Pochi metri di tangibile pavimento antimacchia più in la, si stavano riscaldando tre aspiranti sceneggiatori. Uno, nella vita di tutti i giorni maestro d'asilo, ispezionava cupamente -ormai da due caffè ed una coca light- i grigiori della propria vita esprimendosi solo attraverso quelle degli altri due. Curiosamente, finii per scoprire che chi mi rivolgeva le spalle era stato diffidato dal mettere piede in una particolare ambasciata di Vienna, per una ragione che il maestro d'asilo assicurò più volte essere assolutamente ridicola e speciosa.
Gli credevo, decisi di credergli. Nel mio bagagliaio, ormai da tre giorni, stava la conseguenza a persone che non si erano credute. L'incomprensione genera mostri logorroici, inconcludenti sovrastrutture di un'evoluzione che rifugge lo scontro e predica la nonviolenza. La predica; per poi caricarne in lacrime il risultato nel bagagliaio di una station wagon poco appariscente, diretta verso l'Oceano.
Vorrei chiedermi perché proprio nell'Oceano, ma gli occhi sono già fissi sul deodorante incastrato sul bocchettone alettato dell'aria: mi sono ripromesso di non pensare mentre guido. L'ho deciso mentre accettavo l'incarico, mentre accettavo le ore che avrei passato a dimenticare la fatica di infilare quel corpo sanguinante nel sacco, mentre affidavo al materasso metà della cifra ricevuta.
L'altra metà alla fine: non si parla al conducente. Che sia doloroso per tutti, è indubbio. Ma non posso e non devo dimenticare che il maggior dolore sta nel bagagliaio di questa vecchia station wagon color notte. Riposa, in attesa di essere provato di nuovo.
1 commento:
Non si capisce una bobba
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