Forse perché credo di scrivere e cerco le cose che faccio nei posti sbagliati. Forse perché ogni cosa che scrivo è forma senza contenuto. Forse perché ogni cosa viene assorbita e va dove ve ne è più bisogno.
Di quello che scrivo non rimane mai niente.
Arriviamo alle case chiacchierando in fila indiana. In fase di post produzione verrà aggiunto un lungo brano di Ravi Shankar. Le corde si tendono e si rilassano come archi in una battaglia campale. Come molli lame di una lunga sega, tagliatrice di alberi centenari. Molle in un letto di doghe, accompagnano il passo strascicato di giovani scarponi slacciati.
Le nuvole, basse, si aggiungono e si sottraggono all'edilizia che compone il paesaggio. L'erba è verdissima, ma la luce rifiuta di rendere giustizia a tutto quel colore. Sono nuvole disimpegnate e dense, si muovono veloci disfacendosi.
Qualcuno di noi diventerà un idiota, mentre altri lo sono già. Sono indeciso se questa sia una cosa per me importante, o soltanto un diversivo per non pensare al lavoro, all'incombere della morte, della neolingua, della pessima musica. Sono indeciso se scrivere sia importante per me, se lo sia per gli altri, se non sia soltanto un diversivo per non pensare all'ignoranza di che cosa l'ignoranza comporti , al sopito spirito distruttivo che si accumula in me sotto forma di disprezzo, di noia, di assuefazione, di ricerca insoddisfatta, di creatività vergognosa, di insensibile soddisfazione.
Il diavolo si spoglia nella vasca: è grasso, distratto, con una minuscola ridicola coda a coronare il suo posteriore. Ma questo è uno spettacolo, non una memoria. Mi concentro sulle nuvole, sulle case in pietra, sull'odore di pesanti calze da montagna sull'asfalto bagnato. L'ipnosi dell'erba verdissima.
Il diavolo si spoglia nella vasca: è flaccido, impreciso, ma la coda - per quanto ridicola - acquisisce lentamente un'importanza che porta a trascurarne le dimensioni.
Se di quello che scrivo non rimane mai niente, finiremo per dimenticarci del diavolo?
Di quello che scrivo non rimane mai niente, sussurro entrando nella doccia. Voglio lavare via tutte queste ore di cammino e vedere cosa resterà sul mio corpo. Tutte le velature delle mie esperienze si sovrappongono le une alle altre, come le nuvole depositano il loro carico liquido su forme boscose che contribuiscono a rendere sempre diverse. Piove sui miei capelli, sul sapone che imprigiona lo sporco, sulla mia testa dolorante, sul menefreghismo, sull'incoscienza sociale, sulle cartacce, sulle attenzioni per il prossimo negate per poterne ricevere.
Di quello che scrivo non rimane mai niente perché sono l'unico assetato viandante del mio deserto?
Non credo proprio: il deserto è di tutti.
2 commenti:
Provate a raccogliere la sabbia con il dito più nobile
ipiroga è slow. si apprezza nella quiete.
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