In alcune stanze i cicli di buio sono di un nero impenetrabile, cui gli occhi non si abituano mai.
Per una volta, è lui che apre bocca per primo. Sono immersi nell'indifferenza tra tenere le palpebre chiuse o spalancate, forti dell'unica sensazione di poggiare la parte posteriore del corpo sul freddo pavimento irregolare.
"Hai mai giocato ad un gioco di ruolo?"
"Sì, mi è successo. Fantasy soprattutto: orchi, maghi, elfi. Cose così. Perché me lo chiedi?"
"Mi sono ricordato di un compagno di stanza. Avevamo avuto una discussione sul Signore degli Anelli, o qualcosa del genere. Poi adesso mi è tornato in mente."
"Sono una cosa strana i giochi di ruolo. Io mi sono sempre divertito, ma riconosco che il merito fosse dello spirito di gruppo. Eravamo tutti pessimi giocatori, ripensandoci."
Lo sente muoversi, dall'altra parte della buca. L'impressione, a giudicare dalla nuova posizione della voce, è che si sia messo a sedere.
Continua: "Come tutti i giochi, si presta a diverse profondità di interpretazione. Gli scacchi sono un ottimo esempio, possono essere qualsiasi cosa, da passatempo a lavoro a sport."
"Questo sembrerebbe in contrasto con quello che hai detto prima: perché pessimi giocatori? Negli scacchi c'è chi vince e c'è chi perde. Nei giochi di ruolo la vittoria è un concetto molto meno definito."
"Volevo dire che il nostro approccio era limitante: abbiamo giocato abbastanza da provare un po' tutte le combinazioni di razza, allineamento e classe dei personaggi. Ti assicuro, era divertente. Però, ripensandoci, le nostre scelte sono sempre state elaborazioni di uno schema incredibilmente semplice. Finivamo per creare ogni volta personaggi aventi aspetti che ci permettessero di collegarli a noi stessi e a parti del nostro carattere, al massimo in modo antitetico."
"Credo di capire, ma secondo te che male c'è? Insomma, dove sta la limitazione?"
La voce dell'altro si fa sempre più fioca e distante, ma intuisce che non si sta veramente allontanando.
"Erano le possibilità ad essere limitate. Anche quando ci scambiavamo i personaggi, per metterci alla prova, questi finivano sempre per essere come posseduti. Era come se cambiando il guidatore cambiasse anche l'auto."
"Quello che dici però mi sembra un po' senza senso, e sfiora il concetto di libero arbitrio. Tu stesso parlavi di possibilità illimitate, dov'è questo aspetto se neghi la possibilità che un nuovo giocatore veda opzioni prima invisibili ma comunque reali? In un gioco di ruolo ha senso che la macchina cambi."
"Ma le possibilità hanno un solo grado di libertà per essere infinite in modo coerente: essere infinite all'interno di un campo finito. Wallace aveva detto qualcosa di simile riguardo ad un campo da tennis."
Le parole ora sono come strascicate, distanti tra loro con intervalli sempre diversi. "Recitazione ed immaginazione sono cose molto simili. Noi non avevamo abbastanza immaginazione o modestia da pensare di poter essere un'altra persona o di farla agire senza vedere le nostre mani all'interno delle sue."
Si solleva a sedere anche lui, per rispondere.
"Capisco quello che vuoi dire, anche se ho giocato troppo poco e quelle poche volte non ho mai visto il problema. Forse perchè l'ho intravisto nel cinema. Credo sia il motivo per cui molto dello spettacolo ha bisogno di avere gli attori truccati per poter credere a quello che stanno recitando. Comunque è una cosa che riguarda più lo spettatore che gli attori, un problema di percezione piuttosto che di recitazione.
Truffaut lo aveva capito, ma non era l'unico. La nostra immaginazione è vittima di un mondo pittorico, fossilizzato, attaccato alle radici che la ragione, mentendo, ci chiede di non recidere per mantenere un contatto con la realtà. Un contatto forse non necessario. Non credi sia così?"
Ma l'altro già dorme.
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1 commento:
quando si chiava in quella grotta?
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