domenica, gennaio 26, 2014

Baricentro liminale



C'è un cane che abbaia in questo vagone, lo sentite?
Da quando ho visto The Truman Show penso sempre alla possibilità che i miei viaggi avvengano più spesso di notte per motivi di budget. Poi immagino il vagone che ballonzola su una specie di toro meccanico, circondato da schermi.
Non ho detto telecamere, che cosa significa?
Che la paura di vivere una messinscena è più forte della paura che qualcuno la guardi? Oppure, significa che in fondo le telecamere ci sono già e che quindi le dò per scontate?

C'è un cane che abbaia nel vagone e questo cane rappresenta la paranoia: abbaia per metterci in guardia da tutta una serie infinita di inconsistenti problemi reali e di importantissimi problemi irreali.
E se il cielo ci cadesse sulla testa?
E se quell'uomo all'improvviso ti mordesse un orecchio? Stai attento!

Ho usato la parola infinito. Quando la uso, ripenso sempre a David Foster Wallace e mi prende una grande tristezza. Rivedo un libro aperto su un copriletto azzurro nella pateticità di una luce da comodino gialla, ossia non a led. Così incredibilmente poco moderna che adesso, a ripensarci, mi ricorda di più una candela.

Poi, la sensazione della pelle nuda contro un bel muro freddo e bianco e l'orribile senso premonitore, la sera, a suggerire che anche quella notte avrei dormito poco. Più in generale, il pensiero vagamente depresso che tutta la nostra cultura e le nostre buone intenzioni, nonostante tutta la ragionata civiltà ed il benessere di cui godiamo, non possa garantire che il mattino dopo ci si svegli senza essere stanchi. Perché quando dormiamo, o cerchiamo di dormire, non siamo soltanto soli con noi stessi: ne siamo prigionieri. Svegliarsi non-stanchi: il più timido dei lussi, il meno avventato dei desideri.
Se sfreghi la lampada, il tuo è solo uno sfregio.

venerdì, gennaio 17, 2014

Requiem per un sogno bagnato

Riagganciò il telefono: Selma aveva detto di no. Anche lei, lei che gli era stata vicina nei momenti più brutti, non aveva accettato.
- Ho perso il tocco
Così gli aveva sussurrato al telefono, mentre in sottofondo i suoi nipoti la avvertivano che la torta era cotta.
- Selma, sforni torte ora?
- Oh Pat, sei il solito cascamorto
Appena, due minuti  e quindici secondi dopo, la telefonata era finita.

Patrizio aveva cominciato a cronometrare le telefonate dopo il sesto rifiuto. Queste donne che erano state bellissime, atletiche, disinibite e, soprattutto, arrapanti, ora facevano le vergognose, come se avere ottant'anni oggi avesse cambiato anche i loro corpi di ieri. Erano state davvero arrapanti,  tanto arrapanti da tenere milioni di occhi incollati agli schermi con la navigazione in incognito per ore ed ore. Tanto arrapanti da superare la crisi del 2008, da vincere sull'amatoriale via smartphone e da non risentire di tutte le isteriche volubilità del mercato.

Cosa restava di queste donne ora? Niente, giusto due minuti al telefono ed il sogno di un vecchio produttore: rigirare i loro video. Tutte le scene, inquadratura per inquadratura. Ma niente, nessuna voleva farsi convincere. Gli uomini, inutile dirlo, avevano tutti accettato subito.

Provò con un altra telefonata, forse l'ultima: Patrizio sapeva di non avere molto tempo.
- Missouri, pronto? Sono Patrizio, abbiamo girato insieme Fame di birilli n°7 qualche anno fa...
- Qualche anno fa? Ce l'hai un calendario in casa?

No, non ce l'aveva un calendario. Perché per queste ragazze era così difficile capire? Cinquant'anni prima il video avrebbe fatto furore. E adesso, le stesse donne che al tempo lo avrebbero trovato geniale nella sua insensatezza, si rifiutavano di farne parte.

Possibile che il trash fosse finito? Forse era soltanto il loro orgoglio di donne un tempo bellissime.

sabato, gennaio 11, 2014

Pioggia indoor


C'è un motto tra gli scout, ma soprattutto tra gli scout che non lo sono più. E' un motto retorico, ridondante, di quelli a cui ci si appiglia con la nostalgia delle certezze: il cielo è blu, il sole è giallo.

SCOUT UNA VOLTA, SCOUT PER SEMPRE

Questo la dice lunga non tanto sugli scout, quanto sull'influenza che i gruppi hanno sulla comunicazione tra i singoli.
L'altra sera, facendo la doccia, pensavo che solo i gruppi che vogliono escludere marchiano i loro membri, rendendoli eletti o dannati, comunque trasformandoli sempre in qualcosa di diverso da quello che sono. Forse per riflesso, forse soltanto per noia, ho cercato di immaginare il contrario di tutto questo, tanto per vedere che cosa ne sarebbe nato.

FILIPPO UNA VOLTA, FILIPPO PER SEMPRE

A voler guardare la barricata dalla mia parte, sono sempre stato io a lasciare il mio marchio indelebile nei luoghi dove sono stato, a condizionare inevitabilmente ogni film visto ed ogni canzone ascoltata. Le idee vengono vissute al pari di quegli ambienti materiali che abitiamo ogni giorno, ed è per questo che si modifica la scuola tanto facendone parte quanto incidendo il proprio nome sul banco.
Nessuno, per quanto bravo a nascondersi, è invisibile. Senza di noi non ci sarebbero i passanti, i pedoni, le code, le folle, i paesi, le coppie che fanno scenate, la gente da sola al cinema, i ragazzini delle altre classi, i rompicoglioni sui treni, le recensioni degli hotel, i bidoni dell'immondizia pieni fino a traboccare.
La coscienza della propria presenza nel mondo è l'unica cosa che non dobbiamo mai spegnere, non tanto il certificato di appartenenza che i gruppi di cui facciamo parte si arrogano il diritto di affibbiarci.

Il tutto sarà anche maggiore della somma delle sue parti, ma il tutto non è nessuno.