martedì, maggio 27, 2025

Cenere umano

 Non dite che la parola scritta è morta.

La parola era già morta da tempo, abbiamo persino dovuto bruciare Alessandria per ritrovare qualcosa da dire: non dite cose non vere.

Giace. Questo è vero. Come crine dimenticato sulla neve.

Mi appisolo guardando l'interno delle mie palpebre. Caldo sole che non c'è, immaginato sulla pelle. Il cubismo dei sensi come vero senso del cubismo. Rappresentare per non dover più rappresentare: che fare? Distruggere. Distruggere per non vedere mai più i volti dei santi, degli antichi, il volto di dio. Distruggere per rivivere le rivelazioni.

Dimenticare è umano. Umanizzare è umano. Ho sempre pensato che i pensieri più belli fossero quelli di cui si sono perse le tracce ed immagino sia lo stesso anche per i pensieri delle civiltà. E mi sovviene l'ira del faraone: probabilmente gli antichi egizi avevano un'ottima memoria. Di fronte a chi abbia vissuto sufficientemente a lungo, il presente deve essere estremamente frustrante: quante cose sono già successe uguali a loro stesse nel corso della storia, producendo risultati infinitamente diversi. Meetic sembrava una barzelletta, Tinder è leggenda. Quanti popoli verranno eletti da dio prima che qualcuno lo sia davvero?

Il passato indietreggia, mentre noi cerchiamo di risolvere un futuro già avvenuto.

I fiori sono ciechi. Va bene, avranno altri cazzo di sensi per cui percepiscono lo spazio intorno a loro, ma nella concezione umana i fiori sono ciechi. Se immaginano qualcosa, non immaginano certo che il resto degli attori del reale veda o possa vedere. Ciechi ma non invisibili, come i bambini quando non hanno ancora imparato a nascondersi. Chissà quante parti del nostro essere splendono di una luce che non possiamo vedere. 

Chissà se la nostra generazione farà mai niente di nuovo. Distruggere per ricostruire, costruire per sparire sempre di più, crescere per diventare sempre più lievi.

Sono le ultime luci dell'alba, è mercoledì. Il caffè cade nella tazzina e lui se lo porta alle labbra. Lo beve così: incandescente. Pessima idea. Lo beve come una medicina e a ben pensarci nemmeno sa perché lo beva. Fare cose di cui non conosciamo la ragione è una pessima idea. 

Chissà che anno è, che mese è, su cosa affaccia la finestra che studia mentre i tessuti del suo esofago si contorcono di dolore cocente.

Forse affaccia sul nulla. O forse su un cortile interno pieno di biciclette arrugginite e piante grasse. Magari piove, ma lui non se ne accorge: non sente il rumore, non vede i vetri, non c'è vento. Ogni finestra che non apri si trasforma in specchio. Ed è difficile guardarsi in uno specchio che non riflette nulla se non la tua abitudine a ignorare il mondo. Anche il dolore si abitua, come un animale da compagnia troppo silenzioso: smette di chiedere attenzione, ma non per questo smette di esserci. Almeno finché non decide di andarsene.

Un peto squarcia il silenzio.

Ma non è un peto: è uno sparo.

Fausto il ciccione alza lo sguardo, cercando di trovare con gli occhi il rumore che ha sentito.

Le lenzuola del quarto piano dirimpetto si tingono di gocce di pioggia rosse, che cadono irregolari dal balcone di sopra. C'è una figura accasciata sul davanzale, che rovescia sangue sulle lenzuola come sul cortile, con i capelli lunghi e grigi accrocchiati come un mazzo di erbe aromatiche secche.

- e quella che cazzo fa...?

Mormora Fausto il ciccione, posando la tazzina senza accorgersi che sia in bilico sul bordo del tavolo, così che questa cade rovinosamente, inondando la cucina di cocci e fondi di caffè.

Sviro salta miagolando furioso, deciso una volta per tutte a lasciare quella casa e Fausto il ciccione al loro lurido destino. Scivola tra le inferriate, salta sull'insegna del ferramenta e sparisce in via della cenere: non tornerà mai più.

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