venerdì, gennaio 14, 2011

Capitolo 14) Perseveranza

Riacquisto consapevolezza di me.
Di fronte ho la pupilla nera di Oscar, e il mio amico mi sta parlando fitto; ha l'aria concitata di uno che non riprende fiato da un po', così mi rendo conto di essermi perso l'inizio del suo racconto, sprofondato in chissà quale limbo del pensiero.
Mi manca il coraggio di interromperlo.

Percepisco la paura nelle sue parole, ma la sua narrazione è avvincente come un finale di un libro giallo : mi parla della sveglia suonata in ritardo quella mattina - ma nemmeno l'Ispettore Manetta ci crederebbe - dell'omicidio di Manuela avvenuto mentre si fingeva ancora svenuto; del post-it con il suo nome sulla scena del crimine; della certezza che, una volta che si fosse ripreso dallo choc, sarebbe stato inchiodato indiscutibilmente da Cesare, il padre di Manuela, accorso nella stanza dopo un sms inviatogli dal cellulare della figlia, ma con vero mittente l'assassino; della sua ingenuità a fuggire senza riflettere, dopo aver visto il killer candidamente chiamare la polizia; dell'idea di lasciarmi quel messaggio segreto.
Oscar racconta come può farlo solo una persona innocente, e d'istinto lo abbraccio forte.
Solo in conclusione mi riferisce il nome del vero colpevole, che nello stesso istante compare nella stanza, come nei peggiori film.
Deborah si ferma alla fine del corridoio buio, pietrificata.

E allora capisco tutto : la visita nel mio studio, la macchina posteggiata in un luogo diverso, il cambio di vestiti, l'alibi di trovarsi sulla scena dell'altro omicidio, l'averlo eseguito con le stesse modalità, il passarmi il post-it per confondere impronte innocenti con impronte colpevoli, la duplice telefonata in commissariato, finta con Oscar presente, vera con me; i persistenti rifiuti di accompagnarmi qui, il saluto non casuale tra Manuela e Deborah nelle scale.
"Cesare ha visto solo me, e poi è stramazzato al suolo per il dolore; lei era nascosta dietro la porta, e poi è fuggita immediatamente" - conclude il ragionamento Oscar.

Rivolgo lo sguardo verso la mia ex-fidanzata, con un misto di incredulità e disgusto, ma senza paura. L'unica cosa che ancora ci accomuna è che anche lei, come me, non riesce a proferire parola in questi interminabili attimi.
Dell'immagine di Seb e Deb all'improvviso rimane solo una fotografia ingiallita dal tempo.

Mi resta oscuro il movente, ma un lungo viaggio in auto fino ad Osoppo aiuterà a chiarire tutto.
Il caso è chiuso; posso andarmene, quantomeno con il pensiero : ho un viaggio in sospeso, un viaggio che ho cominciato il giorno del ritrovamento del corpo di Manuela.
Non mi trovo più nel retro del Polpo di Genio, La California e la Toscana sono lontane; il Friuli ancora di più : è solo un ricordo, un brutto ricordo.
Sono sdraiato supino, in un posto caldo e pieno di sole; intorno dune di sabbia e ciuffi d'erba, il mare calmo mi culla.
Mi sembra di non essermene mai andato.
Apro gli occhi : mi manca la Puglia, il mio tempo ad Osoppo si è concluso.

In quel momento le enormi vetrate della stanza vanno in frantumi, e degli uomini in nero col volto coperto piombano in mezzo a noi, immobilizzandoci; Deborah è la prima.
Forse sono poliziotti, ecco da chi era pedinata la mia Toyota.
O forse non lo sono.
Annuso un panno intriso di qualcosa e perdo i sensi.
La mia terra è più lontana.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

abbraccio forte

Anonimo ha detto...

ti abbraccio forte