Nel quale si illustrano i perchè e i percome di come si arriva a capire le persone, e di come alla fine le aspettative vengano sempre soddisfatte, anche se in modi poco chiari. Ragazzi, cosa ne pensate di me?
Due uomini si odiavano molto, ma che dico odiavano? Si odiarono sarebbe più corretto. è vero o no che avete pensato che ancora oggi questi due si odiassero? E chi ve lo ha mai detto? Siete forse giudici? Guardate la vostra trave prima di giudicare e piuttosto lamentatevi con me delle mie carenze circa la lingua italiana e delle carenze di quest'ultima, come vorrei ca'vesse l'aoristo.
Essi, a forza di stare davanti allo stesso televisore piuttosto che eleggendosi a fratelli per le affinità che li accomunavano diventarono amici, se cosi' si può dire. Ma mentre uno guardava filtrandola nella pazzia la sua vita futura in cerca, forse, di nuove persone da contagiare con la sua apparente tranquillità, l'altro covava, ma credo senza rancore, ancora qualche dubbio sull'altro e sugli effetti che esso aveva avuto sulla propria vita. Una piccola caverna piena di pagine stropicciate della gazzetta e di tubi di patatine vuoti? Un elegante attico pieno di silenziose attrattive accattivanti troppo biondo e bianco e pulito per non essere interiormente macchiato dalla brama di peccare sapendo di peccare, e di peccare facendo peccare anche gli altri?
E' quindi visibile con queste facili metafore il cuore della gente? La casa interiore dove le anime altrui trascorrono ore di contemplazione nell'amicizia.
Scrivi tuo nome suo nome.
Matteo, la vostra storia è una portiera aperta. Eduardo ha bisogno di avventura.
La vostra affinità è il 37 percento.
giovedì, luglio 23, 2009
lunedì, luglio 20, 2009
Parte terza : non c'è trucco, non c'è inganno
Otto anni dopo...
Era mattina, quasi ora di pranzo. Il mago era in camera, fra le sue cianfrusaglie adorate : conigli di peluche, mazzi di carte, tube colorate. Stava preparando gli arnesi per la sera : era in programma lo spettacolo di magia sopra la Fortezza.
" Gabrieleeeeeeeeee, a' Gabbriiiiii " - una voce proveniente dal piano terra aveva spezzato quell'incantesimo.
Il mago decise di ignorare il richiamo, era troppo indaffarato per scendere e vedere cosa stava accadendo. Era un giorno imprtante : quel pomeriggio sarebbe uscito con quella ragazza carina, e poi alla sera ci sarebbe stata l'esibizione della sua consacrazione, lo show di magia che lo avrebbe lanciato finalmente nel mondo dello spettacolo. Non poteva fallire. Il mago lo sapeva: quella era la sua ultima occasione, il suo ultimo treno. Del resto non poteva fare il prestigiatore a bassi livelli a trent anni compiuti, la regola era chiara : una volta arrivati alla soglia dei trenta si doveva diventare Maghi con la M maiuscola.
" Ma Gabri, cucciolo caro! Ascolta a' mammà tua, scendi a mangiare che altrimenti la pasta si fredda " - disse più dolcemente sua madre, che aveva salito metà rampa di scale per farsi sentire dal figlio.
Da domani tutto sarebbe stato diverso : " tanto per cominciare - disse fra sè e sè mentre scendeva le scale accondiscendente - da domani vado a vivere da solo ".
*
Il mago era vestito come un pinguino, emozionato, gli sudavano le mani, e forse, senza tutti quei capelli ricci raccolti in una lunga coda dietro la testa, sarebbe potuto anche non essere considerato brutto agli occhi della gente comune. Alto, dinoccolato, era arrivato nel luogo prefissato con cinque minuti di anticipo : piazza del palmeto. "Che luogo di merda per il primo appuntamento " - aveva pensato quando lei glielo aveva proposto, ma non aveva neanche provato a contraddirla.
Enrica arrivò all'appuntamento in perfetto orario, e gli abbozzò un grazioso sorriso, avendolo intravisto da lontano : ma fu in quel momento che gli eventi rapidamente degenerarono.
" Ma tu sei una persona gentile! Ma lo sai che, pensandoci bene, ti ho visto l'altro giorno? " - gridò con voce nasale un ragazzo che indossava un casco integrale nero e se ne stava seduto su un motorino a pochi metri di distanza. La risposta di Gabriele, pensando alla sua recente conduzione del fortunato programma "Cozze bitorzolute a merenda", fu istintiva : " dove? in televisione? " - e nel frattempo una piccola folla di quattro o cinque ragazzi si era fermata incuriosita.
" No, dal fruttivendolo sotto casa mia parruccone coglione, ahahahahahha! Fatti una magia alla faccia cosi magari puoi rimettere gli specchi a casa " - e il gruppo di ragazzi rise fragorosamente alla battuta offensiva del centauro, che appena finito di parlare girò la chiave e spari' insieme alla sua voce nasale.
Fu in quel momento che Gabriele capi' , vedendo Enrica imbarazzata allontanarsi nella direzione opposta a lui, che non sarebbe mai diventato un Mago con la M maiuscola, e che, al massimo, nel suo futuro ci sarebbe potuta essere la conduzione di un' edizione di miss soleluna.
Questo accadeva nella piazza, mentre poco distante un Antonio visibilmente soddisfatto scendeva dalla moto, si sfilava il casco integrale e scambiava un fragoroso cinque con il cugino Marcellino.
Quel mago non avrebbe mai più contagiato la loro bella Enrica. (...)
Era mattina, quasi ora di pranzo. Il mago era in camera, fra le sue cianfrusaglie adorate : conigli di peluche, mazzi di carte, tube colorate. Stava preparando gli arnesi per la sera : era in programma lo spettacolo di magia sopra la Fortezza.
" Gabrieleeeeeeeeee, a' Gabbriiiiii " - una voce proveniente dal piano terra aveva spezzato quell'incantesimo.
Il mago decise di ignorare il richiamo, era troppo indaffarato per scendere e vedere cosa stava accadendo. Era un giorno imprtante : quel pomeriggio sarebbe uscito con quella ragazza carina, e poi alla sera ci sarebbe stata l'esibizione della sua consacrazione, lo show di magia che lo avrebbe lanciato finalmente nel mondo dello spettacolo. Non poteva fallire. Il mago lo sapeva: quella era la sua ultima occasione, il suo ultimo treno. Del resto non poteva fare il prestigiatore a bassi livelli a trent anni compiuti, la regola era chiara : una volta arrivati alla soglia dei trenta si doveva diventare Maghi con la M maiuscola.
" Ma Gabri, cucciolo caro! Ascolta a' mammà tua, scendi a mangiare che altrimenti la pasta si fredda " - disse più dolcemente sua madre, che aveva salito metà rampa di scale per farsi sentire dal figlio.
Da domani tutto sarebbe stato diverso : " tanto per cominciare - disse fra sè e sè mentre scendeva le scale accondiscendente - da domani vado a vivere da solo ".
*
Il mago era vestito come un pinguino, emozionato, gli sudavano le mani, e forse, senza tutti quei capelli ricci raccolti in una lunga coda dietro la testa, sarebbe potuto anche non essere considerato brutto agli occhi della gente comune. Alto, dinoccolato, era arrivato nel luogo prefissato con cinque minuti di anticipo : piazza del palmeto. "Che luogo di merda per il primo appuntamento " - aveva pensato quando lei glielo aveva proposto, ma non aveva neanche provato a contraddirla.
Enrica arrivò all'appuntamento in perfetto orario, e gli abbozzò un grazioso sorriso, avendolo intravisto da lontano : ma fu in quel momento che gli eventi rapidamente degenerarono.
" Ma tu sei una persona gentile! Ma lo sai che, pensandoci bene, ti ho visto l'altro giorno? " - gridò con voce nasale un ragazzo che indossava un casco integrale nero e se ne stava seduto su un motorino a pochi metri di distanza. La risposta di Gabriele, pensando alla sua recente conduzione del fortunato programma "Cozze bitorzolute a merenda", fu istintiva : " dove? in televisione? " - e nel frattempo una piccola folla di quattro o cinque ragazzi si era fermata incuriosita.
" No, dal fruttivendolo sotto casa mia parruccone coglione, ahahahahahha! Fatti una magia alla faccia cosi magari puoi rimettere gli specchi a casa " - e il gruppo di ragazzi rise fragorosamente alla battuta offensiva del centauro, che appena finito di parlare girò la chiave e spari' insieme alla sua voce nasale.
Fu in quel momento che Gabriele capi' , vedendo Enrica imbarazzata allontanarsi nella direzione opposta a lui, che non sarebbe mai diventato un Mago con la M maiuscola, e che, al massimo, nel suo futuro ci sarebbe potuta essere la conduzione di un' edizione di miss soleluna.
Questo accadeva nella piazza, mentre poco distante un Antonio visibilmente soddisfatto scendeva dalla moto, si sfilava il casco integrale e scambiava un fragoroso cinque con il cugino Marcellino.
Quel mago non avrebbe mai più contagiato la loro bella Enrica. (...)
venerdì, luglio 17, 2009
non si dà buca agli amici
Nel quale si illustrano i motivi e i modi per cui e con cui si da buca agli amici, nonchè le scuse che vengono poi presentate. Segue un'illogica seconda portata di stampo faceto, a concludere tirata morale, caffè e cordiale.
Lo guardo a lungo quel cellulare, lo schermo verdino con i suoi caratteri neri e grossolani mi riporta indietro nel tempo. Quante cose abbiamo fatto insieme, prima che ti spegnesse l'acqua della pioggia, come un pompiere paranoico che vede il fuoco anche dove non c'è. Quante cose abbiamo fatto insieme, quante volte abbiamo dato buca agli amici.
Ero li', incerto se dirgli che non sarei venuto, o che non sarei andato, che sarei stato libero per poco e che quindi preferivo restare al calduccio piuttosto che stare in giro pochissimo, e tu mi sei venuto incontro, con i tuoi modi garbati e distaccati proponevi la scusa della lontananza e dell'impossibilità tra due persone di comunicare a grande distanza. Quante volte mi hai aiutato anche solo col tuo silenzio che no, non andava comprato, ma bastava spegnerti. E tu, nel sonno dei tuoi circuiti, attaccato come al seno materno ad un piccolo trasformatore, saresti stato piacevolmente colluso alle mie inadempienze di amicizia. Eravamo amici io e te, mentre in modo non poi cosi' imperdonabile, ero un pò meno amico di chi richiedeva la mia presenza. E poi diciamocelo, da buco a culo il passo è breve, sia con l'alfabeto che con la ragione. Se dai buca non dai il culo, e se dai il culo un buco lo dai, ma è un culo di mulo, un culo sporco, disponibile ma tremendo, un culo amico, che si avvicina solo per permetterti di capire quanto faresti bene a declinare il tuo stesso invito.
In definitiva? Non si dà buca agli amici o per lo meno trovatevi una scusa decente.
giovedì, luglio 16, 2009
Parte seconda : i cugini di Campania
Diciassette anni prima...
Antonio correva nei prati, spensierato, cercando di raggiungere quella sottile linea che nascondeva l'orizzonte. Era davvero felice, ma era un marmocchio idiota. Infatti, aveva corso troppo, finendo per distaccare i suoi cugini, sagome lontane nei prati gialli campani.
Decise allora di cominciare a provocarli, sperando che per menarlo lo raggiungessero in fretta, ma Marcellino e Rodrizio erano ancora troppo distanti, e il fischio del vento copriva le offese di Antonio. Marcellino era un bambino esile, degno di un campo di concentramento, nonostante avesse sul groppone qualche anno di più : il diminutivo, quindi, non era casuale. Rodrizio e Marcellino non erano cugini, avevano solo un cugino col naso storto in comune, e per questo non avevano mai avuto remore ad odiarsi profondamente. Rodrizio del resto, il più giovane dei tre, doveva subire ad ogni ricorrenza le angherie dei cugini più grandicelli, e il suo rancore montava col passare degli anni, cresceva e cresceva. " Tu vivi in una grotta chiamata Rancore, Rodrizio " - gli avrebbe confermato in uno strip club un giovane irreprensibile, travestito da zingara, leggendogli la mano in quella che, fuori dal locale, poteva considerarsi una bella giornata di luglio. L'unico motivo che lo spingeva ad andare a giocare coi cugini era lei : la Sirena che ogni volta lo salvava dai tranelli di quei piccoli infami, la sorella di Marcellino. Enrica, oh Enrica. Enrica la regina del celebrità, di cui tutti e tre i giovani erano segretamente innamorati. Enrica bella e magnifica senza un'età, bella e magnifica senza pietà.
La cruda realtà : finalmente i tre si erano ricongiunti, quando Antonio inciampò in qualcosa nascosto nell'erba alta. Era un groviglio di corpi nudi. Rodrizio si copri' il viso con le mani : mai aveva veduto prima una donna ignuda ; Marcellino diventò più pallido di quanto già era ; Antonio fu quello che ebbe il coraggio di parlare per primo : " ciao Enrica, ma che belle mutande " .
" Non sono mie, sono di Babatunde ". Fu a quel punto che il negro, chiamato in causa, raccolse gli slip e tolse le tende, gettandosi a correre fra i girasoli, mentre un soave canto Gospel si intonava nei campi. (...)
Antonio correva nei prati, spensierato, cercando di raggiungere quella sottile linea che nascondeva l'orizzonte. Era davvero felice, ma era un marmocchio idiota. Infatti, aveva corso troppo, finendo per distaccare i suoi cugini, sagome lontane nei prati gialli campani.
Decise allora di cominciare a provocarli, sperando che per menarlo lo raggiungessero in fretta, ma Marcellino e Rodrizio erano ancora troppo distanti, e il fischio del vento copriva le offese di Antonio. Marcellino era un bambino esile, degno di un campo di concentramento, nonostante avesse sul groppone qualche anno di più : il diminutivo, quindi, non era casuale. Rodrizio e Marcellino non erano cugini, avevano solo un cugino col naso storto in comune, e per questo non avevano mai avuto remore ad odiarsi profondamente. Rodrizio del resto, il più giovane dei tre, doveva subire ad ogni ricorrenza le angherie dei cugini più grandicelli, e il suo rancore montava col passare degli anni, cresceva e cresceva. " Tu vivi in una grotta chiamata Rancore, Rodrizio " - gli avrebbe confermato in uno strip club un giovane irreprensibile, travestito da zingara, leggendogli la mano in quella che, fuori dal locale, poteva considerarsi una bella giornata di luglio. L'unico motivo che lo spingeva ad andare a giocare coi cugini era lei : la Sirena che ogni volta lo salvava dai tranelli di quei piccoli infami, la sorella di Marcellino. Enrica, oh Enrica. Enrica la regina del celebrità, di cui tutti e tre i giovani erano segretamente innamorati. Enrica bella e magnifica senza un'età, bella e magnifica senza pietà.
La cruda realtà : finalmente i tre si erano ricongiunti, quando Antonio inciampò in qualcosa nascosto nell'erba alta. Era un groviglio di corpi nudi. Rodrizio si copri' il viso con le mani : mai aveva veduto prima una donna ignuda ; Marcellino diventò più pallido di quanto già era ; Antonio fu quello che ebbe il coraggio di parlare per primo : " ciao Enrica, ma che belle mutande " .
" Non sono mie, sono di Babatunde ". Fu a quel punto che il negro, chiamato in causa, raccolse gli slip e tolse le tende, gettandosi a correre fra i girasoli, mentre un soave canto Gospel si intonava nei campi. (...)
martedì, luglio 14, 2009
Parte prima : se io se lei
La prostituta ci stava dando dentro come una cavalla.
Lui, il cliente, era rosso come un peperone, il corpo grasso sgusciava come un' anguilla agitata, i suoi baffoni neri seguivano il ritmo delle smorfie del viso deformato dal piacere, e dalla tribolazione. Lei, la donna di fatica, lo denigrava, apparentemente con il suo benestare : " armeggione, intrallazzatore, ti piace godere eh? Ti piace godere di me in questa casta alcova? "
" Non erano queste le consegne - la interruppe Antonio - non dovete dire una parola, dovete stare in religioso silenzio " . Però niente in quella stanza, neppure il silenzio, poteva essere ritenuto religioso.
" 'A capa 'e sotta fa. Perdere 'a capa a capa 'e còppa "- a quanto pare, nonostante le ostilità non fossero state ancora dichiarate concluse, il grassone aveva conservato la forza di parlare.
Il naso storto di Antonio, dalla stizza, sembrava ancora più piegato a destra : " Io vi pago per questa buffonata, ve lo ricordate? " . Il giovane si alzò dalla sedia e prese per il mento la mignotta e la tirò via dal letto, e lei non sembrò dispiaciuta di essere staccata dal corpo del grassone umidiccio. " Aggio capito...nun te si aiza o' pesiello, ah-ha! E' questo o' problema allora, per questo vuoi guardare" - disse la donna, e Antonio la schiaffeggiò a mano tesa.
Non si sentiva cosi' maschio da ormai molto, molto tempo (...)
Lui, il cliente, era rosso come un peperone, il corpo grasso sgusciava come un' anguilla agitata, i suoi baffoni neri seguivano il ritmo delle smorfie del viso deformato dal piacere, e dalla tribolazione. Lei, la donna di fatica, lo denigrava, apparentemente con il suo benestare : " armeggione, intrallazzatore, ti piace godere eh? Ti piace godere di me in questa casta alcova? "
" Non erano queste le consegne - la interruppe Antonio - non dovete dire una parola, dovete stare in religioso silenzio " . Però niente in quella stanza, neppure il silenzio, poteva essere ritenuto religioso.
" 'A capa 'e sotta fa. Perdere 'a capa a capa 'e còppa "- a quanto pare, nonostante le ostilità non fossero state ancora dichiarate concluse, il grassone aveva conservato la forza di parlare.
Il naso storto di Antonio, dalla stizza, sembrava ancora più piegato a destra : " Io vi pago per questa buffonata, ve lo ricordate? " . Il giovane si alzò dalla sedia e prese per il mento la mignotta e la tirò via dal letto, e lei non sembrò dispiaciuta di essere staccata dal corpo del grassone umidiccio. " Aggio capito...nun te si aiza o' pesiello, ah-ha! E' questo o' problema allora, per questo vuoi guardare" - disse la donna, e Antonio la schiaffeggiò a mano tesa.
Non si sentiva cosi' maschio da ormai molto, molto tempo (...)
martedì, luglio 07, 2009
Vol. I n°3. Considerazioni orecchiabili sull' opera di Gauguin "nevermore"
Chapeau...
Diversi individui, nella storia, hanno sentito il bisogno di tradurre ti amo in altre lingue; tralasciando l'elencazione degli scopi che hanno suscitato in molti questo desiderio, esprimo una sola considerazione di carattere generale: cretini. O porci missionari spagnuoli in vacanza nelle Indie.
In realtà l' idea della traduzione, di per sè infantile, cela degli spunti interessanti: questo soprattutto nel caso in cui la parola in questione sia intraducibile. In questi casi potremmo trovarci di fronte ad una di quelle parole speciali che sono la diretta emanazione dello spirito del popolo considerato, che ne so: Führer, colf o badante, carcadè, coca-cola, sorbetto (specialità della Tailandia).
Oppure nevermore.
Mai più. Quante volte abbiamo dovuto giurare da piccoli di non farlo più?
Con una bassa percentuale di possibilità di essere contestato (i lettori che omaggiamo con la nostra raffinata scrittura sono un esiguo manipolo), o smentito, posso affermare che l' idea del mai più, da intendersi nei termini della puerile lagnanza non lo faccio più, è un orrible componente dello spirito dei popoli che nel tempo si sono affidati alla morale della Chiesa.
Critica e embarrassment di Gauguin
In Polinesia no, non esisteva il mai più, e allora bisognava portarcelo, bisognava portare l' ipocrisia del pentimento a giustificare il peccato. Bisognava portare il peccato. Perchè senza il peccato non potevano esistere le prostitute, e senza il mai più, i peccatori. Ed ecco che il nostro grande Gauguin, ammiratore ed esperto dell' esotico, si rivela incapace di rinunciare al suo bagaglio inconscio di Europa e scrive "mai più" sulla tela che lo ritrae mentre salda il debito contratto con una polinesiana a pagamento.
Ora mi sorge un dubbio, alla luce di recenti avvenimenti, e se quel mai più si fosse riferito non all' atto di andare a puttane nel suo insieme, ma al mero pagamento?
L' etichetta ci impone di non parlare di Berlusconi.
Diversi individui, nella storia, hanno sentito il bisogno di tradurre ti amo in altre lingue; tralasciando l'elencazione degli scopi che hanno suscitato in molti questo desiderio, esprimo una sola considerazione di carattere generale: cretini. O porci missionari spagnuoli in vacanza nelle Indie.
In realtà l' idea della traduzione, di per sè infantile, cela degli spunti interessanti: questo soprattutto nel caso in cui la parola in questione sia intraducibile. In questi casi potremmo trovarci di fronte ad una di quelle parole speciali che sono la diretta emanazione dello spirito del popolo considerato, che ne so: Führer, colf o badante, carcadè, coca-cola, sorbetto (specialità della Tailandia).
Oppure nevermore.
Mai più. Quante volte abbiamo dovuto giurare da piccoli di non farlo più?
Con una bassa percentuale di possibilità di essere contestato (i lettori che omaggiamo con la nostra raffinata scrittura sono un esiguo manipolo), o smentito, posso affermare che l' idea del mai più, da intendersi nei termini della puerile lagnanza non lo faccio più, è un orrible componente dello spirito dei popoli che nel tempo si sono affidati alla morale della Chiesa.
Critica e embarrassment di Gauguin
In Polinesia no, non esisteva il mai più, e allora bisognava portarcelo, bisognava portare l' ipocrisia del pentimento a giustificare il peccato. Bisognava portare il peccato. Perchè senza il peccato non potevano esistere le prostitute, e senza il mai più, i peccatori. Ed ecco che il nostro grande Gauguin, ammiratore ed esperto dell' esotico, si rivela incapace di rinunciare al suo bagaglio inconscio di Europa e scrive "mai più" sulla tela che lo ritrae mentre salda il debito contratto con una polinesiana a pagamento.
Ora mi sorge un dubbio, alla luce di recenti avvenimenti, e se quel mai più si fosse riferito non all' atto di andare a puttane nel suo insieme, ma al mero pagamento?
L' etichetta ci impone di non parlare di Berlusconi.
sabato, luglio 04, 2009
primum, deinde
Fece un passo innanzi e tutto il corpo lo segui' nel centro della stanza.
"Io so il tuo nome, ed il tuo, ed anche il tuo!"
I tre, immobili ed improvvisamente vergognatisi di quello che stavano facendo rispettivamente si misero a tacere, si alzarono in piedi e si slacciarono le bretelle con un unico, perfetto, colpo di pollice.
Zio Peperone riprese il suo discorso: "So il vostro nome, e dunque vi posseggo. Perchè di vero in voi è soltanto il nome, e possedendolo posseggo voi e l'anima vostra."
Baro gridò "Un attimo! Un attimo soltanto!" e cosi' dicendo caracollava tra le selle inumidite dalla schiuma delle cavalcature e le stoffe di lana di lama che con i bauli riempivano il poco spazio tra i quattro lettini. La telecamera inquadra dall'alto le mani di Baro che adagiano febbrili un quarantacinque giri sul giradischi...in un attimo la stanza si riempie di Give Me The Night.
"Ma non voglio rendervi martiri o schiavi o soldati, benchè sia in mio potere, voglio soltanto conoscere e conoscere soltanto: in segno di buonafede, per augurarci ogni bene in questa avventura, voglio donarvi il mio nome, sicchè voi possiate disporne"
"E noi ti chiameremo Zio Peperone" risposero i tre all'unisono, mentre nella sierra maturavano i fichi.
Vol. I n°2. Notturno, in attesa delle riflessioni sul never more
Nella nostra passeggiata, per i sentieri della pornografia che conducono all' arte, ci siamo imbattuti in Guido Ceronetti, nella sua "la pornodiva".
LA PORNODIVA
Sono una pornodiva,
Pagata in pornolire
lavoro otto pornore
In piedi o a pornoletto
Per divertirmi suono
La pornopiva.
In una pornomansarda
vicino al pornoduomo
Ho due pornostanzette
Dove mi faccio al porno
Due pornocrocchette.
Apprezzo la pornocucina
Mi piacciono le pornoletture
Amo la pornogente
Scivo a mano le pornolettere
Ho una bella pornobambina
che sta con la pornonna
E' brava alla pornoscuola
Si prepara alla pornocresima
Nella parrocchia di Santa Pornina.
Oggi ho la pornocrania
Già ho preso una pornopirina
Nessuna voglia ho di pornare
Sul solito pornoset
Ma con una pornofonata
Mi hanno pornovocata
D' urgenza per le set.
Passo dal pornobar
Fumo due pornoboro
Salgo sul pornobus
Fino a Porta Pornobaldi.
Giro una pornoscena
Con la Pornuccia e la Pornella
Una gita in Pornogallo
Da farsi a San Pornestro
Ci fa tutti un po' sognare
Noi del club di via Pornova
Mentre mangiamo pornopizza
In una pornozzeria...
Aiuto! Presto, una pornoambulanza!
Ho preso troppi pornoturici!
Quattro o cinque Pornutal...
Ma non è poi gran male
Andrò su tutti i pornali!
Dì, fa notizia una pornodiva
Qui sola e triste, più morta che viva?
LA PORNODIVA
Sono una pornodiva,
Pagata in pornolire
lavoro otto pornore
In piedi o a pornoletto
Per divertirmi suono
La pornopiva.
In una pornomansarda
vicino al pornoduomo
Ho due pornostanzette
Dove mi faccio al porno
Due pornocrocchette.
Apprezzo la pornocucina
Mi piacciono le pornoletture
Amo la pornogente
Scivo a mano le pornolettere
Ho una bella pornobambina
che sta con la pornonna
E' brava alla pornoscuola
Si prepara alla pornocresima
Nella parrocchia di Santa Pornina.
Oggi ho la pornocrania
Già ho preso una pornopirina
Nessuna voglia ho di pornare
Sul solito pornoset
Ma con una pornofonata
Mi hanno pornovocata
D' urgenza per le set.
Passo dal pornobar
Fumo due pornoboro
Salgo sul pornobus
Fino a Porta Pornobaldi.
Giro una pornoscena
Con la Pornuccia e la Pornella
Una gita in Pornogallo
Da farsi a San Pornestro
Ci fa tutti un po' sognare
Noi del club di via Pornova
Mentre mangiamo pornopizza
In una pornozzeria...
Aiuto! Presto, una pornoambulanza!
Ho preso troppi pornoturici!
Quattro o cinque Pornutal...
Ma non è poi gran male
Andrò su tutti i pornali!
Dì, fa notizia una pornodiva
Qui sola e triste, più morta che viva?
venerdì, luglio 03, 2009
sono ottime con la maionese
E la città era grande, e grandi erano le sue porte e le luci che l'addobbavano di multicolore giovinezza. Era ovunque grande grandezza tanto che quella degli uomini sembrava introvabile, come se per contrasto i grandi animi le grandi virtù ed i grandi cuori non se la fossero sentita di proliferare. Entrò nel quartiere che dava sul porto e di qui entrò in una via parallela, sconosciuta ai turisti, su cui si affacciava la taverna in cui aveva deciso di trascorrere la notte, il suo nome era "La Proroga Della Piroga". Arrivato nella sua stanza la trovò occupata da altri tre avventori, due di loro stavano discutendo.
"Io, capisci quello che ho pensato? Un albero maestro. Con la lavagnetta ed il gesso e magari una bacchetta ricavata da uno studente somaro. Si! Che goduria, magari un melo sarebbe lui si, eccolo, quasi lo vedo, come velato d'ottone e saliva: l'Albero Professore, il maestro di frondose fronde!le fresche frasche di"
"Irreprensibile calmati, mangia una prugna...le prugne sono buone...ti piacciono...ti fanno cagare..."
Mentre il più sgambato, che si chiamava Rodrizio, cercava di far inghiottire alcune prugne all'illuminato oratore, giunse sonora e nasale la voce del terzo, che fingeva di parlare nel sonno:
"O ti piacciono o ti fanno cagare, o ti piacciono o ti fanno cagare, o ti piacciono o ti fanno cagare o ti..."
e tra le coperte lercie si agitava come un ossesso continuando la sua cantilena sempre più forte: "O TI PIACCIONO O TI FANNO CAGARE!"
Il suo nome era Baro.
E Zio Peperone, che ancora per pochi minuti non si chiamava ancora cosi', capi' che in quella stanza avrebbe preso forma il suo avvenire...
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