Non si deve - ricorda a se stesso mentre struscia le setole contro un canino - non si deve tralasciare un'azione solo perché viene ripetuta spesso e quindi sembra di per sé poco importante.
E' così che le cose diventano sacre: i rituali.
Sputa ancora una volta, le cose si tirano per le lunghe: colpa dei kiwi.
I semini dei kiwi.
Ora sì che ha finito, si passa la lingua sugli incisivi di sopra, come ha visto fare in tv.
Ripone lo spazzolino, con la sua capsula, nella tazza: ci vediamo domani mattina.
Però non è ancora il momento di dormire, dice senza pensarlo, spalancando gli occhi sotto le luci da camerino dello specchio del bagno.
Ammira le sue occhiaie, come fossero avvallamenti acquitrinosi, parchi naturali morbidamente scolpiti dalla pazienza infinita di giardinieri grandi come granelli di polvere.
Studia la fittezza delle sue ciglia, facendole sbattere piano, incrociandole, guardando con l'occhio aperto quello chiuso; riaffiorano nella memoria le immagini preistoriche di banchi di meduse, un documentario di un'indefinita domenica pomeriggio invernale.
Esamina la sclera, contempla il mistero del rubinetto da cui sgorgano le lacrime, gli angoli che domani mattina ritroverà qui, in bagno, cisposi e carichi di voglia di restarsene a letto.
Si perde nell'iride: non viene mai l'ora di andare a dormire.
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