mercoledì, giugno 28, 2023

Braci di dama

Quando hai un titolo migliore di ciò che vorresti scrivere, dovresti lasciare tutto com'è e ritornare solo con quel poco di ispirazione che nobiliti quel vago principio di intuizione.

Però non sempre si può e non sempre ci riesco. A volte scrivo male, così male che le lettere sulla carta diventano come linee convulse e i pensieri non sono che brandelli di idee rattrappite, appiccicate l'una all'altra con uno sputo di grandeur. Mi passa persino la voglia di cercare come si scriva, grandeur.

Come iniziare un periodo con "a volte", con quello stile da liceale che vuole dare a vedere di aver già capito tutto (anche più di ciò che si possa capire) e che il mondo non è più degno del suo sguardo. C'è un momento durante l'adolescenza in cui vorresti essere adulto e responsabilizzato, anche se sotto sotto sai che essere adulto e responsabilizzato fa schifo. Forse imitiamo solo le idiosincrasie dei personaggi che vorremmo essere. Esseri umani che imitano gli attori che impersonano i personaggi di una commedia di Woody Allen (per i più giovani: Wes Anderson). No, non chiedetemi quale: una delle meno ispirate, sceglietela voi.

Grandi responsabilità, grandi problemi.

Quando ho saputo della morte di Gwen Stacy, Gwen Stacy era già morta da un pezzo. Non lo appresi nemmeno dal fumetto vero e proprio, ma da una pagina di Wikipedia. Fu ugualmente un'epifania. C'è un momento della crescita in cui si pensa che le storie tormentate siano cool: non sono cool. Rendere la sofferenza cool è stato il grande stratagemma con cui il melodrama ha reso accettabile vivere un mondo sempre più interconnesso e sempre più imprevedibile. O almeno meno semplicemente programmabile. Il vento del fato non spira poi da molto tempo, forse giusto dalla rivoluzione francese. Prima di essere l'alito sapiente che instradava il giusto compiersi della provvidenza, il destino era già stato una cieca pioggia di pietre: alcune avrebbero sfondato crani ignari, altre avrebbero reso ricco chi le avesse scavate fuori da terra.

Dove cazzo voglio andare a parare?

Sono anni che questa piroga ha lasciato ogni velleità di voler esprimere concetti nuovi agli esseri umani, tantomeno concetti veri, tantomeno concetti belli. Dacci oggi la nostra psicanalisi quotidiana: questa è la nostra piroga. Il dialogo interiore come social network della propria coscienza.

Dove voglio andare a parare?

Le parolacce non mi appartengono. Nulla mi appartiene. Forse dovrei farmi Francescano, almeno per coerenza con l'idea della persona che vorrei essere. Aspetterò che Woody Allen (per i più giovani: Wes Anderson) faccia un biopic su San Francesco.

Dopo la morte delle mezze stagioni, sono venute a mancare anche le tre età dell'uomo. Non siamo nemmeno più capaci di avere una crisi di mezza età. Finirà che avevano più sale in zucca quelli che se la facevano venire prima del tempo. Chi siamo? Dove andiamo? Domande irrilevanti per il singolo sono diventate cruciali per la collettività. Se insieme non sappiamo chi siamo, da soli siamo meno di niente. Pulviscolo interstellare. Cracce di carbonio che incrostano un liscissimo geoide in volo tra le stelle. Termini residuali di una infinita caduta.

L'elenco continua. L'elenco continua sempre. Nessuno parla più degli uomini pesce e l'immaginazione deve essere moribonda, certamente malata, nascosta in qualche soffitta ad aspettare la fine. Ah, perché non sono anch'io coi miei uomini pesce? La gente va nelle piscine e non li trova, non li vede. Si sono tirati dietro la porta, chiudendola con l'intento di chiuderla per sempre; a doppia mandata. La gente non pensa più a niente che non sia importante: questo è il veleno.

Forse è solo la fine del mio tempo. Ogni notte può sembrare infinita se si mette in dubbio la possibilità che sorga il sole. E questo sole sorgerà, ma non sarà più il mio: questo comincio a capirlo, addirittura ad accettarlo. Allora sarò creatura della notte, un vampiro buono incapace di immaginarsi sotto un sole diverso. A forza di cambiare, arriva per forza un momento in cui capace di cambiare non lo sei più.

Non riesco a finire. I miei post si fanno sempre più lunghi e sconnessi, come a volersi rendere innocui. Zeppi di parole, rotolano giù dalla stessa collina da cui sono partito per arrendersi, sfaldandosi, ai miei piedi. Non c'è nulla di romantico nel constatare il passare del tempo.