Quando Curzio entrò nella stazione di servizio nessuno si girò.
Soltanto un tizio con un berretto sudicio, come rispondendo al suo ingresso, ruttò fuori tempo rispetto alla canzone che la radio stava passando.
Curzio si avvicinò al bancone ordinando uno scotch e soda, per darsi un'aria da duro: sembrò funzionare.
- Stai cercando un passaggio, amico?
L'uomo barbuto accanto a lui si girò, rivolgendogli un ghigno annoiato.
- Sì. Sì esattamente. Cerco qualcuno che mi porti fino all'Incrocio 9.
L'altro si lisciò la barba, come volendo dare ad intendere che ci stesse pensando su ma, prima che potesse rispondere, una grande figura scura si impose fra loro caracollando.
- Ma che cazzo fai? Qui se ti serve un passaggio devi chiedere di me, hai capito?
Ringhiando, pronunciò le ultime parole verso il barbuto, facendogli tremare la barba.
- Certo Mercury, sicuro. Lo avrei mandato da te, amico.
Mercury fissò Curzio con l'unico occhio buono, mentre l'orbita lattiginosa dell'altro dondolava minacciosamente come se stesse cercando qualcosa.
- E perché? Sentiamo.
- Per...perché sei il migliore del blocco D.
Mercury rise. Avrebbe avuto bisogno di schiarirsi la voce, ma non lo fece: riprese invece a parlare producendo un fastidiosissimo gorgoglio che arrivava dalle profondità della sua gola.
- Vieni al mio tavolo, ragazzino. E lascia sul bancone quella roba che hai ordinato: qui bisogna restare idratati, il deserto non perdona. Tosca, preparagli un frullato come il mio.
La barista grugnì, mentre Mercury si allontanava zoppicando con Curzio al seguito.
- E' l'Algoritmo a mandarti all'Incrocio 9?
- Veramente no, è una specie di mia iniziativa.
- Immaginavo fosse una cosa del genere. Sembri davvero uno sprovveduto.
Mercury guardò l'ora, perdendosi nei suoi ragionamenti.
- Facciamo così: ora finisci il tuo frullato e poi vatti a comprare una coperta, una buona, allo spaccio. Digli che ti mando io. Ti ho già detto che il deserto non perdona? Ne parleremo meglio in cabina. Parleremo meglio di tutto, in cabina.
Si guardò intorno con circospezione, come cercando tra gli avventori - che non erano cambiati - qualche faccia nemica da riempire di botte.
- Poi raggiungimi al carro. Il mio è quello con scritto "Mercury".
Sorrise per un momento come un bambino orgoglioso, facendo balenare gli incisivi d'oro nella penombra del locale, prima di aggiungere tronfio: ovviamente.
Era rimasta solo una coperta ma l'uomo dello spaccio disse che a Mercury sarebbe andata bene, come se Curzio non la stesse nemmeno comprando per sé. Esterno ed interno erano rivestiti da sottili placche metalliche, non più grandi di una moneta. I due lati non differivano soltanto per il colore, ma anche per l'effetto: la parte dorata serviva per trattenere il calore all'interno, mentre quella argentata lo avrebbe respinto. Le rade maglie della coperta la rendevano semirigida e pesante, come un'armatura. Curzio, ripiegandola secondo le istruzioni del negoziante, sentì di aver ricevuto un vero equipaggiamento, qualcosa che lo riportava alle gesta eroiche dei cavalieri erranti di cui aveva sentito raccontare da bambino. Fece ritorno da Mercury, trovando senza problemi il grande autoarticolato illuminato come una giostra .
- Sai ragazzino, tu mi sei simpatico.
- Grazie Mercury, anche tu mi sei simpatico.
- Molto bene. Allora ti racconterò una cosa: vedi, qui...
Fece un gesto ampio con la mano che non stava reggendo il volante, tenendo il dorso verso l'alto, come a voler toccare i profili delle colline illuminati dalla luna che stava sorgendo.
-...tanto, tantissimo tempo fa, non c'era questo deserto, ma paludi. Paludi radioattive, velenose. Al mondo esisteva un animale incredibile, un piccolo essere succhiasangue che viveva proprio in posti come questo. Hai idea di come si chiamasse?
- Non saprei.
- Ci credo. Neanche io lo sapevo. Ma una volta ho dato uno strappo ad un professore di biologia che mi ha raccontato questa storia. E' incredibile come certe cose sembrino ovvie una volta che le sai, ma il tuo stupore mi ricorda che niente è veramente ovvio. Per questo, forse, mi piace raccontare storie.
- Capisco.
- Insomma, questo animale si chiamava "zanzara" ed era un'insetto. Non solo si nutriva di sangue, anche e soprattuto umano, ma si riproduceva a miliardi ogni stagione e diffondeva ogni genere di malattia.
- Anche mortali?
Mercury annuì gravemente.
- Sì: soprattutto malattie mortali. Un bel giorno, l'Algoritmo decise finalmente di finirla ed eliminò le zanzare dalla faccia della terra. Ora non esistono più tranne, pare, in qualche laboratorio perso tra i ghiacci perenni del grande sud.
- Che storia incredibile.
- Già, ma non era qui che volevo arrivare. Chi uccise le zanzare? L'Algoritmo, oppure le persone che miscelarono i pesticidi e li sparsero sulle paludi? Forse fu lo scienziato che ne isolò il ceppo genetico o come si chiama? E se fu lui, come e quanto venne istruito dall'Algoritmo a farlo? E' una cosa su cui dovresti riflettere. Io, almeno, ci ho riflettuto molto.
- Hai ragione. Avevo già sentito una cosa simile, in un certo senso.
L'occhio cieco di Mercury luccicò alla luce del cruscotto che li avvertiva di aver superato l'Incrocio 3.
- Racconta.
- Pare che quando l'Algoritmo fu lanciato, non tutti furono contattati direttamente. L'Algoritmo avrebbe potuto scrivere a ciascuno, ma molti vennero istruiti attraverso altre persone, come in una catena di fiducia. L'Algoritmo sapeva chi lo avrebbe ascoltato e chi avrebbe ascoltato coloro che egli aveva contattato. Pazientemente, giorno dopo giorno, arrivò a guidarci come ci guida oggi.
Mercury annuì, d'accordo con quanto gli veniva raccontato.
- Capisco quello che vuoi dire: "Roma non fu distrutta in un giorno".
Curzio esitò, incerto se correggere l'autista: forse il detto era davvero così.
domenica, novembre 17, 2019
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