giovedì, dicembre 09, 2010

Capitolo 13) Pensieri e Parole

"P-però, bel placcaggio"
Ecco, di nuovo quella maledetta balbuzie.
Non so neanche come mi sia venuto in mente di rivolgere parola a questo simpatico ometto;una pescheria, tra l’altro, non è nemmeno un luogo adatto per le presentazioni.

E invece sì che lo sai, non mentire Oscar, lui ti ha salvato la vita. Nessuno ti ha mai salvato la vita prima d’ora. E’ una sensazione strana, devi ammetterlo.

"Piacere, io sono Oscar, p-piacere di conoscerti. Lo so cosa pensi, so cosa pensano tutti, giù in p-paese: no, io non sono uno fuori di testa, uno svitato, e la balbuzie mi viene solo quando sono emozionato; sei stato in gamba con quel p-polpo, mi piacerebbe lavorassimo insieme"

Il postino esita un attimo, forse è muto: ebbene sì, ho incontrato l’unico postino muto del mondo. Poi all’improvviso la sua smorfia si tramuta in un ampio sorriso alla Julia Roberts, e io già immagino la scritta Calippo sopra la porta d’ingresso che si tramuta in “Calippo e soci” o “Calippo and friends” come Pavarotti.

"Piacere, mi chiamo Sebastiano, e mi piacerebbe ascoltare quello che hai da dirmi, se davvero si tratta di lavoro".

Pausa, applausi, cambio scena.

*

“Piacere, io sono Oscar”

La prostituta mi guarda stupita, evidentemente nessun cliente le si era mai presentato. Quantomeno non la mattina dopo. Ma io ho deciso di fare le cose per bene.

“Senti schizzato – e già una prostituta che dice schizzato perde in credibilità – portami fuori da sto centro sociale, c’è puzza di bestie”.

La mia risposta indignata non si fa attendere : “la legge non disapprova che due persone si accordino per fare sesso, la legge disapprova che due persone si accordino per fare sesso in cambio di denaro” , recito agitando il dito indice nella sua direzione.

Ovviamente noi non avevamo fatto sesso, né in cambio di denaro né senza. L’avevo speso meglio, quel denaro; ho affittato Veronique per l’intera serata, e poi l’ho portata qui al Noir, uno dei pochi centri-giovani rimasti in Friuli, in modo che mi facesse fare bella figura con gli amici (quali amici?), e per conquistarla, come se non fosse una volgare battona, sempre seguendo il mio proposito di fare le cose per bene. C’è stata una grande festa ieri sera, pieno di gente, tutto bellissimo. Peccato soltanto che, una volta entrati, io abbia rivisto Veronique solo questa mattina.

“Hai dormito con un altro uomo, questa notte, non è vero?” – la predica è appena cominciata, ma Veronique, di cui il nome unico rimasuglio delle sue decantate origini parigine, non ci sta a farsele cantare.

“Sei il peggior cliente che io abbia mai avuto, e ti assicuro che di gente strana ne ho vista." - mentre parla si passa la lingua sulle labbra in continuazione, ma ormai io voglio solo moralizzarla, la sua magia nera non ha più nessun effetto su di me.

"Ma almeno quelli erano davvero clienti, e a una cert’ora si addormentavano, oppure fedifraghi tornavano dalle loro mogli strisciando" - è meglio che adesso lasci sfogare Veronique, in fondo ne ha passate tante : mi ha raccontato non senza un certo trasporto di essere orfana, e che appena nata una suora l'aveva trovata sul sagrato di Notre Dame avvolta in uno scialle.

"E invece tu? Hai denigrato la mia professionalità: almeno una bottarella, eddai, non si fa così. Io comunque so’ di Ostia, altro che Parigi. E mi chiamo Lorenza”.

Cinebrivido.

“Pentitiiiii” – urlo correndole dietro, svegliando tutti i reduci della sera prima, in parte anche sinceramente divertito per aver offeso la dignità della finta parigina, con la mia decisione di non abusare di lei.

Dieci minuti dopo sono già diretto verso l’ufficio, fischiettando Battisti e Cremonini; in un ritardo esagerato rispetto all’orario concordato con Sebastiano, ma notevolmente in anticipo rispetto al mio programma, che per stamattina prevedeva colazione in camera con Veronique-Lorenza. L’abitudine di farsi dei bei programmini dovrebbe essere abolita nel mondo occidentale.

Mentre salgo le scale, telefono al mio collega Scalise, per sondare il suo livello di malumore giornaliero, ma il cellulare squilla sorprendentemente a vuoto. E, poco dopo, trovando aperta la porta dello studio, mi rendo conto che per stamattina le soprese non sono ancora finite : la figlia del proprietario del bar all’angolo, Manuela, è seduta nel mio ufficio, e ha l’aria di aspettare proprio me.

Sorrido e le faccio un cenno di saluto : certo, non è Veronique-Lorenza, ma almeno non la prenderà a male se non mi calerò subito giù le braghe.

I suoi occhi verde smeraldo mi ricordano Sebastiano : davvero un peccato che io venga subito tramortito con un colpo alla nuca, prima di poter elaborare altre brillanti riflessioni.

3 commenti:

qualcuno ha detto...

e credi che qualcuno commenterà questa roba?

passavo di qua ha detto...

chiaramente no

Anonimo ha detto...

stai diventando prosaico come amici miei atto quarto