sabato, gennaio 19, 2013

Curatore testamentario

Il mendicante arabo ha un cancro nel cappello, ma è convinto che sia un portafortuna.


                                                      
                                                Elisa Boccedi, Il Cappellaio Matto.



Aveva avuto la diagnosi.
L' ennesima diagnosi; l' ennesima malattia. Che si aggiungeva alla lista.
Ed era arrabbiata. Sapeva che in qualche modo era lei stessa la causa di quella nuova malattia. Che si aggiungeva alle altre dalle quali era affetta.
Anche quel male non le piaceva. E qualcuno potrebbe stupirsi del motivo: non è difficile da capire. Non è neanche il Vangelo. E' una verità: quel male non le piaceva perchè non era male abbastanza, non era come se l' era immaginato, come lo aveva voluto, come lo aveva desiderato.
Era arrabbiata. Nella folle solitudine dell' insicurezza, nel pensiero che si ripete fino a diventare ossessione, era lei che l' aveva desiderato. In quelle notti assurde, passate a inseguire sogni irrealizzabili o incubi, era stata lei a volerlo.
Come si desidera un figlio e al tempo stesso si ha paura: tanta paura. Ma lei era arrabbiata. Quel male era il male sbagliato. Quel male non l' avrebbe uccisa; almeno non direttamente e in tempi brevi. Era arrabbiata perchè non si trattava di un male lieve ma neanche di un male tragico.
Lei voleva solo essere libera. E quel male non l' avrebbe autorizzata a fare tutto cio' che voleva, a dare di matto, a inseguire un' idea malsana o a diventare una santa fottuta. Quel male la lasciava nella palude melmosa della mediocrità: lei che era una sirenetta. Questo male le toglieva qualcosa e non le restituiva niente, come un aborto. Era irreversibile, inguaribile; era lo specchio di qualche ferita. Lei non voleva essere curata: voleva solo diventare libera. Non voleva essere compatita. E così, ora, il problema si poneva di nuovo: non se ne sarebbe andata abbastanza velocemente e doveva trovarsi un uomo.
Un uomo come lo voleva lei, almeno quello. Quell' uomo doveva essere insensibile alla sua malattia. Uno di quegli esseri incredibili dotati di qualche stupido maniacale hobby. Si, ci teneva a salvaguardare il ruolo della martire in faticosa lotta contro forze che si oppongono alla sua realizzazione. Lei voleva che lui la trascurasse: magari per qualche stupido maniacale motor show. Si sarebbe stufata di lui, certo, un giorno. E quel giorno gli avrebbe rinfacciato di essere un maschio egoista. Si sarebbe stufata: si sa, i futuristi sono dinamici e si illudono di poter passare sopra la vita con la mitraglia della loro motocicletta.

Poi avrebbe pianto. E poi tutto sarebbe ricominciato da capo fino all' ultimo male. Quello che l' avrebbe uccisa. Quello che avrebbe fatto di lei una paziente terminale:
in quel momento, forse, desiderò guarire.

Gloria in excelsis Sirenetta.

3 commenti:

cwpmawtcklH ha detto...

[...]
Siamo come ogni cosa che si schiude,
e nient’altro che questa beatitudine.
Ciò ch’era sangue e buio in una belva
crebbe in noi per farsi anima e si tende ancora a te, fatta anima, e ti chiama.
[...]

R.M.R.

Elisa Boccedure ha detto...

Scrivo per renderLe noto un errore nella rubricazione della mia opera, autorevolmente citata a sostegno del suo post: si tratta di "Sofismo di Saffo post-sbronza" e non del "Cappellaio matto".
Ossequiosamente vostra

Anonimo ha detto...

tu che di me dici l' essenza