... Max Carpone era vivo.
Baro e Rodrizio tirarono fuori dalle tasche dei piatti, e prontamente si tuffarono ai suoi piedi richiedendo tortini di melanzane: il cuoco era mancato a tutti.
L'irreprensibile per una volta chiese spiegazioni e non si fidò di un morto tornato vivo. Non si fidò neppure dell'ipotesi che fosse una magia del tempio di alabastro: voleva sapere.
E Max Carpone lo soddisfò, come aveva sempre voluto fare. Gli parlò del proiettile di Harpo, della sua faccia uguale a quella di Baro, della partita di ramino mai terminata, della pietà suscitata a tal punto da non avergli scaricato addosso il caricatore, del suo essersi finto morto e della sua trovata geniale di scoppiarsi un testicolo per riempire la stanza di sangue, del libro di ricette che portava sempre sul cuore, e che gli aveva salvato la vita, del suo svenimento successivo veritiero, del suo risveglio nella capanna in fiamme, della fuga atroce con una mano sull'inguine, delle cure ricevute a Matelhuala, del suo rinnovato rapporto di fede con qualcuno più grande di noi lassù, della sua tristezza per averli perso per sempre, del suo arrivo al tempio per pregare, dello stupore e della gioia che lo avevano colto quando aveva sentito le loro voci, ed infine della decisone di abbandonare il mestiere di cuoco per prendere i voti.
Baro e Rodrizio avevano le lacrime agli occhi a sentire queste parole.
L'irreprensibile abbracciò quel cuoco finocchio come non aveva mai fatto. Ora che non c'era più il morto, si poteva tornare a casa, a Matelhuala; e indagare su chi un morto sul terreno lo voleva lasciare...
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1 commento:
quanti colpi di scena
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