lunedì, settembre 02, 2019

Mutandine

Ovvero: le piccole cose da cambiare.
"Vezzeggiativo" è una di quelle parole che si usano soltanto quando le si studia. Allo stesso modo, "spuma" è tra quelle parole che si possono usare soltanto se si hanno dei nipoti o se si possiede un bar in campagna.


Uno dei miei sogni è quello di creare un museo del profumo, nel senso: un museo dei profumi commerciali. Sarebbe insieme banca e museo, centellinando nei secoli l'odore popolare.
Annusate: questo è Chanel n°5.
Da quest'altra parte, potete apprezzare ciò che avreste sentito limonando una femmina di buona famiglia, a Riccione, nel 1999.

Ci sono dei ragazzi di fronte a me che giocano ad un due tre stella da seduti: lui cerca di avvicinarsi per baciarla sul collo. Il profumo di lui non lo sento, ma posso immaginarlo: sa di sudore, sapone neutro e calze di spugna calde. Quello di lei lo posso sentire: è lo stesso che era di moda in Svezia nel 2003, quando ci fu uno scambio culturale con molti scambi e pochissima cultura.

Il nostro entroterra verde, desaturato dall'autunno, doveva apparire loro come una savana. Mi accorsi quindi che anche il mare, per me incantevole e scintillante, appariva tale soltanto conoscendone già il carattere estivo. Le ginestre, senza fiori e contornate da brevi processioni di formiche, non erano che poveri sterpi, lunghi e proiettati verso il cielo come antenne per la telecomunicazione botanica. Gli insetti sono proprio come i profumi: li trovi anche dove non ti aspetti che ce ne siano. Inoltre, per quanto insignificanti essi siano, possiedono sempre un'identità.

I due ragazzi si scattano un selfie anche se mi sembra sempre che stiano inquadrando me, con la telecamera posteriore. Nel 1999 non avrei avuto dubbi: mi avrebbero allungato una usa e getta chiedendo una foto. Non era che un'altra piccola cosa, meritevole soltanto di essere cambiata.

Non ricordo più che odore abbia lo smog. Sono regredito ad una condizione pura, ignorante, indifferente: da qualche parte esistono problemi di cui non riesco a tollerare l'esistenza; così non ci penso e sto subito meglio. La Svezia è un luogo lontano per cui nutro un interesse remoto, come le stelle e gli orsi polari. Nella fattispecie, è di oggi la notizia che la Svezia abbia finito la propria immondizia. Un pensiero assurdo.
Santuario non è propriamente il termine con cui si è soliti descrivere una discarica, eppure per me è così. Il tempio dell'odore, il retro del mondo. Non si riesce a capire come faccia a puzzare perfino la plastica fino a che non la vedi, attonita, prendere il sole e la pioggia anno dopo anno.
Il marcio che non marcisce: sublime sublimare in puzzo.

Capitan Planet si farebbe una sega guardandomi edificare discariche come luoghi di culto. Il dio Rumenta, che la merda addenta. La dea Cloaca, di piscio ubriaca. Il dio Monnezza, di sudicia ebbrezza. Dove andremo a finire? La dea Fogna, che lo schifo agogna. Le mie unghie sono pulite, i miei polpastrelli sono puliti: tocco più spesso il sapone che la mia stessa pelle. Zygmunt Bauman cerca invano di risalire il torrente della mia memoria per dire qualcosa in merito al concetto di scarto: tiro ancora una volta lo sciacquone della mente, senza pietà. Ogni sciacquone sono oltre cinque litri di ricordi, ma io sono di quelli che non piscia facendo la doccia.

Guardo il museo, la mia banca, il caveau con cui passerò il testimone del mondo alle prossime generazioni, perseguendo il sogno labirintico secondo cui sia possibile vivere nel futuro senza mai passare dal presente: qualcuno la chiama ancora discarica.

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