domenica, gennaio 30, 2011

Totentanz



La storia della foto di Lena, classe 1951, playmate del novembre 1972, è curiosa.
Viene ricordata come l'immagine standard per il collaudo degli algoritmi di elaborazione digitale delle immagini.
Al dilà dell'interesse storico la foto per intero, il paginone insomma, merita un'occhiata.
Molte occhiate.

Comunque anche la vita di Franz Liszt è curiosa: alla mia età, nel 1833, incontrò la contessa Marie d'Agoult, l'anno dopo George Sand, dopo ancora Shumann, Wagner, Bizet, Ingres.
Sembra quasi che il fatto stesso che egli fosse sè stesso dovrebbe sorprenderci.
Ma d'altronde il fatto che anche Rodrizio abbia una foto con Lippi, dovrebbe ridimensionare l'altisonanza dei nomi citati.

I grandi, per fortuna, sono esistiti: non ci dovremmo sorprendere che qualcuno ci parlasse anche e magari li considerasse degli stronzi.

Perché ho voluto modificare la foto, coprire il bellissimo volto di Lana con gli occhi di Franz Liszt?
Volevo incasinare la grandezza, fondere tra loro cose memorabili che già erano ricordate per più di un motivo. Confondere i sensi per capire la radice del ricordo: abbattere l'albero per contarne gli anni.

Anche se non fosse diventata famosa per la storia degli algoritmi di elaborazione digitali ci saremmo ricordati di quel novembre '72?
Vorrei dire certo che sì, per quanto fioca possa essere la memoria di una foca l'immagine di quel corpo specchiato e stivalato sarebbe rimasta nella storia, anche se quella con la esse minuscola.

E Franz Liszt, non sarebbero rimaste nella storia le sue doti di pianista anche se non lo avessero eletto Cavaliere dell' Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme?

In realtà chi lo sa? Ogni cosa è collegata alle altre: una sorta di meccanismo di sicurezza per evitare che ci siano accadimenti troppo importanti, indipendenti dalle condizioni al contorno.
E' per questo che ho voluto modificare la foto con lo sguardo di Listz, ma poi non l'ho fatto.
Ho voluto, sì. Ma solo per poco, prima di farlo veramente.
Servivano altri occhi, occhi che avessero visto meno la storia in cui erano destinati a rimanere.

Al suo posto ci sono gli occhi di Anna Frank.

domenica, gennaio 23, 2011

prolungamenti

Oggi ho camminato fino al mare senza ascoltare la musica.

"Vuole giocare, signore?"
Parla con me, mi giro verso il baraccone.
Voglio giocare?

E' tanto che c'è questo Luna Park, ma può essere solo un' impressione.
Forse pensa lo stesso di me e mi confonde con tutti gli altri "signori" che incontra nelle città del mondo.

Il mare invece c'è da sempre, le sue labbra di sabbia e le sue ciglia di pioggia.
Siamo insieme sin da prima della mia memoria, ci sono delle foto: cappotto ocra con trenino.

lunedì, gennaio 17, 2011

I carotaggi (terza parte)

Un fantasma con un difetto di pronuncia può non far paura a nessuno.
L'idea che invece porta con se è di sicuro spaventosa, almeno per qualcuno.

Un morto che conserva qualcosa della sua vita materiale, in particolare un difetto, non è un morto: è un vivo che non vive.
Il che è diverso. Non essere, non so come possa essere, però è curioso pensare al dopo la morte come un luogo dove siamo noi senza essere le cose che ci rendono tali.

Ci sarà pure qualcosa che è solo di una persona: un modo di sorridere, una svergolazione del setto nasale che è sua e di nessun altro. Che cosa succede della particolare inflessione che aveva la sua voce dopo morto?

Il punto è che la morte è dei morti, e di nessun altro. Disturbarli non è un pericolo per noi, quanto per la loro autostima: voi magari non ricordereste continuamente ad un morto quanto era brutto da vivo, ma il pensiero della vita gli farebbe certo quest'effetto.

La storia di B

Io ero seduto sulla mia sedia, come al solito.
Quel bambino era andato e venuto tutta la mattina: un casino terribile.
L'altra invece era venuta, aveva disegnato, se ne era andata.

Il disegno era il suo orgoglio. Me lo aveva mostrato, un attimo appena. Non l'avevo visto veramente bene in realtà. Continuava a muoverlo. Fastidiosissimo.
Lo aveva fatto vedere a tutta la casa, sua madre pensava proprio di incorniciarlo.
Da incorniciato avrei certo potuto vederlo meglio, a me stava bene.

Dalla mia sedia la scena fu semplice. Il bambino guardò il disegno, poi l'oliera. La spinse. Poi corse via.
Tornò con lei, coperti di lacrime entrambe. Lacrime bagnate uguali, scroscianti uguali, arrossanti allo stesso identico modo.
Il disegno era rovinato.

Lui la consolò, per quelle che mi sembrarono ore. Le fece intravedere tutti i disegni che l'aspettavano nel futuro. Piansero, sorrisero, piansero ancora.
Non capivo. Avevo visto tutta la scena eppure ero quello che ci capiva di meno.

L'aveva guarita ammalandola di dolore.

venerdì, gennaio 14, 2011

Capitolo 14) Perseveranza

Riacquisto consapevolezza di me.
Di fronte ho la pupilla nera di Oscar, e il mio amico mi sta parlando fitto; ha l'aria concitata di uno che non riprende fiato da un po', così mi rendo conto di essermi perso l'inizio del suo racconto, sprofondato in chissà quale limbo del pensiero.
Mi manca il coraggio di interromperlo.

Percepisco la paura nelle sue parole, ma la sua narrazione è avvincente come un finale di un libro giallo : mi parla della sveglia suonata in ritardo quella mattina - ma nemmeno l'Ispettore Manetta ci crederebbe - dell'omicidio di Manuela avvenuto mentre si fingeva ancora svenuto; del post-it con il suo nome sulla scena del crimine; della certezza che, una volta che si fosse ripreso dallo choc, sarebbe stato inchiodato indiscutibilmente da Cesare, il padre di Manuela, accorso nella stanza dopo un sms inviatogli dal cellulare della figlia, ma con vero mittente l'assassino; della sua ingenuità a fuggire senza riflettere, dopo aver visto il killer candidamente chiamare la polizia; dell'idea di lasciarmi quel messaggio segreto.
Oscar racconta come può farlo solo una persona innocente, e d'istinto lo abbraccio forte.
Solo in conclusione mi riferisce il nome del vero colpevole, che nello stesso istante compare nella stanza, come nei peggiori film.
Deborah si ferma alla fine del corridoio buio, pietrificata.

E allora capisco tutto : la visita nel mio studio, la macchina posteggiata in un luogo diverso, il cambio di vestiti, l'alibi di trovarsi sulla scena dell'altro omicidio, l'averlo eseguito con le stesse modalità, il passarmi il post-it per confondere impronte innocenti con impronte colpevoli, la duplice telefonata in commissariato, finta con Oscar presente, vera con me; i persistenti rifiuti di accompagnarmi qui, il saluto non casuale tra Manuela e Deborah nelle scale.
"Cesare ha visto solo me, e poi è stramazzato al suolo per il dolore; lei era nascosta dietro la porta, e poi è fuggita immediatamente" - conclude il ragionamento Oscar.

Rivolgo lo sguardo verso la mia ex-fidanzata, con un misto di incredulità e disgusto, ma senza paura. L'unica cosa che ancora ci accomuna è che anche lei, come me, non riesce a proferire parola in questi interminabili attimi.
Dell'immagine di Seb e Deb all'improvviso rimane solo una fotografia ingiallita dal tempo.

Mi resta oscuro il movente, ma un lungo viaggio in auto fino ad Osoppo aiuterà a chiarire tutto.
Il caso è chiuso; posso andarmene, quantomeno con il pensiero : ho un viaggio in sospeso, un viaggio che ho cominciato il giorno del ritrovamento del corpo di Manuela.
Non mi trovo più nel retro del Polpo di Genio, La California e la Toscana sono lontane; il Friuli ancora di più : è solo un ricordo, un brutto ricordo.
Sono sdraiato supino, in un posto caldo e pieno di sole; intorno dune di sabbia e ciuffi d'erba, il mare calmo mi culla.
Mi sembra di non essermene mai andato.
Apro gli occhi : mi manca la Puglia, il mio tempo ad Osoppo si è concluso.

In quel momento le enormi vetrate della stanza vanno in frantumi, e degli uomini in nero col volto coperto piombano in mezzo a noi, immobilizzandoci; Deborah è la prima.
Forse sono poliziotti, ecco da chi era pedinata la mia Toyota.
O forse non lo sono.
Annuso un panno intriso di qualcosa e perdo i sensi.
La mia terra è più lontana.

giovedì, gennaio 13, 2011

I carotaggi (seconda parte)

Ci sono rari casi in cui all'oratore è dato di parlare senza essere interrotto.
Quando questo è vero tra le persone non lo è nelle loro menti, e viceversa.

Le tre poltrone erano sempre dove erano state lasciate, sempre che di tre poltrone si trattasse. Si usano degli esempi sperando che poi colui con cui ci intendiamo non si limiti a completare le figure ma ne crei di nuove. Avete mai disegnato l'albero che stavate guardando?

La storia di C

Ricordo una panchina in un parco.
L'ora è quella a cui si riferisce quando si dice "era giorno".
La persona che vi parla è quella cui ci si riferisce quando si dice "ero io".
Era giorno, io mi ricordo di una panchina in un parco.
Vi ero seduto. Ci sono ragazze che fanno jogging, passano in paraorecchie di lana e pantaloncini corti.
Alcuni piccioni beccano forsennatamente nell'erba alta.
Padre e figlio giocano a frisbee.
Ci sono dei bambini nel parco giochi e come è prevedibile: giocano.

Un barbone si avvicina alla mia panchina.
Riconosco che è un barbone dall'odore, e ovviamente dalla barba.
Ecco che comincia a parlarmi:
"Vedi amico..."
In un altra situazione non rimarrei qui ad ascoltare quello che ha da dirmi; ma è un assolato pomeriggio in un parco, ci sono dei bambini: non posso picchiarlo a sangue.
Troppi testimoni.

Vedi amico: quando uno è un barbone come me, certe cose le sa.
Non c'è bisogno che ti dica che quando un barbone si siede su una panchina occupata sono poche le persone che educatamente lo ascoltano, come te.
I più se ne vanno, o semplicemente fanno finta di niente. Altri reagiscono ancora peggio, ma per fortuna oggi c'è pieno di bambini.
Vedi amico: molti si spazientiscono quando un barbone rassegnato, come lo sono io, gli dà dell'amico.

E mentalmente ribatto:
In effetti caro barbone puzzolente di gin, il tuo "amico" è inopportuno: se sono rimasto è anche per un altro motivo. Non sono seduto come uno scemo da solo un'assolato pomeriggio in un parco senza una ragione. Intorno a me tutti sono accoppiati o sono in procinto di esserlo, cosa ti fa pensare che io sia da meno? Sto aspettando una donna, una maestra elementare per l'esattezza. E' in ritardo e spunterà fuori da un momento all'altro. Ella inorridirebbe se sapesse che il suo spasimante, che sarei io, schifa (giustamente) i rifiuti umani (come te). Resterò qui buono buono sperando quasi che mi veda operare carità verso la tua misera solitudine. Se ce l'ha fatta quella del tizio con la scatola di cioccolatini posso farcela anche io.

Per fortuna caro amico, ci sono cose diverse dalle apparenze. Quando ti ho visto, mentalmente mi sono detto: Clarence, vecchio mio, quel figlio di puttana non ti starà certo ad ascoltare. Ha proprio la faccia di uno stronzo con un appuntamento al parco con la classica decerebrata (sotto sotto lesbica) assatanata che per lavoro sbatte in faccia a dei minori sani principi che personalmente disprezza e non rispetta: confondendoli e facendogli dubitare del prossimo.

Ma tu caro amico, sei diverso. Non sappiamo quello che ci aspetta e tu sicuramente sei stato un compagno di panchina inaspettato. La vita è incedibile: uno si crede che, cosa ne so, quei piccioni stiano beccando del comune mangime e invece si tratta del vomito puzzolente di gin di un vecchio ubriaco.

lunedì, gennaio 10, 2011

I carotaggi (prima parte)

Non c'è silenzio, almeno non il silenzio che ci si potrebbe aspettare.
La situazione è tutto meno che solenne: vengono sopratutto in mente le poste.

Tre poltrone separate da spesse pareti di cotone sembravano contenere altrettante persone. Un osservatore che si fosse interessato a tanto piccola situazione avrebbe, forse, facendo molta attenzione, intuito quanto segue.

La storia di A

Non ricorderò cosa stavo facendo prima di venire qui, ma perbacco se non ricordo certe altre cose.
Fui ricoverato in attesa di un intervento in seguito ad una caduta in moto. Ne ebbi per dei mesi, stampelle, fisioterapia e tutto il resto. Insomma, non ero tanto dolorante quanto spaventato, e triste. Il mutuo da pagare, la vicenda dei permessi revocati, il matrimonio di mia figlia, insomma c'erano un sacco di cose a gravare sulle mie spalle. Anzi, il matrimonio di mia figlia no, quello fu dopo: faccio confusione.

Ero giovane infatti, appena sposato...credo. Un incidente era proprio quello che non ci voleva. Ma mi misero in stanza con un ragazzo. Più giovane di me, ricoverato per una cosa simile alla mia. Aveva sempre gli occhi velati dalle lacrime, ma non piangeva mai. Tuttavia si vedeva che faceva una gran fatica a trattenersi: a volte gli tremava la voce e poi non si girava mai.

I nostri letti erano vicini, ma parlavamo tra noi senza guardarci, il suo tenere lo sguardo fisso contro il muro mi aveva convinto a fare altrettanto.
Nonostante tutta la paura che traspariva le sue parole andavano altrove: tutte le volte che saltava fuori il motivo della sua degenza cercava pateticamente di sminuirlo. Io non facevo che lamentarmi e scusarmi.

Una notte cominciai a parlargli dei miei problemi senza preamboli. A voce alta, come continuando un discorso semplicemente interrotto. Il giorno dopo diedi la colpa ai sedativi, ma lì per lì sapevo che avevo bisogno di parlare. E lui per tutta la notte mi tenne compagnia, rispondendo in un modo ragionevole che mi parve sinceramente interessato.

I suoi parenti erano brave persone, felici, mi fecero tanti auguri di pronta guarigione.
Non ricordo il giorno in cui operarono me, ma non posso dimenticare quello in cui operarono lui.
Si trattava di un'intervento di routine ma per quanto banale in quel momento eravamo noi gli operati, eravamo noi gli eroi. In quei giorni di malattia, di stasi, di sofferta attesa, l'operazione era la cosa più importante di tutte e lui, mentre lo portavano via mi guardò con quegli occhi velati e mi strinse la mano con un cinque: forza, mi disse. E basta.

Cos'era quello? Quel ragazzo? C'era del coraggio, eppure che senso aveva mostrarlo in quella situazione, in quel modo? A chi giovava?
A me, le sue lacrime non versate erano servite a me.

domenica, gennaio 09, 2011

Amici Miei

Quella mattina in chiesa al funerale di Irreprensibile c’erano proprio tutti. Faceva impressione vederli uno vicino all’altro, abito scuro, sguardi tesi, occhi assenti. Prima di entrare si erano ritrovati in giardino a bruciare una sigaretta, e anche chi solitamente non fumava, quel giorno aveva deciso di usufruire.

Gabriele : “Ho sentito che a celebrare sarà Don Farris, almeno lo conosceva di persona” .

Eugenio: “Irreprensibile lo riteneva un vecchio pedofilo pederasta, si starà rivoltando nella tomba”.

“Nella bara vorrai dire!” –Rodrizio nemmeno quel giorno riusciva a non starnazzare.

Sergiomaria : “Ma cosa diavolo ti sei messo addosso, chiacchiera?”

Rodrizio sfoggiava un orribile papillon fantasia, a coronare la sua anonima giacca.

Rodrizio : “Lui avrebbe voluto così, amava i papillons”.

Andrea : “Il tuo lo avrebbe disgustato, come accadrebbe oggi a qualunque possidente di un paio di occhi”- sotto la giacca spuntava un maglione con il logo della Protezione Civile.

“Te l’hanno insegnato in Accademia a dire “possidente” così bene?” – Ora Sergiomaria aveva voglia di litigare.

Baro : “Vi devo ricordare come mai oggi siamo qui?” – un lungo e forzato tiro di sigaretta.

Davide, tirando fuori una scatolina dalla sua giacca da autista di autobus: “Io ho portato qualche Raudo, pensavo che avremmo potuto spararli in suo onore dopo la funzione”.

Eugenio, entusiasta : “Ho i nostri scacciapensieri, dovremmo suonarlo ancora una volta per lui, non credete?”

Michele, più zitto che mai, infliggeva il colpo di grazia alla sigaretta lanciando il mozzicone in un vaso di gerani.

Silenzio assordante.

Lo ruppe Edoardo : “Qualcuno aveva in mente di dire qualcosa, una volta dentro?”

Aveva parlato con un nonsochè di complice.

“Avrebbe voluto che nessuno parlasse” – all’unisono Andrea e Rodrizio

“E credo che anche quella cassa così vistosa non fosse la cassa dei suoi sogni; e Irreprensibile certamente aveva una cassa dei sogni” – aggiunse Eugenio.

Baro stava singhiozzando come una ragazzina, Gabriele gli passò di soppiatto un fazzoletto di stoffa, senza farsi vedere da Andrea.

Rodrizio : “Ripensandoci però, un giorno mi aveva confessato : “Dite solo Pazienza”. Potremmo fare così. Uno di noi si alza, dice questa breve frase sulla pazienza, e poi torna a sedersi”.

Vuk : “Pazienza? Ma ti rendi conto? Come lo spiegheremmo a suo cugino Marco? Sei matto”.

“Diciamo solo che era un bravo ragazzo” – Sergiomaria, tra una boccata di fumo e l’altra, pensava di poter risolvere la questione facilmente.

“Ragazzi, ma ve la ricordate quella Vigilia in cui mi aveva dato del ginecologo?” – Rodrizio sorrideva senza imbarazzo.

“Uno dei ragazzi del Bahrein ci ha lasciati ieri, ma almeno lo ha fatto nel suo letto, da uomo” – disse Andrea mentre la gente aveva ormai preso posto in chiesa.

Davide : “E’ arrivato il prete”.

Michele ripose nel pacchetto morbido la seconda sigaretta.

La messa fu breve, la predica anonima, e, almeno per quanto riguardava la seconda, Rodrizio pensò ancora che lui avrebbe voluto diversamente.

Dopo la funzione, in chiesa erano rimasti solo loro, seduti, in silenzio.

Eugenio aveva tirato fuori lo scacciapensieri.

Fu in quel momento che in tutto l’androne risuonò l’eco di una fragorosa risata.

La bara si scoperchiò e Irreprensibile drizzò in piedi; pantalone mimetico, capello lungo, il volto pallido ma ugualmente raggiante : “Siete stati uno spasso, un vero spasso amici; e poi, uno scherzo del genere non sapete quanto allunga la vita”.

martedì, gennaio 04, 2011

mi piace è un eufemismo

Ritorno in casa e mi accorgo di aver tenuto la tazza per tutto il tempo in mano.
Ormai l'acqua sarà fredda.
Stupidi pianerottoli, non ne volevo più sapere di andarmene.

La tazza vince un altro giro di microonde, intanto che guardo fuori dalla finestra.
Sto attraversando la strada per andare dal negozio che avevo visitato per primo. Mi dico che sto bene. Lo voglio in un pacchetto? Me ne vado, guardandomi nello specchio.

Inchiodo, mi sono attraversato la strada col rosso! Deficiente che sono, per poco non mi investivo. Spero proprio che mi facciano una multa un giorno o l'altro, sono uno sconsiderato.
Avevo la testa ancora dentro il sacchetto. Che bello il vestito che ho venduto, mi starà poi bene? Ho detto che mi stava bene, sarà vero?

Ding!
Immergo la bustina: quanto è buono questo the.