Mangio la semola.
Sento strofinare ancora sulle pupille l'immagine di Edu che fa la spesa, sono rimasto scioccato. Eccolo li' che compra lo zucchero, prima in zollette e poi di canna. Gli chiedo se vuole anche lui la semola, visto che io la mangio.
Mi guarda con l'occhio pazzo, come godo, ha proprio l'aria di quello che da vecchio il semolino lo rifiuterà sempre, con integerrima costanza.
La semola, che cosa strana.
E' difficile descrivere quello che provo quando la mangio, prima, prima che il boccone entri in bocca, lo so cosa provo: fame. E quando ruttando sancisco la fine del pasto lo so quello che sento: è appagazione. Ma nel mentre? Serenità? Leggerezza? Propedeuticità (all'appagazione intendo) ? Felicità?
Credo sia opinione comune pensare che la felicità sia candida, stia nelle cose semplici, si annidi comodamente in bianchi cuscini dai contorni definiti, in qualche recondito spazio della soddisfazione, accanto al pane fatto in casa ed ai piccoli, teneri, comunissimi gesti di ogni giorno. Ma perchè? Che cosa centra? Sembra una cosa semplice. Ma sembra perchè lo è, o perchè è favorevole pensare alla felicità come a qualcosa di semplice e alla tristezza come una cosa articolata? Complessa? Si dice no? "C'hai i complessi".
Mi dissocio, esistono felicità complesse e tristezze semplici e c'è di più: esistono felicità fatte di tristezze e viceversa. E se mentre mastichi la tua semola ci trovi dentro un seme di cumino, che ti fa schifo? E se quell' appagazione di fine pasto sarà invece gratitudine di essere scampato ad un piatto indigesto? O speranza che quest'ultimo non abbia ripercussioni sul tuo riposo? Esistono molte cose strane nel mondo, cose che non si svelano ad una prima, sommaria occhiata, una di queste è il fatto che il cus cus sia fatto di semola.
2 commenti:
titolo appassionato
semola semola che qui si Sofocle
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