Gli altri entrarono dietro di loro, caracollando sotto al peso dei bagagli.
"Non c'è fuoco, vado ad attaccare la bombola nuova. I miei dovrebbero averne lasciata una dall'estate scorsa."
Posate le borse termiche, uscì per fumare una sigaretta, ma sull'uscio gli furono consegnati altri pacchi da portare in cucina.
"Lascia perdere: i furgoni sono vuoti."
Finalmente poté innescare l'accendino sotto alla tettoia: la nebbia del mattino impediva di vedere la cima, ma facendo attenzione si poteva sentire la cascata dietro alla casa, attutita dalla sospensione di attesa per l'inizio del giorno.
"Noi cominciamo a mettere in ordine, gli altri dovrebbero essere qui per mezzogiorno. Vuoi iniziare a pelare le patate?"
"Senti, non è che potresti imprestarmi il tuo accendino? A questo punto, credo che il problema sia mio."
L'accendino volò dalla tettoia alle mani di...come aveva detto di chiamarsi?
I coltelli si irrigidirono sotto al gelo dell'acqua montana: sembravano arrivati direttamente dalla fucina di un fabbro glaciale.
Tutti continuavano ad entrare ed uscire dalle stanze, dandogli un senso di vertigine: sembrava che le gite di anni passati e futuri si fondessero, mettendo in contatto persone mai viste, vestiti fuori moda e nuovi modi di dire.
"Di chi è questo cane?" Nessuno rispose e così, per qualche minuto, ci furono soltanto carezze e guaiti. Il collare coperto dai graffi e dal fango, lasciava scoperta solo qualche lettera. Alzò il muso attirato da un suono lontano e rimase fermo in quella posizione, alzando ed abbassando lentamente il largo velluto del torace sdraiato, prima di galoppare verso gli alberi e sparire tra le rocce.
"E' uno dei cani della casa che abbiamo passato, deve chiamarsi Tamburo o qualcosa di simile."
La casa ora quietava, mentre tutti completavano le loro attività. Con il diradarsi della nebbia, arrivò anche il caffè. Soffiando sulla tazza, Marco consultò il telefono e annunciò: "Sara e Alberto sono pariti da poco, arriveranno dopo pranzo."
"Oh no! Chi mangerà tutto il mio hummus adesso?"
Tutti risero fragorosamente, battendo i pugni contro il tavolo e ricordando la vecchia storia dei bigodini. Dalla porta semiaperta, si intuì che nell'altra stanza si parlava di politica e Giada la reputò una buona scusa per andare in camera e finire di mettere a posto le sue cose.
"Ho lasciato il portafogli in macchina, chi mi accompagna?"
Marco alzò lo sguardo: "Se è quello rosso, potrebbe averlo portato dentro Camilla, non abbiamo lasciato niente nelle auto."
La porta del bagno si aprì e si sentì che Giada chiedeva qualcosa: tutti tornarono a concentrarsi sui rispettivi caffè.
"Anche io devo ancora dare la mia quota, ma ho soltanto due da cinque."
Era un momento di grande tranquillità, in preparazione del giorno seguente.
Eppure, sapeva che qualcosa mancava. Qualcuno se ne era andato in quel momento in cui il sipario si apriva ed i nomi ancora non c'erano. Chi era ad essersi perso? Contò due volte le persone, i posti delle macchine. Dopo aver sbirciato fuori dalla finestra senza guardare veramente, uscì dalla porta sul retro. C'era un maglione che ormai esisteva solo nella sua memoria, perché nessuno lo stava indossando.Vide un'impronta nel fango, sul sentiero che portava al paese, ma sarebbe potuta essere di chiunque. Fece un paio di passi e vide che le impronte non continuavano. Anche la sensazione di star perdendo qualcosa, andava svanendosi. Aprì il telefono per appuntare una nota, ma uno stormo d'uccelli catturò la sua attenzione. Avevano un volo spigoloso e turbato, tutti insieme lì nel cielo, e la mente scherzosamente gli suggerì che fossero loro quelli che stava cercando.