La porta cigolò, greve, come indispettita dall'onere improvviso di dover calcare la scena una volta aperto il sipario. Fu oltrepassata da un passo incerto e breve come la vita: era Tallio, lo scarpino. "Scarpino" non rendeva giustizia agli anni che aveva passato sulla terra, anche se molti dei giorni e molte delle notti che li avevano composti li aveva passati proprio chino sulle suole dei suoi clienti, in un'inversione che adesso - che si trovava dall'altra parte - gli sembrava come una premonizione, un continuo ricordo del fatto che prima o poi tutti finiscano per calpestarti, almeno nelle culture che prevedono la sepoltura.
Non potendo cigolare a sua volta, la fiamma della candela danzò sulla punta dello stoppino, incerta sul suo ruolo in quella faccenda: non era stato lo spostamento d'aria della porta a scuoterla ma un altro vento, che serpeggiava attraverso altre aperture. L'apparizione stava in piedi, perfusa come di un'etere lattiginoso che dava consistenza a tutto ciò che nella vita non aveva posseduto un colore con cui essere visto: il fiato, il calore della pelle, il moto del pensiero e l'anticipazione delle intenzioni; e tutte queste cose insieme, spostando l'interesse dell'etere dall'una all'altra, ne disperdevano l'essenza tra le forme che il corpo aveva avuto, rendendo visibili i contorni di quella tetra apparizione nell'oscurità.
Nonostante fosse possibile vederlo, nulla avrebbe potuto far supporre che si trattasse proprio di Tallio, lo scarpino, se non alle persone che lo avevano conosciuto da vivo; e quelle stesse persone avrebbero di certo avuto parecchie difficoltà a riconoscerlo, non trovando più la fronte corrucciata o il logoro grembiule da scarpino ad incrociare il loro sguardo. Indossava infatti, sotto al sottile sudario che lo impacciava nei movimenti, il vestito della festa: un abito indossato soltanto in poche occasioni private prima di quella che lo avrebbe accompagnato per l'eternità e nulla, se non le sue stesse ammissioni, avrebbero potuto identificarlo per ciò che era stato in vita.
Si fa spesso troppa fretta a dire che le cose finiscano, come se fossimo noi a deciderne il punto di partenza e quello d'arrivo. Come se le cose non continuassero dopo quella "fine" che distoglie l'attenzione verso altre storie, esattamente come esistevano prima di un "inizio". Certe cose riescono ad essere sè stesse perfino prima di diventarlo e molte si rifiutano di abbandonare le proprie definizioni perfino quando cessano di esistere. Su queste cose, né i vivi né i morti hanno potere di agire, perché ci sono realtà nelle coscienze delle persone dove accadono e non accadono fatti che la realtà condivisa non conosce e non può confutare oppure, più correttamente, non ha nessun interesse a farlo.
Tallio guardò la lista che gli era stata data: era molto lunga e conteneva minuziose istruzioni su chi raggiungere e come ammonirlo. Si domandava come avrebbe fatto a fare l'accento svedese o a fingere di avere o aver avuto dei grossi baffoni, ma una cosa lo tranquillizzava: non aveva mai visto un fantasma prima di guardarsi riflesso nello specchio di quella stanza e si ricordava ancora abbastanza bene di quando era vivo da capire, dopo quella visione, che nessun mortale si sarebbe mai sognato di contraddire un fantasma se questi avesse proclamato di essere il prozio Lennart tornato dall'Ade per redarguire la discendenza sulla gestione del suo patrimonio.
Era arrivato il momento dello specchio, ma non doveva fare molto: anche questa volta doveva solo riflettere.
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