Di tanto in tanto escono sul balcone con grandi bicchieri d'acqua gelata tra le mani. Spesso la condensa è tale da bagnarle, specialmente quelle di lei, tanto che quando inavvertitamente le posa sul vestito rimangono impresse macchie di umidità, come arcipelaghi visti dallo spazio. Parlano tra loro, a bassa voce, con lo sguardo perso tra le fronde del cedro.
Ieri c'erano amici a cena da noi. Scherzando, hanno chiesto quale fosse il loro appartamento: siamo tutti curiosi allo stesso modo. Anche se qualcuno ha detto che sarebbe stato più giusto definirla invidia, invece di curiosità.
Abbiamo mangiato e bevuto senza più rivolgere uno sguardo a quel balcone, un piano più in alto del nostro, come se non fosse il polo della nostra attrazione.
Oggi sono da solo. Esco sul balcone con un bicchiere: acqua e menta, per distogliermi da questo caldo urbano, rarefatto e senza passione. Faremo installare un condizionatore, appena ce ne sarà il tempo.
Vedo soltanto le loro persiane, chiuse. Non possono essere andati via, perché non gli è permesso.
Dare i domiciliari alla coppia di chimici che sintetizzava una droga che trasforma in uccelli sembra una forma di contrappasso imperfetta e confusa. Il cedro in mezzo al cortile si inchina, spinto dal calore, come a volerci dividere.
Domani partiremo per le ferie. Ci mancherà lo spettacolo rassicurante dei nostri misteriosi vicini. Non avremo più i loro presunti segreti ad intrattenerci, soltanto la calma serietà delle montagne. Chissà, magari un tempo erano uccelli anche loro.
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