martedì, maggio 22, 2012

Pour faire le portrait d' un oiseau

Come fare il ritratto a un uccello; consigli di Jacques Prevert.

Dipingere una gabbietta:
lasciarla aperta;

poi: dipingere qualcosa di grazioso,
senza pretese.
E di bello,
che gli possa servire.

Adagiare la tela ad un albero,
in un giardino, in un bosco o in una foresta;
voi dietro, nascosti,
senza fiatare, immobili.
A volte arriva presto,
altre non si decide.

Non perdere la speranza:
la riuscita del quadro non dipende dal tempo d' attesa;

sperare per anni se occorre.
Se arriva.
Quando arriva:

rimanere in silenzio; quello entra nella gabbietta.
Quando é dentro:

disegnare una porticina.

Poi, una ad una, cancellare le sbarre.
Senza sfiorargli le penne, con cura.

Dipingere per lui le fronde più belle,
la brezza silvana,
un po' di polvere di sole
e l' accordo delle cicale nella calura d' estate.

Se l' uccello non canta,
segno nefasto: è un quadro che non si può vedere.
Ma se canta è un buon segno,
è il segno che è venuto il momento di firmare.

Fregate una penna all' uccello
e scrivete il vostro nome in un angolo della tela.

Tra sei mesi a quest'ora sarà buio

- Buonasera, in cosa posso esserle utile?
- Ho chiamato per avere un'informazione, è possibile?

La suite non è troppo diversa da come l'ha trovata, giusto le scarpe appaiate vicino alla porta gli danno un senso di possesso. Fuori piove da due giorni e nell'altra stanza ha lasciato la televisione accesa su Caccia a Ottobre Rosso. Il volume è abbastanza alto da trasmettere un lontano senso di compagnia ma ancora troppo basso per essere intelligibile. Aveva anche valutato se spegnerla, prima di chiamare la reception, col timore che la compagnia di una televisione potesse essere intuita e suscitare chissà quale elaborato sentimento di pietà. Come quello che si prova per i bambini quando hanno paura del buio.

- Certamente signore, mi dica.
- Innanzitutto puoi smetterla di chiamarmi 'signore', come dicono nei film. Il mio nome è Luca, chiamami Luca e dammi del tu, se non ti dispiace.
- Va bene, Luca. Cosa volevi chiedermi?
- Avete fiammiferi? Dell'albergo intendo.
- Certamente, dovrebbero essercene due scatole nella cassettiera alla sua destra. Alla tua destra.
- Capisco...e cosa c'è sulla scatola?
- Un pettirosso azzurro.
- Come il nome del...
- Esatto Luca, un pettirosso azzurro su sfondo grigio.
- ...
- Serve altro?
- Si, mi faccia trovare due di queste scatole al tavolo della colazione. Domani mattina intendo. E ritorniamo al 'lei'.
- Certamente signore.
- Meglio così. Non serve altro.

Non serviva altro? In italiano la formula 'so come devi sentirti' sembra sempre usata più con il verbo all'imperativo che al condizionale. E' un vincolo della lingua o una presunzione necessaria perché non ci si senta dissociati e stanchi e furibondi? Effettivamente non serviva altro, all'ultimo piano di quell'hotel. Hotel, l'unica parola italiana che mi viene in mente quando penso a qualcosa che cominci per 'H'.

Parlando di fiammiferi la mente gli era tornata a quelli di Prévert. Ma immaginare la vita come un rimedio all'insonnia, cosa che gli venne spontanea dopo quella associazione di idee, lo infastidì. Comunque erano fiammiferi che non avrebbero acceso niente, tantomeno sigarette; almeno fumate da Luca, che tre giorni prima aveva deciso di smettere. 
Non è per nessuno, spiegherà il mattino seguente al cameriere della colazione, sveglio dalle cinque di quello stesso giorno. Soltanto che domani mattina non pioverà: è come parlare di un altro universo, rispetto a stasera.

sabato, maggio 12, 2012

Incompiuta n.8

Dicono che quando i dinosauri si estinsero, fosse una bella giornata di sole.
Ogni tanto, mentre dormo e sogno di camminare per strada, mi accorgo di avere grande sete di risposte; giusto per fare un esempio, nei sogni vorrei tanto sapere se il detto "Un nichelino per i tuoi pensieri" sia stato introdotto nella società da Topolino, o viceversa.

D'un tratto mi sveglio, nella stanza risuona la voce di Wikipedia:  "Con destino o fato tradizionalmente ci si riferisce all'insieme di tutti gli eventi inevitabili che accadono in una linea temporale soggetta alla necessità."
"Se compri il drum invece delle sigarette, risparmi un bel gruzzolo a fine mese" - penso intrappolato in un pallido stato di veglia.
Linea temporale soggetta alla necessità. 

Ora sono sveglio, e sono fermamente convinto che alle scuole elementari e medie debba essere ripristinata l'ora di educazione civica.
La voce continua: "Nonostante i due termini siano usati in modo intercambiabile, il fato e il destino sono due oggetti distinti. Il fato è una conseguenza determinata da un agente esterno che agisce su una persona o su un'entità; invece col destino l'entità partecipa attivamente alla conseguenza di un progetto che è direttamente correlato a sé stesso. Nella pratica divinatoria il destino non ha alcuna delle connotazioni negative del fato. Il destino non può essere costretto ad agire su qualcuno; se si viene costretti dalle circostanze, allora si tratta di fato."
Il mio cane fa un'enorme cacca gialla in mezzo alla strada; mi guardo intorno: nessuno mi sta osservando.
Si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo.
Non la raccolgo.

"...la sua personale opinione è che l'origine del linguaggio vada cercata nel canto, e l'origine del canto nel bisogno di riempire con un suono un'anima umana sovradimensionata e alquanto vuota."
Ci sono mattine in cui non vorresti più tirare fuori la testa da sotto al cuscino, perchè solo da laggiù il mondo sembra meno insensato. L'anima meno vuota.



Edu all'improvviso apre gli occhi, mi guarda ed esclama: "L'importante è compiere il salto della propria ombra."
San Cosimo dorme, San Cosimo è sveglia.
A pensarci bene, il mito della caverna era molto convincente.

"Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: quello in cui l'uomo sa per sempre chi è."
Dicono che quando i dinosauri si estinsero, fosse una bella giornata di sole.
E forse, dopotutto, era giusto così.

domenica, maggio 06, 2012

hotel bazar

Sfreccia nella sua utilitaria verde, fumando accerchiata da finestrini ermeticamente chiusi, una donna genovese. L'utilizzo sconsiderato dei neon nella sua città non l'ha mai preoccupata, sempre che Genova sia sua in qualche modo, non più di quanto il petrolio non fosse di proprietà dei dinosauri.

L'ascolto di Rino Gaetano in una pizzeria della foce, preparato ad arte per sedurre un terzetto di acculturate studentesse egiziane, ha invece forse più effetto su altri avventori, di altre pizzerie, in tempi diversi.

Uno in particolare, qualche sera dopo l'ascolto, ragiona sull'eventualità di aprire un 'compro oro'. Ma la vita imprenditoriale che sogna di rivoluzionare è una vita d'altri, impersonale, ripetibile ed evanescente come gli omini arancioni dei semafori.

La fame e la povertà, ingessate nei vestiti comprati al volo e senza badare troppo alle misure, si guardano imbarazzate, dopo che l'ennesima porta gli è stata sbattuta in faccia. Tuttavia si rincuorano, sapendo di essere la fame e la povertà soltanto metaforicamente e soltanto per qualcuno. La fame perfino sorride, occhieggiando un kebab in via di estinzione.