Il tempo passa in un modo tutto suo nella miniera. Luce artificiale e buio si susseguono secondo parti del tempo canonico che oscillano tra le tre e le otto ore. La durata di questi cicli varia a seconda dell'opinione della persona con cui si trova a dividere la buca, che cambia dopo un numero di cicli puntualmente imprevedibile.
Ad ogni ciclo di luce ne segue sempre uno di buio ed è opinione poco diffusa, ma molto radicata tra coloro che la condividono, che i cicli siano sempre uguali a coppie. Cioè che ad ogni ciclo di luce ne segua uno di buio della stessa durata, indipendentemente dalla durata del ciclo di luce che seguirà.
Non gli è mai successo di tornare in una stanza in cui fosse già stato o di rincontrare qualcuno. Gli uomini che incontra hanno sempre delle idee, delle teorie sul perché della miniera e sui suoi abitanti. La tortura è uno di quegli argomenti di cui si parla solo per esprimerne la paura ed il mistero e nessuno fa mai riferimento a cosa gli sia successo personalmente. Il tabù stesso sembra essere una parte della tortura o un ingrediente del rituale scaramantico ad essa legato.
Di solito nei cicli di luce si scava, con le mani e senza troppa passione, benché non sia chiaro se scavare sia obbligatorio o meno, così che ognuno calcola secondo coscienza se ci sia o meno relazione tra la propria disposizione verso la miniera e la frequenza con cui si viene torturati.
Nei cicli di buio si dorme e ci si riposa. Il cibo viene sempre portato sul finire di un ciclo di luce dentro vassoi coperti in tutto per tutto simili a quelli di una mensa, anche per contenuto: primo secondo e dolce, e si può scegliere tra una bottiglia da mezzo litro d'acqua naturale o un cartoncino di latte intero da 33cl. Il tutto viene lanciato o calato nelle buche da inservienti silenziosi e col volto coperto.
"Il motivo per cui ci torturano, quello almeno lo so." dice il suo sedicesimo ed attualmente ultimo compagno di stanza, o cella o buca, accoccolato in una rientranza scavata ad un mezzo metro di distanza dal fondo di una voragine profonda almeno tre.
"In tutte le culture che sono state visitate dagli alieni c'era la violenza. Ma soprattutto la tortura. E' un dato di fatto. I Maya, gli Aztechi, i Nazisti, le famiglie incestuose e perverse dei grandi campi di grano nordamericani."
Deglutisce sonoramente una sorsata di latte, chiedendosi se questo della teoria degli alieni saprà dargli qualche indizio circa il suo ricordo.
"Gli alieni, che sia per proteggerci da noi stessi o per guardare uno spettacolo semplicemente interessante, si fanno vivi dove qualcuno fa male a qualcun'altro, intenzionalmente e per un tempo sufficiente a che le grida raggiungano le loro antenne aliene."
Non ha ancora assimilato completamente la logica dietro al ragionamento che un inserviente con una maschera da saldatore sbuca dal telaio della porta per indicarlo, intimandogli di seguirlo.
Dopo essere faticosamente uscito dalla buca, viene bendato.
"Pensala come parte di un meccanismo di aggiornamento accelerato. Vogliamo che arrivino a salvarci, questi benedetti alieni. Stiamo piangendo il più forte possibile attaccati alle sbarre del nostro lettino spaziale."
Non gli è mai successo ma sa cosa significhi: ora, per la prima volta, verrà torturato.
giovedì, gennaio 26, 2012
domenica, gennaio 22, 2012
L'autoradio stasera non funziona
Il vento dell'autostrada sembra volermi spazzare via, poderoso.
Sbatto la portiera più forte che posso, e faccio due passi fino al confine della linea gialla tratteggiata : io non ho paura.
Però l'odore di asfalto bagnato mi manda in confusione.
Quando viaggio, rischio sempre di causare incidenti in modo stupido. Per questo motivo, ogni tanto accosto e mi fermo. Al volante, noto particolari intorno a me a cui sicuramente non farei mai caso, se fossi seduto al posto del passeggero.
Del resto, ho intuito che la vita funzioni più o meno così : una condanna a chi ha i denti non ha il pane-chi ha il pane non ha i denti all'ennesima potenza; stai studiando qualcosa che non ti piace, e hai voglia di disegnare, buttarti da una collina con il deltaplano, imparare a suonare la chitarra elettrica. Hai una giornata libera da spendere come meglio credi, e la butti via.
Poi la sera scrivi un post per annegare le reminescenze della coscienza.
Il mio must alla guida è senza dubbio guardare dentro le finestre delle case altrui.
Mi piace vedere le persone minuscole che ci abitano, così lontane da me; scorgere in una stanza illuminata una signora preparare il minestrone per la cena. Sorrido quando immagino i capricci che faranno i figli più piccoli per scamparsela.
Ad ogni modo, mi piacciono di più le persone che, anche ad una prima occhiata fugace, sembrano infelici. E non solo quando faccio lo spione in autostrada.
Tolstoj, in Anna Karenina, dice che "tutte le famiglie felici si assomigliano, ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo".
Per le persone al di là dei pilastri di cemento dell'autostrada, dall'altra parte di quelle finestre, io sono solo uno dei puntini colorati che sfuggono imprendibili nel buio della notte; ed eppure mi piace credere che, in quegli attimi, la mia vita in qualche modo si sfiori con le loro.
Sbatto la portiera più forte che posso, e faccio due passi fino al confine della linea gialla tratteggiata : io non ho paura.
Però l'odore di asfalto bagnato mi manda in confusione.
Quando viaggio, rischio sempre di causare incidenti in modo stupido. Per questo motivo, ogni tanto accosto e mi fermo. Al volante, noto particolari intorno a me a cui sicuramente non farei mai caso, se fossi seduto al posto del passeggero.
Del resto, ho intuito che la vita funzioni più o meno così : una condanna a chi ha i denti non ha il pane-chi ha il pane non ha i denti all'ennesima potenza; stai studiando qualcosa che non ti piace, e hai voglia di disegnare, buttarti da una collina con il deltaplano, imparare a suonare la chitarra elettrica. Hai una giornata libera da spendere come meglio credi, e la butti via.
Poi la sera scrivi un post per annegare le reminescenze della coscienza.
Il mio must alla guida è senza dubbio guardare dentro le finestre delle case altrui.
Mi piace vedere le persone minuscole che ci abitano, così lontane da me; scorgere in una stanza illuminata una signora preparare il minestrone per la cena. Sorrido quando immagino i capricci che faranno i figli più piccoli per scamparsela.
Ad ogni modo, mi piacciono di più le persone che, anche ad una prima occhiata fugace, sembrano infelici. E non solo quando faccio lo spione in autostrada.
Tolstoj, in Anna Karenina, dice che "tutte le famiglie felici si assomigliano, ma ogni famiglia infelice è infelice a modo suo".
Per le persone al di là dei pilastri di cemento dell'autostrada, dall'altra parte di quelle finestre, io sono solo uno dei puntini colorati che sfuggono imprendibili nel buio della notte; ed eppure mi piace credere che, in quegli attimi, la mia vita in qualche modo si sfiori con le loro.
sabato, gennaio 21, 2012
Alteri, IV parte
Si dividono prima che l'edificio diventi visibile. Indicandolo con la mano libera, la donna armata dice: "La miniera".
Non si chiede nemmeno per un istante che cosa ne sia stato della mummia e dell'altra donna, ma non è più la memoria a tradirlo. La sua attenzione ora è interamente concentrata su quel gesto di togliersi qualcosa dalla bocca, qualcosa forse di disgustoso o di velenoso, per darlo ad un uomo sempre più solo e sempre più disperato.
Cerca indizi per ricostruire il senso della visione lungo il resto del tragitto: guarda le vetrate impolverate e censurate dalle assi e sperando di trovarvi, aldilà, un indizio. Cammina, sempre scortato, attraverso lunghi corridoi, lamentandosi con se stesso per la mancanza di appigli su cui costruire un ragionamento.
Sembra quasi, alle facce stanche e senza speranza che lo vedono passare, non il solito nuovo arrivato, ma una sorta di sovrintendente o ispettore, che anticipi camminando sempre più svelto e febbrile la pistola che lo tiene sotto tiro. Pare che lei più che condurlo sotto una posteriore minaccia lo pedini, come un cattivo dei cartoni animati in agguato.
Quando finalmente si accorge dei volti che lo guardano ritrova in essi, con un sussulto, la stessa disperazione debole e muta dell'uomo del suo ricordo. Finalmente viene fatto entrare a spintoni, recalcitrante perché desideroso tornare a rivedere quegli occhi per capire se fossero gli stessi, in una delle poche stanze ancora con la porta. Il pavimento, a parte le prime quattro piastrelle oltre la soglia, manca completamente e lampade a risparmio energetico rivelano una voragine di quattro o cinque metri scavata nelle fondamenta dell'edificio e nella terra.
Sul fondo della buca, cui arriva grazie ad una scala di corda come insanguinata, un vecchio pallido e segnato gratta la terra a mani nude. Quando, dietro minacce, anche il precedentemente smemorato si mette a scavare con le unghie e con le mani e la porta si richiude sopra di loro, il vecchio si gira per dire in un sussurro: "Almeno oggi non ci torturano".
mercoledì, gennaio 11, 2012
Alteri, III parte
La strada è deserta, per non dire desolata, ma due donne scavalcano il guardrail.
Una ha una pistola nella mano, che tiene bassa e vicino al corpo; l'altra ha uno sguardo nervoso che non ammette repliche.
Nessuno parla, mentre la disarmata prende sottobraccio i due, trascinandoli al cospetto dell'altra. Con uno scatto della pistola, indica loro di avanzare verso il sentiero da cui sono venute, oltre il guardrail. Cominciano a camminare, silenziosi e in fila come quattro ladri, attraverso un campo di granoturco.
Ciò che trattiene lo smemorato nella fila è il senso di appartenenza. Per quanto ne può sapere, la vita è sempre stata una camminata scalzo nell'infangato sentiero tra due mura di granoturco.
Però, per la prima volta, si annoia. Qualcosa non funziona. Forse è lo spostarsi senza i discorsi del compagno. Quei discorsi oziosi e involuti, che tuttavia non ricorda, gli mancano. Comincia a pensare qualcosa di diverso dalle sue percezioni. Inventa storie insensate che durano il tempo di dimenticarsi come fossero iniziate.
Il sole è ancora alto nel cielo, ma passa il tempo e i racconti si fanno più lunghi e sempre più complessi. I personaggi cominciano a rimanere.
La storia che riesce a tenere più a lungo sospesa nel suo flebile pensiero è per immagini. Uno spettacolo muto di idee che interagiscono tra loro. Una donna si prende qualcosa dalla bocca e lo porge ad un uomo. Lui se ne va disperato e raggiunge altri che sono come lui.
E' una vicenda che lo interessa. Che cosa si sono dati? Perché? In fondo non c'è nulla di male a voler sapere una cosa che non esiste, dice a se stesso.Conoscere una ragione. Ma subito si corregge: sapere quella vera. Già che questa cosa non esiste, almeno che sia vera. Cosa gli avrà dato? Riguarda la storia e la riguarda, perdendosi e tornando ad essere lo smemorato che era. Ma rivede ancora la vicenda, negli occhi della mente.
Non può che essere qualcosa che è già successo. Questo significa che c'è un prima a tutto questo? Un prima a questa schiena davanti a me che brancola nel fango? Cerca di guardare meglio l'idea di quello che i due si scambiano. Sembra essere una pietra. Una pietra che esce dalla bocca di una donna. Sembra non essere mai successo.
sabato, gennaio 07, 2012
Alteri, II parte
La macchina scivola sull'asfalto, dopo uno spuntino di pane e acciughe sotto sale ad una piazzola del soccorso stradale.
Lo smemorato è sui sedili posteriori, rannicchiato in una scomoda parodia di posizione fetale, scalzo. Davanti, continuano gli strani discorsi di viaggio dell'altro. Parla dell'ultimo movimento del concerto per pianoforte e orchestra n.3 di Beethoven, della catena di errori voluti e non che convergono alla proiezione scritta della realtà interpretativa di un ipotetico autore.
Potrebbe non essere l'impressione che lo scrittore ha avuto di un avvenimento reale, oppure l'impressione sincera che ha avuto di un avvenimento non reale. Ogni tanto si gira verso lo smemorato per ripetere ciò che reputa più incisivo: "la differenza tra simulazione e dissimulazione", "il mercato del giorno dopo dell'interpretazione", "contessa paralizzata", "discretizzazione".
Lo smemorato sogna o forse crede di sognare. Immagina un evento, che subito dimentica, tramandato poi da tutti quelli che vi hanno assistito. Ma allora, pensa, l'evento si ripete. Errato, diverso dalla prima di tutte le sue copie, mutato, interpretato, si ripete all'infinito e nessuno è in grado di distinguere la copia dall'originale, il giusto dallo sbagliato.
Il bendato si gira mentre sorpassano un grosso camion rosso, dice: "sesso".
E' una bellissima giornata e nella scomodità della sua posizione lo smemorato si accorge di non ricordare quel primo evento che aveva immaginato.
Quando apre gli occhi la macchina è ferma. Un lontano senso di appartenenza gli suggerisce di non essersi mai spostato dalla piazzola in cui hanno mangiato il pane con le acciughe. In effetti è la stessa.
L'altro guarda accucciato la ruota anteriore sinistra. Impossibile capire cosa stia pensando; ma la gomma è certamente bucata. Quello che vede è solo una mummia in abiti civili.
Lo smemorato è sui sedili posteriori, rannicchiato in una scomoda parodia di posizione fetale, scalzo. Davanti, continuano gli strani discorsi di viaggio dell'altro. Parla dell'ultimo movimento del concerto per pianoforte e orchestra n.3 di Beethoven, della catena di errori voluti e non che convergono alla proiezione scritta della realtà interpretativa di un ipotetico autore.
Potrebbe non essere l'impressione che lo scrittore ha avuto di un avvenimento reale, oppure l'impressione sincera che ha avuto di un avvenimento non reale. Ogni tanto si gira verso lo smemorato per ripetere ciò che reputa più incisivo: "la differenza tra simulazione e dissimulazione", "il mercato del giorno dopo dell'interpretazione", "contessa paralizzata", "discretizzazione".
Lo smemorato sogna o forse crede di sognare. Immagina un evento, che subito dimentica, tramandato poi da tutti quelli che vi hanno assistito. Ma allora, pensa, l'evento si ripete. Errato, diverso dalla prima di tutte le sue copie, mutato, interpretato, si ripete all'infinito e nessuno è in grado di distinguere la copia dall'originale, il giusto dallo sbagliato.
Il bendato si gira mentre sorpassano un grosso camion rosso, dice: "sesso".
E' una bellissima giornata e nella scomodità della sua posizione lo smemorato si accorge di non ricordare quel primo evento che aveva immaginato.
Quando apre gli occhi la macchina è ferma. Un lontano senso di appartenenza gli suggerisce di non essersi mai spostato dalla piazzola in cui hanno mangiato il pane con le acciughe. In effetti è la stessa.
L'altro guarda accucciato la ruota anteriore sinistra. Impossibile capire cosa stia pensando; ma la gomma è certamente bucata. Quello che vede è solo una mummia in abiti civili.
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