Soltanto in due luoghi si può definire arbitrariamente un significato diverso dall'essenza: l'arte ed il gioco.
Non è un caso, quindi, che il tangram sia spesso considerato un gioco. La descrizione e l'interpretazione della realtà sono attività umane che illuminano la nostra schizofrenia tra il mondo vissuto e quello percepito. Intravedo la ragione di questa dissociazione nella nostra grande ed affinata capacità di interagire con gli altri. Probabilmente, due cani si scambiano soltanto incontrovertibili verità, anche se all'occorrenza possono dubitare della loro grandezza o della loro esistenza. Ma si tratta sempre di dubbi interni, personali, che si infrangono di fronte alle ondate dei fatti.
Siamo l'animale che ride del doppio senso, che costruisce universi di fantasia, che crede a ciò che crede. Ma perché siamo così? Perché dobbiamo difendere la nostra libertà da quella degli altri, anche se possiamo percepirla?
L'illusione ottica del coniglio che è anche un papero, anche se è soltanto un pezzo di carta con una certa forma. Il cigno sveglio ed il cigno addormentato, costruiti con gli stessi elementi del tangram. Non è un caso, forse, che prima della morte più importante della cultura occidentale, dei soldati si giocassero ai dadi una veste stracciata.
Il gioco, così come l'arte che rappresenta la scena senza essere la scena - e che può quindi permettersi di utilizzare vestiti di un altro periodo storico e paesaggi di un altro luogo, senza per questo negare o distorcere la realtà - è la rappresentazione della possibilità, intesa come intenzione, di modificare la realtà.
E' una promessa, una promessa ripetuta a noi stessi, una promessa per accordarci tra noi e forse, un giorno, sovvertire la seria immutabilità del reale.