankenstein.
L’ uomo che crea, e creando pecca. Crea un’ immagine e la adora:
idolatria.
Edipo! Tu non esisti, questo il Vero!
Tua madre! Donna antica! Artefice del peccato originale!

Ti ha creato, ti ha amato e con te ha procreato.

Ha creduto in una sua creatura. L' ha messa sopra di sè. Ecco l’ orrore.
Il caso del vitello. Il popolo che lo creava lo credeva dio, a lui si raccomandava. Frankenstein: l’ artefice del mostro lo pensò per il bene dell’ uomo.
Tutto può essere facilmente sintetizzato con l' espressione: la creazione come peccato; la creazione è peccato perchè solo il dio può creare. Ecco la spiegazione del perchè l' Arte, creazione allo stato puro, spesso è stata additata come peccato.

La pornografia non centra nulla, avevamo preso un abbaglio, è un incidente di percorso. La pornografia è la degenerazione dell' Arte, il germe che distrugge la tensione al sublime: non sfiorerà più i picchi dell' Olimpo ma si fermerà a descrivere l' uomo come bestia.
Ecco la triste verità, il vero peccato e la falsa arte.

L' ultima domanda, la Domanda: a torto o ragione, secondo quanto appenda detto, l' arte può essere considerata peccato?
A torto!
La censura della creazione individuale nasce da un fraintendimento, da un superstizioso eccesso di cautela: Il dio va inteso come il nostro se' più profondo: il creativo, il mago, il bagatto.
Appena in tempo: e pensare che stavo per fare di iPiroga una pira.

Auguri iPiroga, hai compiuto cinque anni, stai diventando Arte.

domenica, novembre 29, 2009

Il post del Quinquennio

Se pensate che scrivere un post sia il mestiere più difficile del mondo, non avete mai provato a scriverlo in una versione di prova, metterlo da parte, e non cambiarlo ad ogni rilettura.
Dieci giorni fa avrei voluto esordire così : "Salve a tutti, il mio nome è Rodrizio, ma in molti mi chiamano Rockerduck, per via del mio mangiare bombette quando le cose mi vanno storte".
Un post autobiografico, insomma : la storia della mia vita in pochi righi. A cosa servirebbe del resto celebrare il quinquennio di una creatura, senza sapere nulla dei suoi creatori?
Domenica scorsa però, mi sentivo un pallone gonfiato, alla sola idea di parlare di me ad un evento così importante : così divina e celestiale l'occasione, così terreno l'uomo?
Molto meglio fare dell'iPiroga un luogo di incontro fra sacro e profano, fra scienza e mistero ; avrei parlato dell'evoluzione della specie, di Darwin e delle Galapagos, di Nonna Lucy e i Beatles, dell'amore non è bello se non è litigarello.
Ma si sa che quando si è così convinti, qualcosa è destinato ad andare storto : Marianna Ucria si impossessa del mio gracile corpo, e, avvolto nella prospettiva di non parlare più con la mia tipica dizione sibilante, sei giorni fa mi convinco a stracciare tutto, violentando di nuovo la mia bozza di post.
Nelle mie condizioni, non avrei potuto non immolare il mio pezzo sull'altare della parola : una celebrazione della comunicazione orale fatta per iscritto. Senza senso e geniale allo stesso tempo. Finalmente fuori dai soliti clichè.
Ma quando alla fine è arrivato anche il giovedì, la lingua duole come a ricordarmi di aver sbagliato qualcosa. Come può Rockerduck compiere un elogio dell'oralità, se esiste anche una sola possibilità che sia stato punito proprio per le malefatte uscite dalla sua bocca? Poteva essere una specie di ravvedimento in punto di morte, ma suonava ugualmente più falso di un treno in orario.
E allora ripesco dal cestino un'idea vecchia, per rifarle la carrozzeria : non l'evoluzione della specie, ma l'origine. Si, si, si, la patata, la mamma di tutti noi, la gnocca, la sgnassera, la passera, la farfallina, la chitarrina, la mandolina.
Tutto inizia e continua da lei : esci da lì e passi tutta la vita a cercare di rientrarci (possibilmente non nella stessa).
Quale argomento migliore? Sono un turbine di idee, il foglio è pieno di abbozzi da sviluppare, la mente vomita pensieri.
L'unico ostacolo fra me e il post è il sabato, è arrivato il sabato. Il sabato non perdona, e la sua pretesa di vita sociale ti tira il lembo del cappotto, ogni volta che ti distrai.
Post rimandato a domenica, ma tanto ormai è già tutto deciso, bisogna solo ricamare e pubblicare. Giusto?
Sbagliato. E' domenica sera, il momento del cambio della guardia fra la settimana che si fuma una sigaretta, saluta e se ne va, e quella che arriva, incazzata nera. E, in questo momento, l'origine della vita non ha più il peso specifico che aveva ieri sera.
Del resto, ciò che conta davvero fra una vulva e l'altra, è l'intermezzo; la scelta, il perdersi fra le n possibilità. Di vulva e non vulva.
Il libero arbitrio è l'unica arma a nostra disposizione per non ritrovarci in balia degli eventi.
La preferenza nel segreto della cabina elettorale; la scelta di gola alla mensa della scuola; la leggera pressione del dito sull'ipod durante la riproduzione casuale; il non timbrare il biglietto sul bus, sperando che il controllore non salga proprio questa volta, che tanto non sale mai; posto finestrino o corridoio; tiro in porta o la passo; l'argomento da scegliere per un post.
In fondo, La Scelta, è alla base non solo di questo mio post, ma di tutto quello che scorre su questo pezzo di web da cinque anni, fin dall'inizio : coloro che salgono sulla stessa piroga hanno le stesse aspirazioni.
La iPiroga può apparire stretta e scomoda, soprattutto se si è in tre; ma è il mare aperto di possibilità, che ti ha portato a salire proprio su di lei, che la fa sembrare la barca adatta a te.
Prossima fermata?

venerdì, novembre 20, 2009

Il Post del Quinquennio

In camera mia ho uno specchio a muro, grande ma non grandissimo.
E' posizionato davanti alla sedia girevole dove mi siedo sempre per cui mi trovo spesso specchiato. Seduto o meno, quando giro la testa verso lo specchio riesco grosso modo a guardarmi a figura intera.
E' strano guardarsi senza un fine, non cercando di capire cos'è finito nell'occhio o se mi sta bene un paio di pantaloni. Guardarsi e basta, mentre si è vivi e non in foto: che strano.
Mi sento sempre un pò come se mi stessero presentando il bambino a cui si sono ispirati per creare cicciobello. Ed è una sensazione inconsueta perchè quel bambino non esiste e so benissimo che cicciobello è stato disegnato ispirandosi un pò a tutti i bambini.
Osservando le proporzioni delle dita con le mani, la mobilità degli occhi, l'accenno di teschio che spunta in varie parti del viso, è come se prendessi coscienza del "tu" che gli altri si immaginano nella loro testa per fare riferimento a me, che invece sono "io".
Mi fa senso questa storia del teschio, che sembra spingere per uscire in certi punti e che invece si lascia ricoprire morbidamente in altri, come una tenda montata di fretta.
Forse più precisamente mi sembra impossibile che la mia visione del mondo, che reputo infallibilmente giusta e che ogni giorno mi sembra costantemente permeare e commentare tutto ciò che esiste, sia in realtà unicamente mia, almeno fino a quando non decido di farla uscire. E mi stupisce che una cosa di cui ho cosi' tanta considerazione sia semplicemente racchiusa in un corpo di poca carne, specchiato in uno specchio a muro grande ma non grandissimo, visibile da piccoli occhi facentene parte.

giovedì, novembre 19, 2009

Il Post del Quinquennio - Bando di gara

601 post e 1825 giorni dopo, i Tre Caballeros sono ancora qui.
30 Novembre 2005 - 30 Novembre 2009.
Era un mercoledì, forse pioveva, forse c'era il sole, e tre pc erano accesi.
Lunedì 30 Novembre saranno cinque anni rigorosamente marchiati iPiroga.
Cinque anni ricchi, satolli, gonfi di immagini e parole : l'iPiroga è cresciuta con i Tre Caballeros, e i Tre Caballeros sono cresciuti insieme a lei.
Per celebrare insieme a voi fedeli lettori il Grande Quinquennio, Irreprensibile, Baro & Rodrizio si sfidano a colpi di rima baciata e postata, in una contesa che stabilirà il Basileus degli iPiroga.
Da oggi, 19 Novembre, fino al 30 Novembre i Caballeros avranno undici giorni di tempo per postare un loro lavoro a tema libero, che dovrà essere intitolato "Il Post del Quinquennio".
Una giuria formata da vires illustres voterà in seguito i lavori. E' stata insignito di tale onore l'interno 19 di Via Nizza 14 (GE). I 4 giurati di Via Nizza dovranno emettere un parere motivato e in seguito proclamare il Basileus degli iPiroga.
Si ricorda che Baro non ha diritto di voto.
La contesa degli iPiroga è ufficialmente aperta.

sabato, novembre 14, 2009

Bach, toccata e fuga in Re minore, organo

Piacere provato dalla sfortuna di un altro: schadenfreude.
Io non lo sapevo che esistesse, eppure l'ho provata. Non conosco ma so.
C'è qualcosa qui che prude e mi riporta alla mente il vecchio pensiero sulla differenza tra il fare ed il saper fare, oppure quella storia sul know-how, o più chiaramente sulle cose che si hanno, nel senso che le si possiede, ma che non si possono vendere nella forma in cui le abbiamo. Penso all'artigianato o all'essere superdotati. Alla fine si tratta di due cose non dissimili.
Nella vita mi è già capitato di trovare per caso delle cose note in maniera cosi' diretta e cosi' limpida da lasciarmi interdetto.
In coreano l'equivalente alla schadenfreude si riferisce al profumo dell'olio di sesamo, considerato molto piacevole, mentre in giappone il riferimento è rivolto al miele. Mi piace questo approccio orientale, l'idea che il piacere generato da una disgrazia sia qualcosa di veramente sensoriale, di tangibile, come se il miele e l'olio di sesamo sgorgassero davvero dalla ferita infetta che affligge quel poveraccio.
Tuttavia credo che il nostro "godo come un riccio" resti tra le migliori, anche se forse qui il concetto si allontana. Eppure si affina, si assottiglia, perchè i ricci pungono chi sta alle loro spalle, come a dire che alla fine puniscono sempre chi trama e ordisce contro di loro. Ma se l'atto sessuale animale si compie...diciamo "in fila" ed i ricci possono, stando in fila, causare molto, moltissimo dolore ciò significa che in realtà l'espressione "godo come un riccio" nasconde un piacere amaro. Una sorta di suicidio, di mossa finale alla Sirio il Dragone: un sacrificio accettabile per ottenere la vittoria.
Meglio cosi', il dolore ripartito tra le parti mi pare un concetto più accettabile. Ma anche questo è terribile: significa che preferisco che vada uniformemente male a tutti piuttosto che malissimo ad uno soltanto.
Allora i casi sono due: o sono depresso o sono un democratico.

giovedì, novembre 05, 2009

i titoli dei miei post non c'entrano mai niente con quello che scrivo dopo (dedicato a via nizza)

Stavamo aspettando che il sugo fosse pronto o che la pasta cuocesse, una delle due. Non ricordo battiti di mani ma se vi sentite coinvolti potete applaudire, e dire la vostra, e aggiungere altro cumino nel sugo, fa lo stesso...più o meno. Io sono logorroico e stavo cianciando qualcuna delle mie facezie quando una di quelle cose mi è uscita fuori dalla testa: un'idea.
I buoni vincono sempre. I cattivi mai, e se per caso questo dovesse succedere, si tratterebbe soltanto di un espediente narrativo escogitato per mostrare caratteri e situazioni altrimenti invisibili. Il mondo agognato dall'antagonista resterà sempre un luogo utopistico, un punto di fuga verso cui tendono le sue rapine in banca e le minacce all'ordine pubblico. Diventiamo supereroi e subito ci tocca fare la nostra scelta: eroe o cattivo? Siamo pragmatici: guardiamo le statistiche. Se saremo dei buoni, ci aspetta una lunga sequela di scontri, di pugnette mentali, di riflessioni sui nostri doveri e sulle nostre responsabilità. Sarà quel che sarà, soffriremo e soffriremo ancora, ma vinceremo, alla fine vinceremo sempre. Bello, ma non positivo, non felice e non consolante. Manterremo lo status quo, respingeremo le cosine maligne di chi, al contrario di noi, ha scelto di battersi per un' idea. Un idea megalomane, caotica, disorientante e catastrofica nei confronti di tutte quelle maggioranze che soffriranno per vedere soddisfatti i vari progetti tra cui ricordiamo governare il mondo, conquistare l'universo eccetera eccetera.
Ambizioni. Si tratta di ambizioni, di voglia di sbattere dolorosamente la faccia contro un muro di clichè secondo cui chi sta bene vuole continuare a stare bene e che per farlo istituisce dei canoni, delle filosofie di pensiero protezioniste volte alla difesa di un "più debole" già perfettamente integrato nella maggioranza e non bisognoso della protezione di nessuno. Gli eroi non migliorano il mondo purtroppo, lo mantengono cosi' com'è: vivo fino a data da destinarsi. Quelli dei fumetti, quelli della narrativa e del cinema non sono Antagonisti ma Cattivi, nati con idee cattive nel senso di inconcludenti, con parodie di idee. Sono pupazzi di antieroi lacunosi ma forti solo per mettere in crisi l'eroe e non il mondo che difende. Ci vorrebbero eroi con idee riformiste, sconvolgenti e malvagie nel senso di perverse rispetto al pensiero comune, di turpi in quanto rivolte a fare il bene per qualcuno di diverso dalla maggioranza. L'Antagonista a cui penso non vuole conquistare il mondo e restare cattivo, ma vuole diventarne a sua volta l'eroe. L'Antagonista che immagino non ha idee che semplicemente ledono al "bene comune" ma che ne sono diametralmente opposte, che appartengono ad una sfera di pensiero inaccessibile a chi si trova dall'altra parte della barricata. Ma sarebbe una lotta tra buoni, una storia verbosa, che non permetterebbe di identificarsi in nessuno, che non permetterebbe di estrarne dei modelli educativi validi come il rispetto per la vita eccetera eccetera. Mi pare lo dica anche Proust: il malvagio assume un comportamento tale mentre nel suo cuore immagina, facendo quello che sta facendo, di punire egli stesso un malvagio. Ma allora che cosa otterremmo, con questi sofismi? Dove andrebbero a finire le furie inconcludenti di un villain come si deve, dove potremmo leggere di scontri apocalittici, di regni spezzati dal tradimento, di grandi poteri e di grandi responsabilità? Non meritiamo una vita contemplativa: un uomo non vive di solo pane. C'è spazio per il divertimento, c'è spazio in abbondanza.

venerdì, ottobre 30, 2009

I'm the rubber, you're the glue

A volte mi capita di prendere l'autobus. Ultimamente pago anche il biglietto. Una cosa incredibile, credo sia diventata una specie di crociata personale, un piccolo dogma misterioso. Quando sento il campanello dell'obliteratrice scampanellare felice provo la stessa sensazione di quando infilo le chiavi nella toppa di casa. Percepisco l'abbandono di una tensione di cui prima non avevo avuto idea, una calma simile a quella che provo quando mi accorgo che qualcosa di noiosissimo è in procinto di finire. Però non è che mi senta bene, che sia contento: oggi non mi ha cuzzato di greco, e allora? Anche se è già qualcosa non credo la si possa chiamare gioia. Forse tutto sta in quel cazziatone che mi aveva fatto un controllore nervoso mentre mi attardavo nel timbrare il biglietto per vado. Forse si tratta dello stesso tipo di pensieri ansiogeni che avevo avuto quando avevo salutato calorosamente uno sconosciuto scambiandolo per qualcun altro, e poi me ne ero andato via senza dire niente. Oppure come quella volta che per scrollare via i capelli tagliati dal telo avevo toccato il ginocchio del barbiere ed ero rimasto terrorizzato da che cosa avesse potuto pensare, non di me ma del mondo e del genere umano intero e dall'idea che avrebbe potuto raccontare l'accaduto ad altri, e magari riderne. Ora mi viene in mente qualcosa di strano legato a Space Jam, ma è un pensiero che non riesco a elaborare.
Comunque sia chiaro che se timbro il biglietto e poi il controllore non sale ovviamente mi incazzo.

venerdì, ottobre 23, 2009

la logica della trilogia

Un anno e tredici giorni dopo "Il fantasma dell' Opera Pia" e due anni e diciannove giorni dopo "la fiera del male" ritorna per una terza, catartica, inevitabile volta Invisibile Baro, per raccontarci nuove avventure. I misteri, invece di risolversi, si sono moltiplicati e non sarà facile trovare una logica nella trilogia.

Prefazione a cura di Peter Dennis Blandford Townshend

Il farro era utilizzato dall'uomo come nutrimento sin dal neolitico. Gli piaceva pensare agli uomini primitivi di tanto in tanto, nelle pause scandite dal tè che personalmente gli veniva servito da quello stesso fantasma dell' Opera Pia. Nella sua cameretta, solitaria come un buco in una montagna, come una grotta, coltivava i suoi pensieri. Pochi, per dire la verità, e nemmeno buoni. Nè pochi nè buoni. Ma veri pensieri: cose che tengono accesa la testa. Guardava la pioggia: una pioggia in grado di sporcare, di fare casino, di cullare il sonno monolitico dell'uomo che aggiunge una coperta indiana sopra alle altre per avere più caldo. Gli uomini primitivi erano cacciatori o raccoglitori, o entrambi. Comunque onnivori. E' importante essere onnivori. Gli onnivori sono gli unici animali a cui rimane abbastanza tempo libero per poter socializzare, comunicare, imparare, studiare, andare in piscina. Pensando agli uomini primitivi, a quei capolavori involontari di essenzialità, finiva sempre per pensare all'orso. Sapeva che un orso può nuotare.

lunedì, ottobre 12, 2009

iPiroga, stasera ci racconti una storia?

E' provato : più cresci, più ti mancano i Classici Disney. Da un po' di tempo il tempo per pensare al tempo che passa non mi manca. Formulo teorie su tutto e tutti, sono un grande teorico della nostra epoca : un giorno farò un grande libro con quel bel situccio in rete; non so nemmeno se teorico sia una bella qualifica, forse sarebbe meglio pratico. Pratico, suona tutta un'altra cosa. Ehi, tu si che della vita sei pratico, sei uno che ci sta dentro. Scusa, hai detto Psicopratico? No, per forza di cose sono un teorico, l'esperienza di vita vissuta lo dimostra. E della mia teoria su Walt Disney vi ho mai parlato? Arrivo subito al sodo, per non rischiare di assomigliare ad un post di Baro : per me, tutte le sue storie, tutti i suoi personaggi, tutti i suoi cartoni, non se li è inventati mica, non sono mica solo cartoni. Sono veri, tutti veri. Non sono neanche frutto dell'immaginazione dei suoi disegnatori e sceneggiatori di fiducia. Sono veri. Simba è il micio dell'Irreprensibile, Red e Toby sono ancora amici-nemici nel bosco, Basil l'investigatopo è talmente vero da essere stato immischiato in una storiaccia di mazzette di Emmenthal. E poi c'è Peter. Alzi la mano chi di voi non crede in Peter Pan. Io lo so che la mia ombra avrebbe voglia di fare due passi senza che io la segua, io lo so che laggiù oltre l'orizzonte trovo l'isola che non c'è, io lo so che da qualche parte c'è una Wendy pronta a raccontare storie ad ognuno di noi. Perchè, in fondo, è proprio di questo che abbiamo bisogno, di qualcuno che ci prenda sulle ginocchia e ci racconti una bella storia. Non una favola, attenzione, una storia. La morale della favola la lasciamo ad altri, noi vogliamo solo il lieto fine che ci accompagni fino a domani mattina. Mattina dopo mattina, 17, 18, 19, 20, 21. Noi iPiroga siamo bambini sperduti, forse. E i bambini sperduti, in Peter Pan ci credono eccome. Quando il giorno se ne va, dopo aver studiato, faticato, cazzeggiato, torniamo qui alla tana, arrabbiati, stanchi, puzzolenti, tristi, felici. Speranzosi di trovare Wendy. E, ogni sera, lei è qui per noi.

venerdì, ottobre 09, 2009

implorava "picchiami!" perchè aveva schiacciato il mio piede

Mangio la semola.
Sento strofinare ancora sulle pupille l'immagine di Edu che fa la spesa, sono rimasto scioccato. Eccolo li' che compra lo zucchero, prima in zollette e poi di canna. Gli chiedo se vuole anche lui la semola, visto che io la mangio.
Mi guarda con l'occhio pazzo, come godo, ha proprio l'aria di quello che da vecchio il semolino lo rifiuterà sempre, con integerrima costanza.
La semola, che cosa strana.
E' difficile descrivere quello che provo quando la mangio, prima, prima che il boccone entri in bocca, lo so cosa provo: fame. E quando ruttando sancisco la fine del pasto lo so quello che sento: è appagazione. Ma nel mentre? Serenità? Leggerezza? Propedeuticità (all'appagazione intendo) ? Felicità?
Credo sia opinione comune pensare che la felicità sia candida, stia nelle cose semplici, si annidi comodamente in bianchi cuscini dai contorni definiti, in qualche recondito spazio della soddisfazione, accanto al pane fatto in casa ed ai piccoli, teneri, comunissimi gesti di ogni giorno. Ma perchè? Che cosa centra? Sembra una cosa semplice. Ma sembra perchè lo è, o perchè è favorevole pensare alla felicità come a qualcosa di semplice e alla tristezza come una cosa articolata? Complessa? Si dice no? "C'hai i complessi".
Mi dissocio, esistono felicità complesse e tristezze semplici e c'è di più: esistono felicità fatte di tristezze e viceversa. E se mentre mastichi la tua semola ci trovi dentro un seme di cumino, che ti fa schifo? E se quell' appagazione di fine pasto sarà invece gratitudine di essere scampato ad un piatto indigesto? O speranza che quest'ultimo non abbia ripercussioni sul tuo riposo? Esistono molte cose strane nel mondo, cose che non si svelano ad una prima, sommaria occhiata, una di queste è il fatto che il cus cus sia fatto di semola.

lunedì, ottobre 05, 2009

martedì, settembre 22, 2009

Parte quarta : epilogo

Siamo in un tempo lontano : imperfetto rispetto al terzo episodio, passato prossimo rispetto al secondo, passato remoto se paragonato alla prima e memorabile puntata...

Antonio è un bambino sveglio, ciuffo alla Gianburrasca, occhi vispi, piedi a papera che lo fanno sembrare un tantinello meno astuto di quanto in realtà non sia. Gli piace giocare a fare il grande, finge di essere adulto : è un gioco che gli riesce particolarmente bene la domenica, quando è a pranzo da suo cugino, quello più piccolo antipatico, quello che si crede proprio un bel bambino. Insomma non Marcellino. E' facile giocare a fare il grande con Matteo : a lui piacciono i pupazzi, i babacci e le sorprese, gli piace essere piccolo; basta poco per fingersi adulti con lui : è sufficiente un'occhiata seria, non rispondere ad una pernacchia, non simulare le puzzette con le mani.
Ma ovviamente Antonio vuole di più : e un giorno decide di mostrare a suo cugino la differenza fra un bambino e un uomo. E' domenica, per tutta casa si sente quell'odore inconfondibile di ragù della nonna, i grandi sono indaffarati a parlare di politica in cucina, non badano ai ragazzi, credendoli assorti nei cartoni animati di Domenica Disney.
" Sai una cosa? A me Carmen Sandiego dopo un po' mi rompe " - bofonchia Antonio in un italiano annoiato e zoppicante. " Avvicinati che ti dico una cosa nell'orecchio... " - e Matteo, garbato, porge l'orecchio al cugino; dopo gli fa cenno di si con la testa : gli interessa vedere la cosa nuova che ha scoperto Antonio. I due bambini si dirigono in bagno : Antonio apre un casseto e tira fuori un vecchio rasoio; doveva essere stato di suo padre, quando ancora abitava in quella casa.
Ed eccolo che sale sullo sgabello, agita la bottiglietta della schiuma, se ne versa un po' sul viso e, davanti allo specchio, si guarda beato il faccione bianco. Soltanto la testa spunta nello specchio, per fortuna lo sgabello è sufficientemente alto per permettergli di ammirarsi.
Antonio prende il rasoio e, delicatamente, se lo ondeggia sul viso, soltanto sfiorandolo : sta fingendo di farsi la barba, adesso si che è grande davvero.
A Matteo scappa un " Ooooh " di stupore : la cosa che suo cugino gli ha mostrato, questa volta è davvero interessante. " Dai ora scendi Anto, fai provare me " - protesta Matteo, ma il cugino non molla la sua postazione. " Visto ? Io sono un adulto ora, e tu noooo, iiiiiiiio siiiiiiii e tu noooooo; mi faccio anche la barba, vuoi sentire come sono liscio ? - canticchia Antonio, mentre suo cugino lo scuote notevolemente per farlo scendere. " Per piacere un po' anche a me " - lo supplica Matteo, quasi in lacrime, strattonandolo ancora. " Sei solo un piagnone mammone, che non diventerà mai grande " - e mentre Antonio pronuncia queste parole, accade il terribile incidente.
Lo sgabello si ribalta, facendo perdere l'equilibrio al bambino, che fluttua in aria per qualche istante, per poi cadere, sbattendo il naso sul lavandino bianco latte.
Il resto per Matteo e Antonio sono soltanto i fotogrammi che li divederanno per sempre : il sangue, le lacrime agli occhi, il pianto, l'arrivo dei grandi, il pranzo della domenica che andava a puttane, il dito di Antonio che si scagliava inesorabile contro il cugino.
Era stato Matteo a storgergli il naso, nella versione dei fatti di Antonio non sembravano esserci dubbi. Lo aveva reso deforme. Deforme, ma soprattutto umano, cosi' bisognoso di aiuto, cosi' piccolo fra i piccoli e minuscolo a cospetto dei grandi. Antonio non poteva sopportare tutto questo. Implorò sua mamma di non portarlo in ospedale ad aggiustargli il naso, cosi' da avere per sempre un segno tangibile dell'accaduto, qualcosa che gli ricordasse costantemente che avrebbe dovuto farla pagare a suo cugino Matteo. E sua mamma lo accontentò.

*

Il tempo è passato in fretta, Antonio è davvero grande ora, ed è appena uscito dalla camera di albergo dove aveva messo in scena il suo fallimentare menage a trois...

Stava caricando la pistola. Ta-tlac. Via la sicura. Il dottore glielo aveva spiegato : se con le donne non aveva avuto più succeso, se non gli si rizzava più, questo era dovuto solo e soltanto al suo naso. La sua disfunzione era causata dallo sconforto perenne che l'incidente gli aveva provocato. Era depresso cronico : cosi aveva detto il dottore. Dentro i proiettili, uno alla volta. Adorava quella vecchia Garrett che aveva acquistato clandestinamente. Il naso era la causa di tutto. Cosi' piegato a destra, cosi' storto, cosi' deforme. Tlac. La pistola era pronta.
Inoltre, i suoi piedi non l'avevano tradito. Era arrivato nel posto giusto, anche senza guardare dove metteva quelle papere con le scarpe : davanti alla casa di suo cugino Matteo. Un monolocale : finalmente si era deciso ad andare a vivere da solo. Non aveva perso il vizio del piano terra però; finestre sulla strada, un vero problema tutta quella visibilità.
Antonio si era pregustato mille volte quella scena : lui che appare dalla finestra, bello, maschio, un Bronzo di Riace, ma armato. Matteo che ignaro sta affettando l'arrosto, inabile, tagliuzzandosi tutte le manine. Matteo che tutto d'un tratto si volta per aprire il lavandino, e lo vede, dietro la finestra, con la luce gialla della stanza ad attenuare il riflesso. Dopo tanti anni all'improvviso lo rivede, potrebbe parlargli, spiegargli, ma lui ha una Garrett in mano puntata all'altezza della sua testa. Nessun sorriso, nessuna parola : solo il naso storto e il rumore dello sparo.
Bang.
La vetrata si rompe in mille pezzi. Il cugino minore che cade come corpo morto cade.
Antonio si allontana con discrezione, getta l'arma in un cestino, e prende il cellulare.
" Pronto, parlo con i signori chirurghi ? Ho cambiato idea, ho deciso di farmi operare al naso " .
Finalmente sarebbe stato di nuovo bello, di nuovo dritto, di nuovo maschio.
Il Bell'Antonio pronto per la sua Bella Enrica, o quantomeno, per il suo Bel Marcellino.

mercoledì, settembre 16, 2009

giovedì, luglio 23, 2009

dell'amicizia

Nel quale si illustrano i perchè e i percome di come si arriva a capire le persone, e di come alla fine le aspettative vengano sempre soddisfatte, anche se in modi poco chiari. Ragazzi, cosa ne pensate di me?

Due uomini si odiavano molto, ma che dico odiavano? Si odiarono sarebbe più corretto. è vero o no che avete pensato che ancora oggi questi due si odiassero? E chi ve lo ha mai detto? Siete forse giudici? Guardate la vostra trave prima di giudicare e piuttosto lamentatevi con me delle mie carenze circa la lingua italiana e delle carenze di quest'ultima, come vorrei ca'vesse l'aoristo.
Essi, a forza di stare davanti allo stesso televisore piuttosto che eleggendosi a fratelli per le affinità che li accomunavano diventarono amici, se cosi' si può dire. Ma mentre uno guardava filtrandola nella pazzia la sua vita futura in cerca, forse, di nuove persone da contagiare con la sua apparente tranquillità, l'altro covava, ma credo senza rancore, ancora qualche dubbio sull'altro e sugli effetti che esso aveva avuto sulla propria vita. Una piccola caverna piena di pagine stropicciate della gazzetta e di tubi di patatine vuoti? Un elegante attico pieno di silenziose attrattive accattivanti troppo biondo e bianco e pulito per non essere interiormente macchiato dalla brama di peccare sapendo di peccare, e di peccare facendo peccare anche gli altri?
E' quindi visibile con queste facili metafore il cuore della gente? La casa interiore dove le anime altrui trascorrono ore di contemplazione nell'amicizia.
Scrivi tuo nome suo nome.
Matteo, la vostra storia è una portiera aperta. Eduardo ha bisogno di avventura.
La vostra affinità è il 37 percento.

lunedì, luglio 20, 2009

Parte terza : non c'è trucco, non c'è inganno

Otto anni dopo...

Era mattina, quasi ora di pranzo. Il mago era in camera, fra le sue cianfrusaglie adorate : conigli di peluche, mazzi di carte, tube colorate. Stava preparando gli arnesi per la sera : era in programma lo spettacolo di magia sopra la Fortezza.
" Gabrieleeeeeeeeee, a' Gabbriiiiii " - una voce proveniente dal piano terra aveva spezzato quell'incantesimo.
Il mago decise di ignorare il richiamo, era troppo indaffarato per scendere e vedere cosa stava accadendo. Era un giorno imprtante : quel pomeriggio sarebbe uscito con quella ragazza carina, e poi alla sera ci sarebbe stata l'esibizione della sua consacrazione, lo show di magia che lo avrebbe lanciato finalmente nel mondo dello spettacolo. Non poteva fallire. Il mago lo sapeva: quella era la sua ultima occasione, il suo ultimo treno. Del resto non poteva fare il prestigiatore a bassi livelli a trent anni compiuti, la regola era chiara : una volta arrivati alla soglia dei trenta si doveva diventare Maghi con la M maiuscola.
" Ma Gabri, cucciolo caro! Ascolta a' mammà tua, scendi a mangiare che altrimenti la pasta si fredda " - disse più dolcemente sua madre, che aveva salito metà rampa di scale per farsi sentire dal figlio.
Da domani tutto sarebbe stato diverso : " tanto per cominciare - disse fra sè e sè mentre scendeva le scale accondiscendente - da domani vado a vivere da solo ".

*

Il mago era vestito come un pinguino, emozionato, gli sudavano le mani, e forse, senza tutti quei capelli ricci raccolti in una lunga coda dietro la testa, sarebbe potuto anche non essere considerato brutto agli occhi della gente comune. Alto, dinoccolato, era arrivato nel luogo prefissato con cinque minuti di anticipo : piazza del palmeto. "Che luogo di merda per il primo appuntamento " - aveva pensato quando lei glielo aveva proposto, ma non aveva neanche provato a contraddirla.
Enrica arrivò all'appuntamento in perfetto orario, e gli abbozzò un grazioso sorriso, avendolo intravisto da lontano : ma fu in quel momento che gli eventi rapidamente degenerarono.
" Ma tu sei una persona gentile! Ma lo sai che, pensandoci bene, ti ho visto l'altro giorno? " - gridò con voce nasale un ragazzo che indossava un casco integrale nero e se ne stava seduto su un motorino a pochi metri di distanza. La risposta di Gabriele, pensando alla sua recente conduzione del fortunato programma "Cozze bitorzolute a merenda", fu istintiva : " dove? in televisione? " - e nel frattempo una piccola folla di quattro o cinque ragazzi si era fermata incuriosita.
" No, dal fruttivendolo sotto casa mia parruccone coglione, ahahahahahha! Fatti una magia alla faccia cosi magari puoi rimettere gli specchi a casa " - e il gruppo di ragazzi rise fragorosamente alla battuta offensiva del centauro, che appena finito di parlare girò la chiave e spari' insieme alla sua voce nasale.
Fu in quel momento che Gabriele capi' , vedendo Enrica imbarazzata allontanarsi nella direzione opposta a lui, che non sarebbe mai diventato un Mago con la M maiuscola, e che, al massimo, nel suo futuro ci sarebbe potuta essere la conduzione di un' edizione di miss soleluna.
Questo accadeva nella piazza, mentre poco distante un Antonio visibilmente soddisfatto scendeva dalla moto, si sfilava il casco integrale e scambiava un fragoroso cinque con il cugino Marcellino.
Quel mago non avrebbe mai più contagiato la loro bella Enrica. (...)

venerdì, luglio 17, 2009

non si dà buca agli amici

Nel quale si illustrano i motivi e i modi per cui e con cui si da buca agli amici, nonchè le scuse che vengono poi presentate. Segue un'illogica seconda portata di stampo faceto, a concludere tirata morale, caffè e cordiale.

Lo guardo a lungo quel cellulare, lo schermo verdino con i suoi caratteri neri e grossolani mi riporta indietro nel tempo. Quante cose abbiamo fatto insieme, prima che ti spegnesse l'acqua della pioggia, come un pompiere paranoico che vede il fuoco anche dove non c'è. Quante cose abbiamo fatto insieme, quante volte abbiamo dato buca agli amici.
Ero li', incerto se dirgli che non sarei venuto, o che non sarei andato, che sarei stato libero per poco e che quindi preferivo restare al calduccio piuttosto che stare in giro pochissimo, e tu mi sei venuto incontro, con i tuoi modi garbati e distaccati proponevi la scusa della lontananza e dell'impossibilità tra due persone di comunicare a grande distanza. Quante volte mi hai aiutato anche solo col tuo silenzio che no, non andava comprato, ma bastava spegnerti. E tu, nel sonno dei tuoi circuiti, attaccato come al seno materno ad un piccolo trasformatore, saresti stato piacevolmente colluso alle mie inadempienze di amicizia. Eravamo amici io e te, mentre in modo non poi cosi' imperdonabile, ero un pò meno amico di chi richiedeva la mia presenza. E poi diciamocelo, da buco a culo il passo è breve, sia con l'alfabeto che con la ragione. Se dai buca non dai il culo, e se dai il culo un buco lo dai, ma è un culo di mulo, un culo sporco, disponibile ma tremendo, un culo amico, che si avvicina solo per permetterti di capire quanto faresti bene a declinare il tuo stesso invito.
In definitiva? Non si dà buca agli amici o per lo meno trovatevi una scusa decente.

giovedì, luglio 16, 2009

Parte seconda : i cugini di Campania

Diciassette anni prima...

Antonio correva nei prati, spensierato, cercando di raggiungere quella sottile linea che nascondeva l'orizzonte. Era davvero felice, ma era un marmocchio idiota. Infatti, aveva corso troppo, finendo per distaccare i suoi cugini, sagome lontane nei prati gialli campani.
Decise allora di cominciare a provocarli, sperando che per menarlo lo raggiungessero in fretta, ma Marcellino e Rodrizio erano ancora troppo distanti, e il fischio del vento copriva le offese di Antonio. Marcellino era un bambino esile, degno di un campo di concentramento, nonostante avesse sul groppone qualche anno di più : il diminutivo, quindi, non era casuale. Rodrizio e Marcellino non erano cugini, avevano solo un cugino col naso storto in comune, e per questo non avevano mai avuto remore ad odiarsi profondamente. Rodrizio del resto, il più giovane dei tre, doveva subire ad ogni ricorrenza le angherie dei cugini più grandicelli, e il suo rancore montava col passare degli anni, cresceva e cresceva. " Tu vivi in una grotta chiamata Rancore, Rodrizio " - gli avrebbe confermato in uno strip club un giovane irreprensibile, travestito da zingara, leggendogli la mano in quella che, fuori dal locale, poteva considerarsi una bella giornata di luglio. L'unico motivo che lo spingeva ad andare a giocare coi cugini era lei : la Sirena che ogni volta lo salvava dai tranelli di quei piccoli infami, la sorella di Marcellino. Enrica, oh Enrica. Enrica la regina del celebrità, di cui tutti e tre i giovani erano segretamente innamorati. Enrica bella e magnifica senza un'età, bella e magnifica senza pietà.
La cruda realtà : finalmente i tre si erano ricongiunti, quando Antonio inciampò in qualcosa nascosto nell'erba alta. Era un groviglio di corpi nudi. Rodrizio si copri' il viso con le mani : mai aveva veduto prima una donna ignuda ; Marcellino diventò più pallido di quanto già era ; Antonio fu quello che ebbe il coraggio di parlare per primo : " ciao Enrica, ma che belle mutande " .
" Non sono mie, sono di Babatunde ". Fu a quel punto che il negro, chiamato in causa, raccolse gli slip e tolse le tende, gettandosi a correre fra i girasoli, mentre un soave canto Gospel si intonava nei campi. (...)

martedì, luglio 14, 2009

Parte prima : se io se lei

La prostituta ci stava dando dentro come una cavalla.
Lui, il cliente, era rosso come un peperone, il corpo grasso sgusciava come un' anguilla agitata, i suoi baffoni neri seguivano il ritmo delle smorfie del viso deformato dal piacere, e dalla tribolazione. Lei, la donna di fatica, lo denigrava, apparentemente con il suo benestare : " armeggione, intrallazzatore, ti piace godere eh? Ti piace godere di me in questa casta alcova? "
" Non erano queste le consegne - la interruppe Antonio - non dovete dire una parola, dovete stare in religioso silenzio " . Però niente in quella stanza, neppure il silenzio, poteva essere ritenuto religioso.
" 'A capa 'e sotta fa. Perdere 'a capa a capa 'e còppa "- a quanto pare, nonostante le ostilità non fossero state ancora dichiarate concluse, il grassone aveva conservato la forza di parlare.
Il naso storto di Antonio, dalla stizza, sembrava ancora più piegato a destra : " Io vi pago per questa buffonata, ve lo ricordate? " . Il giovane si alzò dalla sedia e prese per il mento la mignotta e la tirò via dal letto, e lei non sembrò dispiaciuta di essere staccata dal corpo del grassone umidiccio. " Aggio capito...nun te si aiza o' pesiello, ah-ha! E' questo o' problema allora, per questo vuoi guardare" - disse la donna, e Antonio la schiaffeggiò a mano tesa.
Non si sentiva cosi' maschio da ormai molto, molto tempo (...)

martedì, luglio 07, 2009

Vol. I n°3. Considerazioni orecchiabili sull' opera di Gauguin "nevermore"

Chapeau...

Diversi individui, nella storia, hanno sentito il bisogno di tradurre ti amo in altre lingue; tralasciando l'elencazione degli scopi che hanno suscitato in molti questo desiderio, esprimo una sola considerazione di carattere generale: cretini. O porci missionari spagnuoli in vacanza nelle Indie.
In realtà l' idea della traduzione, di per sè infantile, cela degli spunti interessanti: questo soprattutto nel caso in cui la parola in questione sia intraducibile. In questi casi potremmo trovarci di fronte ad una di quelle parole speciali che sono la diretta emanazione dello spirito del popolo considerato, che ne so: Führer, colf o badante, carcadè, coca-cola, sorbetto (specialità della Tailandia).

Oppure nevermore.

Mai più. Quante volte abbiamo dovuto giurare da piccoli di non farlo più?
Con una bassa percentuale di possibilità di essere contestato (i lettori che omaggiamo con la nostra raffinata scrittura sono un esiguo manipolo), o smentito, posso affermare che l' idea del mai più, da intendersi nei termini della puerile lagnanza non lo faccio più, è un orrible componente dello spirito dei popoli che nel tempo si sono affidati alla morale della Chiesa.

Critica e embarrassment di Gauguin

In Polinesia no, non esisteva il mai più, e allora bisognava portarcelo, bisognava portare l' ipocrisia del pentimento a giustificare il peccato. Bisognava portare il peccato. Perchè senza il peccato non potevano esistere le prostitute, e senza il mai più, i peccatori. Ed ecco che il nostro grande Gauguin, ammiratore ed esperto dell' esotico, si rivela incapace di rinunciare al suo bagaglio inconscio di Europa e scrive "mai più" sulla tela che lo ritrae mentre salda il debito contratto con una polinesiana a pagamento.

Ora mi sorge un dubbio, alla luce di recenti avvenimenti, e se quel mai più si fosse riferito non all' atto di andare a puttane nel suo insieme, ma al mero pagamento?
L' etichetta ci impone di non parlare di Berlusconi.

sabato, luglio 04, 2009

primum, deinde

Fece un passo innanzi e tutto il corpo lo segui' nel centro della stanza.
"Io so il tuo nome, ed il tuo, ed anche il tuo!"
I tre, immobili ed improvvisamente vergognatisi di quello che stavano facendo rispettivamente si misero a tacere, si alzarono in piedi e si slacciarono le bretelle con un unico, perfetto, colpo di pollice.
Zio Peperone riprese il suo discorso: "So il vostro nome, e dunque vi posseggo. Perchè di vero in voi è soltanto il nome, e possedendolo posseggo voi e l'anima vostra."
Baro gridò "Un attimo! Un attimo soltanto!" e cosi' dicendo caracollava tra le selle inumidite dalla schiuma delle cavalcature e le stoffe di lana di lama che con i bauli riempivano il poco spazio tra i quattro lettini. La telecamera inquadra dall'alto le mani di Baro che adagiano febbrili un quarantacinque giri sul giradischi...in un attimo la stanza si riempie di Give Me The Night.
"Ma non voglio rendervi martiri o schiavi o soldati, benchè sia in mio potere, voglio soltanto conoscere e conoscere soltanto: in segno di buonafede, per augurarci ogni bene in questa avventura, voglio donarvi il mio nome, sicchè voi possiate disporne"
"E noi ti chiameremo Zio Peperone" risposero i tre all'unisono, mentre nella sierra maturavano i fichi.

Vol. I n°2. Notturno, in attesa delle riflessioni sul never more

Nella nostra passeggiata, per i sentieri della pornografia che conducono all' arte, ci siamo imbattuti in Guido Ceronetti, nella sua "la pornodiva".

LA PORNODIVA

Sono una pornodiva,
Pagata in pornolire
lavoro otto pornore
In piedi o a pornoletto
Per divertirmi suono
La pornopiva.
In una pornomansarda
vicino al pornoduomo
Ho due pornostanzette
Dove mi faccio al porno
Due pornocrocchette.
Apprezzo la pornocucina
Mi piacciono le pornoletture
Amo la pornogente
Scivo a mano le pornolettere
Ho una bella pornobambina
che sta con la pornonna
E' brava alla pornoscuola
Si prepara alla pornocresima
Nella parrocchia di Santa Pornina.
Oggi ho la pornocrania
Già ho preso una pornopirina
Nessuna voglia ho di pornare
Sul solito pornoset
Ma con una pornofonata
Mi hanno pornovocata
D' urgenza per le set.
Passo dal pornobar
Fumo due pornoboro
Salgo sul pornobus
Fino a Porta Pornobaldi.
Giro una pornoscena
Con la Pornuccia e la Pornella
Una gita in Pornogallo
Da farsi a San Pornestro
Ci fa tutti un po' sognare
Noi del club di via Pornova
Mentre mangiamo pornopizza
In una pornozzeria...

Aiuto! Presto, una pornoambulanza!
Ho preso troppi pornoturici!
Quattro o cinque Pornutal...
Ma non è poi gran male
Andrò su tutti i pornali!
Dì, fa notizia una pornodiva
Qui sola e triste, più morta che viva?

venerdì, luglio 03, 2009

sono ottime con la maionese

E la città era grande, e grandi erano le sue porte e le luci che l'addobbavano di multicolore giovinezza. Era ovunque grande grandezza tanto che quella degli uomini sembrava introvabile, come se per contrasto i grandi animi le grandi virtù ed i grandi cuori non se la fossero sentita di proliferare. Entrò nel quartiere che dava sul porto e di qui entrò in una via parallela, sconosciuta ai turisti, su cui si affacciava la taverna in cui aveva deciso di trascorrere la notte, il suo nome era "La Proroga Della Piroga". Arrivato nella sua stanza la trovò occupata da altri tre avventori, due di loro stavano discutendo.
"Io, capisci quello che ho pensato? Un albero maestro. Con la lavagnetta ed il gesso e magari una bacchetta ricavata da uno studente somaro. Si! Che goduria, magari un melo sarebbe lui si, eccolo, quasi lo vedo, come velato d'ottone e saliva: l'Albero Professore, il maestro di frondose fronde!le fresche frasche di"
"Irreprensibile calmati, mangia una prugna...le prugne sono buone...ti piacciono...ti fanno cagare..."
Mentre il più sgambato, che si chiamava Rodrizio, cercava di far inghiottire alcune prugne all'illuminato oratore, giunse sonora e nasale la voce del terzo, che fingeva di parlare nel sonno:
"O ti piacciono o ti fanno cagare, o ti piacciono o ti fanno cagare, o ti piacciono o ti fanno cagare o ti..."
e tra le coperte lercie si agitava come un ossesso continuando la sua cantilena sempre più forte: "O TI PIACCIONO O TI FANNO CAGARE!"
Il suo nome era Baro.
E Zio Peperone, che ancora per pochi minuti non si chiamava ancora cosi', capi' che in quella stanza avrebbe preso forma il suo avvenire...

sabato, giugno 20, 2009

l'accumulazione come figura retorica

...e lui, che aveva capito male, restò sulla montagna per tre anni.
Fu cosi' che per la prima volta, l'Incertezza approdò sulle sponde granitiche ed opache del suo pensiero adolescente e chiese: quale è stata la tua colpa per tutto questo?
Zio Peperone osservò il freddo della montagna e l'infertilità della roccia e disse "della mia colpa sa il guanto toccato senza permesso"
Comparve allora l'Irrequietezza, tingendo di miraggi gli orizzonti della sincerità del suo pensiero e domandò: tu espii già la tua pena nella lontananza da casa e guardati, sei solo un bambino, prendi questi tuoi piedi e monda le tue colpe là dove il tempo è più mite e la terra reca frutto.
Egli scrutò ancora una volta l'impenetrabilità della montagna e l'incomunicabile alienità della roccia e rispose all'Irrequietezza: "fui imputato e non giudice, accetto la pena in tutte le sue forme cosi' come accetto la legge di natura"
E l'Incertezza e l'Irrequietezza ritornarono da dove erano venute, contente soltanto del fatto che le loro domande avevano generato una risposta.
Ma venne un terzo visitatore che pose a Zio Peperone una terza domanda, a cui questo non seppe dare risposta diversa dallo scendere a valle quella stessa sera...

mercoledì, giugno 17, 2009

Vol. I n°1. L'inizio del percorso

Ridare un tocco di stile a iPiroga, ricominciare come promesso la sagra dell' arte, rinomato appuntamendo editoriale, solo questo mi preme.

In medias res...
Sulla pornografia molto è stato scritto, molto poco, per lo meno da me, è stato letto. Non mi è difficile tuttavia relazionare la pornografia all' arte. Una relazione evidente. Ancora una volta trovo confermata quella deliziosa massima, il noto ci è sconosciuto, sicuramente frutto di un pensatore di cultura francese: dunque se mi interrogo sul motivo di tale scontata associazione non posso far altro che perdermi in un flusso di pensieri.

Prima di tutto penso alla mia formazione, alle prime forme d' arte colle quali io sia venuto in contatto: l' arte sacra, senza alcun dubbio. E quando si parla di sacro nello stesso post in cui si parla di pornografia si evoca un tabù. Sicuramente non vi stupirà sapere che la parola tabù deriva dall' inglese taboo che a sua volta deriva da un vocabolo polinesiano: tapu; più interessante invece sarà la considerazione del fatto che tapu, in polinesiano, vuol dire sacro. Tabù mi fa pensare a Freud. Freud mi fa pensare al Novecento. Il Novecento alle vignette satiriche pornografiche. Ecco trovato il nesso!

Il Novecento, il secolo del sesso, l' osceno che si fa arte per nascondere i pudori di un qualche ipocrita, sicuramente omosessuale. Le cause, i sintomi, gli effetti: non sapremo mai se sia stato Freud, con le sue banalità, a riportare gli individui che si riproducono a parlare di sesso, o se si sia trattato di un' esplosione carnevalesca dopo secoli di chiesa. E possiamo intrattenerci a lungo con quesiti di tal sorta, salvo modificare il significato che siamo soliti attribuire alla parola intrattenimento, o in alternativa passare dal mondo delle idee al mondo dell' arte.

Ritorniamo ai polinesiani. Ci imbattiamo necessariamente in Paul Gauguin.



Le notazioni sul colore le lasciamo volentieri a coloro che, nel descriverci un quadro, ritengono di essere i soli dotati del dono della vista, e spiegando, come si spiega ad un cieco, quanto sia bello quel giallo o spessa quella pennellata, si fermano alla superficie del dipinto (forse la prospettiva avrebbe dovuto giocare un ruolo maggiore nel turbare le menti di questi Caran d' Ache). Noi invece dimostreremo come dietro ogni dipinto vi sia una storia, e non un lieto fine. E partiremo dalla Polinesia, forse per arrivare a Egon Schiele, se non sbagliamo Reeperbahn.

domenica, giugno 14, 2009

sabato, giugno 13, 2009

mi sono ricordato che ognuno si scrive senza i

C'era una volta, ieri, un uomo del cui nome non sapreste che farvene, perchè tanto non lo conoscete, e comunque non è importante. Quest'uomo aveva tre figli, ognuno dei tre aveva due figlie, tutte maritate, e tutte avevano avuto un figlio. Da questo si deduce che tutti i figli avevano cognomi diversi. Uno di loro abitava in una casa nè troppo grande nè troppo piccola, dove la pulizia e la modestia erano le uniche cose veramente ostentate. Un grande silenzio riempiva la casa, troppo grande per il bambino e troppo piccola per il padre, che per motivi che non ci sono dati conoscere, stava sempre in giro e tornava solo il giorno di santa Liberata.
Uno di questi giorni, entrando in casa, trovò il bambino che giocava con i suoi guanti e per questo gli diede uno sganassone, dicendo: "vai sul monte e pensa tre giorni a quello che hai fatto, quando tornerai troverai una ricompensa ad aspettarti"
Fu cosi' che Zio Peperone, che ancora non si chiamava cosi', si incamminò nell'imbrunire verso la cima...

giovedì, giugno 11, 2009

zio peperone

Quando sono nella doccia mi sembra chiaro cosa voglio scrivere, poi arrivo qui e boh, tutto tace. Sarà colpa di questo? No, ho paura che se metto la musica sarò traviato, offuscato, confuso. E invece voglio raccontarvi una storia.
Ma non è una storia da vecchio stronzo cantastorie sparacazzate ubriaco di sinistra seduto su un ceppo circondato dai suoi discepoli debosciati che si fanno le canne e suonano la chitarra osannandolo, no.
E' semplicemente una storia, una cosa poco nonsense, a cui potrete attribuire il senso che vorrete.
E non è una storia di quelle da uomini con la bocca grande ed il pisello piccolo che nei loro ritrovi si danno manate sulle spalle e cantano canzoni di destra che inneggiano a fatti che non hanno mai sperimentato.
E non è nemmeno una storia da saccentoni di centro, che si scaccolano con le dita degli altri per non sporcare le loro, e che ciarlano di vento e giustizia insieme a quegli altri modaioli dei non-schierati e degli apartitici.
Eppure, non si tratta di una tirata sulla politica, o di un dramma a tesi o di un racconto senza nome, tramandato oralmente da vecchi saggi illuminati imbottiti di viagra, è una cazzo di storia, o fiaba, o favola, e non mi interessa se ci sono o no animali che parlano o si fanno di coca o se l'eroe ha un obiettivo o un fine, è una storia vecchia e sporca e rude ed ingiusta proprio come la vita, è la storia di

Zio Peperone

mercoledì, giugno 10, 2009

domenica, giugno 07, 2009

mercoledì, giugno 03, 2009

martedì, giugno 02, 2009

lunedì, giugno 01, 2009

sabato, maggio 30, 2009

Ah AH

Aiutiamo Rodrizio a fare dell' iPiroga una merda

Coraggio Baro, posta anche tu qualche foto di berlusconi, o qualche fotomontaggio di bassa lega copiato da qualche altro sito!








Coraggio Baro, posta anche tu qualche foto di berlusconi, o qualche fotomontaggio di bassa lega copiato da qualche altro sito!

TRANS-ART

Collezione privata, Arcore, Brianza (Italy) .

venerdì, maggio 22, 2009

Sarai mondo se monderai lo mondo

Quel poveretto sul treno dormiva, aveva una faccia da schiaffi. Teneva tutte le sue quattro cose nelle tasche pulciose e stringeva compulsivamente una borsetta tra le gambe. Teneva qualcosa di prezioso li' dentro?
Aveva anche velleità artistiche: leggeva, se si può legger dormendo, un libro preziosissimo di un brillante autore russo. Chissà come fece a svegliarsi in tempo, su quel treno per Ventimiglia. Si può parlare di fortuna? Aveva certamente una faccia da schiaffi, complice il caldo.

domenica, maggio 17, 2009

le arcate dentali, è un qualcosa che mi irrita


Il nostro nostromo mostrava avanzati timoni inoffensivi nei vasi dei vicoli, i riccioli oleosi si lavavano lavandoli con olii di lavanda. Le lavandaie, levandosi, levavano le sete lavate anzitempo e nella slavata luce della valle lavica, si avviavano verso i lavatoi. I buoi, da buoni fratelli, non erano da meno e vedendo nei coltelli una minaccia bella e buona, si abbonarono, con tanto di tessera, al partito, conformandosi a coloro che delle confetture avevano fatto confezioni di confessioni. Che dici? Gli chiesero. Rispose una portiera: "Apritemi! Si' che io abbisogno di essere aperta, mentre la macchina và"

giovedì, maggio 14, 2009

L'ISPETTORE D'ERRICO

Giuocare con le parole.
Fatue EMorroidi SnoB apPplaudiscono eccitate!

ENIGMA RISOLTO

metropolitesse

è un periodo in cui osservo le unghie. 
ce ne sono molte di unghie: unghie edibili, enigmatiche, affabili, a mandorla, lunghe, corte, robuste, taglienti, infette, perfette, dipinte, smaltate, laccate, spaccate, nere, tetre, unghioni ed unghiette.
mi guardo le unghie e penso: "in quale modo se le guardano i finocchi?"
ecco che arriva una vecchia, vecchia misteriosa, vecchia di umili origini, vecchia strega, anziana, vecchia megera, vecchiarda, matusalemma, mummia, sdaura, catafalco, sarcofag...che palle questo sole! Continua a darmi nelli occhi, e tu che vuoi vecchia bifolca? Che compri i tuoi funghetti? Le tue mele? I tuoi asparagi ripieni? Ah maledetta, lo so che cosa indichi, con le tue lunghe unghie unghiose, coriacee, adunche, indichi la mia macchina da scrivere. Ebbene non l' avrai! E' una macchina magica...che canta e suona sincopata le cose che ci scrivi. No, non è un organetto. La vuoi sentire eh? E se la vuoi sentire balla allora, matusa! Come facesti ai tempi del cretaceo, al ritmo delle mie parole:" one ipiroga rap, sa nuove valiame!"

sabato, maggio 09, 2009

Cogitabis Tu

Giuocare con le parole.
Fatue EMorroidi SnoB apPplaudiscono eccitate!
Piovresche affermazioni fanno venire meno la fede nella parola. Tutto si puo fare: ottenere, persuadere, abbindolare, godere e far godere. Sembra che la cosa più difficile sia dire la verità.
Fatue EMorroidi SnoB apPplaudiscono eccitate!
Sono irreprensibili nel giocare con le parole, sono equilibristi che lasciano estasiato il pubblico:
Fatue EMorroidi SnoB apPplaudiscono eccitate!
Al circo della vita, dove nell' errore sta la soluzione, e la verità sta nell' errore, la soluzione è una verità!
Fatue EMorroidi SnoB apPplaudiscono eccitate!

Riprende oggi la distribuzione della Nova sagra dell' Arte, rivista poco letta di cultura non generale.

venerdì, maggio 08, 2009

plum cake (la madeleine de no atri)

Devo avere otto o nove anni, è una grigia mattinata piovosa.
Nel pomeriggio farò merenda, guarderò i cartoni animati, mi spaventerò senza motivo e dormirò il sonno misterioso dei bambini. Al momento, sono al telefono con Zeus, ci diciamo cose, parliamo.
Sono improvvisamente nel bosco, ho sedici anni o giù di li', torno dal fiume a torso nudo, indosso una lunga sciarpa giamaicana. Rido, vedendomi cosi', e mi giro sentendo quelle risate dietro di me.
Sono in ospedale, un'anestesista dai grandi occhi blu mi chiede se sento qualcosa quando mi tocca la gamba. Non sento niente.
Mi risveglio dall'anestesia, siamo due o tre anni nel passato, non ricordo molto bene, sono in una clinica questa volta, non diversa dall'ospedale di prima. Sto leggendo il grande Gatsby. Ora sono sufficientemente lucido da capire che non mi ricorderò niente se leggo adesso, subito dopo, ma sarà come averlo letto da addormentati. Si potrà poi leggere dormendo? Sarebbe una soluzione. A cosa? Ma non mi importa nulla. Sto dormendo sulla spiaggia e la mia unica preoccupazione è quella di perdere il traghetto. Mi alzo che sto ancora dormendo, tiro una capocciata, ma questo non posso ricordarmelo! Come faccio a saperlo? Rimonto sul letto a castello tra gli insulti, la gente vuole dormire, chissà cosa ho sognato. Forse ho parlato nel sonno. Rimetto la testa sul sacco a pelo, cercando di prendere sonno, mi concentro sulla lucina rossa degli alberghi, anni dopo capirò che si tratta del condizionatore. O di qualcos'altro, comunque ero stato io a capire dove stava l'asse da stiro, anche se ormai dovevamo tornarcene a casa. Come quella volta in pullman, che la prof di italiano mi raccontava della bellezza del silenzio degli innocenti. Sette mesi dopo, cinque giorni prima, un'estate fa. Sento che mi sto osservando, dalla parte sbagliata di un armadio-specchio. E' fessurato, e la mia immagine si triplica, volteggia come una falena verso le fessurine di luce che vedo al...e pisto mi racconta, alla fermata dell'autobus, di quello che mi succederà. Sono pochi i profeti che se la son sentita di dire qualcosa su di me, li guardo, incollando tra l'oro sguardi dati con occhi diversi, uno in particolare è piuttosto corpulento, parla di rane che avevano ingoiato monete, di rame. Una storia ironica. Sono finalmente arrivato alla seconda boa, da solo, una bracciata dopo l'altra, guardando continuamente sott'acqua terrorizzato dalle meduse e salgo, sotto di me, il buio delle posidonie. 

giovedì, maggio 07, 2009

lunedì, maggio 04, 2009

Er coltello

Ar mio, sopra la lama ch'e' rintorta
C'e' stampata 'na lettra cor un fiore;
Me lo diede Ninetta che m'e' morta,
Quanno che me ce messi a fa' l'amore

E quanno la baciai la prima vorta,
Me disse: - Si m'avrai da da' er dolore
De dimme che de me nun te n'importa,
Prima de dillo sfonnemece er core. -

E da quer di' che j'arde el lanternino
Davanti a la crocetta ar camposanto,
Lo porto addosso come un abitino.

E si la festa vado a fa' bisboccia,
Si be' che ci abbi' tanti amichi accanto,
Er mejo amico mio ce l'ho in saccoccia.


(Cesare Pascarella)

sabato, maggio 02, 2009

venerdì, febbraio 20, 2009

Che il bello e l'incantevole
siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d'artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d'oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere,
non somigliano a noi, effimeri,
non raggiungono il fondo dell'anima.
No, il bello più profondo e degno dell'amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella,
le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d'aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.
Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo ciò che il vento
ha scritto sulla sabbia.

(Hermann Hesse)

venerdì, febbraio 13, 2009

rancido, privato, solitario

Sono rimasto solo.
Tutto è freddo intorno a me, freddo e vuoto.
La mia mente ritorna a qualcosa di altrettanto freddo e vuoto, penso a calori che si sottraggono da bestie in calore in case riscaldate da pompe di calore.
Ma sono in un frigo, in un frigo vuoto.

Ci fu, molto tempo fa, un periodo in cui postavamo a ripetizione,in una Gara dei Post, che si prolungava nella notte fino a quando il sonno non aveva la meglio sull'irreprensibilità dell'Irreprensibile o sul cattivo gusto di Rodrizio.
Non erano tempi felici e nemmeno moderni, erano tempi diversi.

Sono uno yogurt, lo ammetto. Guardo intorno a me, nei ripiani superiori che posso osservare essendo in uno di quei frighi con i ripiani a bastoncini. Non c'è nessuno, nemmeno la caratteristica gamba di sedano ed il mezzo limone ossidato: niente.
C'è solo una luce tremula in cima al frigo, non si accende da mesi.

Ho incominciato la scalata ieri, per raggiungere la luce. Anche se la luce è spenta. 
Il frigo ha cominciato a mugghiare e a vibrare, come una divinità vulcanica irata. Mi vuole dissuadere, ma raggiungerò la luce spenta, costi quel che costi il costo della luce.

E' il quinto giorno di marcia, ormai sono al secondo ripiano. Il freddo comincia a farsi sentire ora che sono più vicino al freezer. Eppure mi ricordo di un tempo lontano, un tempo in cui qui dentro faceva freddo davvero, mentre ora sono solo dentro ad un armadio collegato alla corrente.

Raggiungo la vetta, ansimando. Vorrei dire che la vista è stupenda da qui, ma non è vero. E' tutto come prima: con i ripiani delle uova vuoti e maestosi come montagne in negativo.
Mi avvicino alla luce. 

Provo con tutte le mie forze a far scattare l'interruttore.
Ma i frighi non funzionano cosi', si accendono solo se li apri.
Mi specchio nella lampadina: sono uno yogurt, e sono scaduto.


giovedì, febbraio 05, 2009

IED: Improvised Explosive Device

Mi fanno sdraiare sulla sedia. Anzi sul lettino. Come si chiama quello del dentista? 
Sdraio non è appropriato, comunque mi ci sdraio.
Si sta abbastanza comodi, è questo il punto.
Si sta talmente comodi che mi sembra di volare, ma non si trata dell'effetto di un anestesia che ad ogni modo poi non mi hanno nemmeno fatto, diciamo che sembra di essere in aereo.
Immagino che, dopo l'otturazione, mi alzerò da quella sedia ed uscito in strada, mi renderò improvvisamente conto di essere in un altra città.
Boston, Lione, Osaka, Oslo, Lima, Levaldigi.
Poi mi colpisce un'analogia con un altra sedia, comoda anch'essa, una poltrona.
Il cinema.
In aereo il cinema lo mandano già, in piccole tv private oppure in sedici pollici troppo lontani e male inclinati. Ma non è quello, lo schermo, che turba la visione dello show. E' che ti manca tanto la la privacy di casa tua, quanto la mondanità di uno spettacolo affollato. Non sei nè a casa nè al cinema, sei in aereo: affronta la realtà. Il cinema è un servizio in più, devi mantenere la concentrazione stretta sul fatto che, in realtà, il tuo obiettivo è quello di andare dal punto A al punto B e non essere intrattenuto.
Il cinema l'aereo il dentista hanno qualcosa in comune, un segno distintivo sottile che non individuo facilmente. Soffrire con la bocca aperta, viaggiare, perdere due ore della propria vita per vedere/sentire/provare una storia, che cos'hanno in comune?
Immagino un mondo futuro, il mio, dove gli impegni non aumentano ma vengono invece condensati. Un mondo dove gli aereoplani sono anche cinema e viceversa, dove le prime visioni vengono proiettate ad alta quota in gigantesche camere pressurizzate. Dentisti da cui la gente, quando esce, non si dirige verso casa ma verso l'albergo, l'hotel, il ristorante prestigioso di Minsk.
Vedo un mondo multitask, dove l'attenzione viene continuamente attratta da qualcosa di utile: la manicure durante la lampada durante il taglio dei capelli durante l'ascolto di un nuovo singolo di Giusy Ferreri guardando X Factor nel tragitto che separa A da B.
Mi ricordo di Kim, il gioco dei cinque sensi: solo che qui i cinque sensi, il dolore per un otturazione distale, l'estetica, il sesto senso ed il settimo dei cavalieri d'oro, tutti quanti nessuno escluso, sono attivati, ottenebrandosi inevitabilmente l'un l'altro.
Senti ancora il cosmo bruciare dentro di te?

giovedì, gennaio 29, 2009

non suono la chitarra

la carta da parati
pareva proprio amata
nel farla si era armata
patendo vera pena

giovedì, gennaio 22, 2009

la festa

fece le bizze sulle piste
gli dissero con garbo:
impara l'arte da chi si fa da parte
adirato, si concesse di ridere di un orbo
la macchina si mise non distante,
là dove poteva guardarlo

venerdì, gennaio 16, 2009

pecore grigie

Dando le spalle
alla foto di un luogo famoso
addento una fuji:
mia madre ne ha comprati dieci chili

lunedì, gennaio 05, 2009

lunedi'

bussa alla mia porta
un venditore di calendari
se il palazzo pensa male di me
sono finito
l'estasi sta nel pagarlo
quanto quell'ombrello
che non abbiamo mai usato

sabato, gennaio 03, 2009

Marrone ( Brown )

La solitudine garbata di uno stronzo nel gabinetto
Le foglie dell'albicocco a novembre
La sacher spiaccicata sulla vetrina dell'ebreo
La scrivania ikea scheggiata
Il cappello di paglia marcito
Il mocassino di seconda mano
I pupazzi di cip e ciop
L'impermeabile del tenente colombo
I gusci delle castagne
La legnaia del giovo
La pelle dei venditori di rose
La marmellata di marroni
La faccia di cuoio
La pentolaccia bastonata
Quindici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rum

venerdì, gennaio 02, 2009

la tonica

chiamavano 
dissero che il caffè era pronto
non sapevo cosa volesse dire 
a quel tempo
e ciò che so di queste cose
lo seppi solo dopo:
le seppie lo sapevano

quando ci si dimentica delle cose

Mi siedo, su un lussuoso trono.
Mi siedo su un lussuoso trono, appoggiato al palmo della mano.
Sono così discusse le mani degli altri. Delicate, d' oro. A volte grasse. Altre volte unte di focaccia, con il prosciutto: io non posso sopportarla; la focaccia col prosciutto è la focaccia che si fa donna. E le mani sono soltanto arnesi. C' è addirittura chi tende ad attribuire alle mani delle responsabilità. E' il caso di mani pulite. E' il caso di Ponzio Pilato. Ci dev' essere una spiegazione antropologica a questa centralità delle mani. Forse per via del sassofono. Non credo che sia per via della bicicletta, che secondo la nota barzelletta può essere condotta senza mani, nè piedi, nè denti. Io li adoro, i denti. I piedi invece mi creano un certo disagio. Una certa repulsione. E pensare che esiste una, come potrei definirla, corrente di pensiero, che li studia; una specie di lettura della mano, solo che si fa con i piedi. Una bella trovata per le coppie che non hanno più niente da dirsi, e un sacco di cose da inventarsi. L' idea di base è chiara, i piedi sono il simbolo di quanta strada faremo. A nessuno oggi verrebbe in mente una scempiaggine del genere, ora l' idea della strada come ascesa personale è quanto meno demodè: la maggior parte del tempo la passiamo seduti. Per strada ci stanno i barboni. Per le mani invece c' è ancora un minimo di credibilità, una speranza. A una condizione, che non si cammini sulle mani. Le mani aprono le porte. Puntano tutto sull' impair. Stanno a vedere se succede qualcosa.

diesis

di tutte le ipotesi
restò soltanto 
la speranza di non tagliare i limoni,
sarebbero rimasti ancora
a ricordare la casa