venerdì, febbraio 20, 2009

Che il bello e l'incantevole
siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d'artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d'oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere,
non somigliano a noi, effimeri,
non raggiungono il fondo dell'anima.
No, il bello più profondo e degno dell'amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella,
le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d'aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.
Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo ciò che il vento
ha scritto sulla sabbia.

(Hermann Hesse)

venerdì, febbraio 13, 2009

rancido, privato, solitario

Sono rimasto solo.
Tutto è freddo intorno a me, freddo e vuoto.
La mia mente ritorna a qualcosa di altrettanto freddo e vuoto, penso a calori che si sottraggono da bestie in calore in case riscaldate da pompe di calore.
Ma sono in un frigo, in un frigo vuoto.

Ci fu, molto tempo fa, un periodo in cui postavamo a ripetizione,in una Gara dei Post, che si prolungava nella notte fino a quando il sonno non aveva la meglio sull'irreprensibilità dell'Irreprensibile o sul cattivo gusto di Rodrizio.
Non erano tempi felici e nemmeno moderni, erano tempi diversi.

Sono uno yogurt, lo ammetto. Guardo intorno a me, nei ripiani superiori che posso osservare essendo in uno di quei frighi con i ripiani a bastoncini. Non c'è nessuno, nemmeno la caratteristica gamba di sedano ed il mezzo limone ossidato: niente.
C'è solo una luce tremula in cima al frigo, non si accende da mesi.

Ho incominciato la scalata ieri, per raggiungere la luce. Anche se la luce è spenta. 
Il frigo ha cominciato a mugghiare e a vibrare, come una divinità vulcanica irata. Mi vuole dissuadere, ma raggiungerò la luce spenta, costi quel che costi il costo della luce.

E' il quinto giorno di marcia, ormai sono al secondo ripiano. Il freddo comincia a farsi sentire ora che sono più vicino al freezer. Eppure mi ricordo di un tempo lontano, un tempo in cui qui dentro faceva freddo davvero, mentre ora sono solo dentro ad un armadio collegato alla corrente.

Raggiungo la vetta, ansimando. Vorrei dire che la vista è stupenda da qui, ma non è vero. E' tutto come prima: con i ripiani delle uova vuoti e maestosi come montagne in negativo.
Mi avvicino alla luce. 

Provo con tutte le mie forze a far scattare l'interruttore.
Ma i frighi non funzionano cosi', si accendono solo se li apri.
Mi specchio nella lampadina: sono uno yogurt, e sono scaduto.


giovedì, febbraio 05, 2009

IED: Improvised Explosive Device

Mi fanno sdraiare sulla sedia. Anzi sul lettino. Come si chiama quello del dentista? 
Sdraio non è appropriato, comunque mi ci sdraio.
Si sta abbastanza comodi, è questo il punto.
Si sta talmente comodi che mi sembra di volare, ma non si trata dell'effetto di un anestesia che ad ogni modo poi non mi hanno nemmeno fatto, diciamo che sembra di essere in aereo.
Immagino che, dopo l'otturazione, mi alzerò da quella sedia ed uscito in strada, mi renderò improvvisamente conto di essere in un altra città.
Boston, Lione, Osaka, Oslo, Lima, Levaldigi.
Poi mi colpisce un'analogia con un altra sedia, comoda anch'essa, una poltrona.
Il cinema.
In aereo il cinema lo mandano già, in piccole tv private oppure in sedici pollici troppo lontani e male inclinati. Ma non è quello, lo schermo, che turba la visione dello show. E' che ti manca tanto la la privacy di casa tua, quanto la mondanità di uno spettacolo affollato. Non sei nè a casa nè al cinema, sei in aereo: affronta la realtà. Il cinema è un servizio in più, devi mantenere la concentrazione stretta sul fatto che, in realtà, il tuo obiettivo è quello di andare dal punto A al punto B e non essere intrattenuto.
Il cinema l'aereo il dentista hanno qualcosa in comune, un segno distintivo sottile che non individuo facilmente. Soffrire con la bocca aperta, viaggiare, perdere due ore della propria vita per vedere/sentire/provare una storia, che cos'hanno in comune?
Immagino un mondo futuro, il mio, dove gli impegni non aumentano ma vengono invece condensati. Un mondo dove gli aereoplani sono anche cinema e viceversa, dove le prime visioni vengono proiettate ad alta quota in gigantesche camere pressurizzate. Dentisti da cui la gente, quando esce, non si dirige verso casa ma verso l'albergo, l'hotel, il ristorante prestigioso di Minsk.
Vedo un mondo multitask, dove l'attenzione viene continuamente attratta da qualcosa di utile: la manicure durante la lampada durante il taglio dei capelli durante l'ascolto di un nuovo singolo di Giusy Ferreri guardando X Factor nel tragitto che separa A da B.
Mi ricordo di Kim, il gioco dei cinque sensi: solo che qui i cinque sensi, il dolore per un otturazione distale, l'estetica, il sesto senso ed il settimo dei cavalieri d'oro, tutti quanti nessuno escluso, sono attivati, ottenebrandosi inevitabilmente l'un l'altro.
Senti ancora il cosmo bruciare dentro di te?