domenica, settembre 26, 2010

la misura

Tutti i grandi autori si sono misurati con il sesso.
Tutti i grandi autori si sono misurati il sesso, ma questa è un'altra storia.

Sono sei mesi che scrivo come un matto e finalmente mi sono deciso a tirare le somme.
Per la prima volta esplicitamente, sicuramente non per l'ultima.
E' il bilancio di quanto detto finora, il commento a caldo sulle tre etichette principali del mio pensiero: neotenia, estati d'animo e rallentare.

Parlavo del sesso per dire che tutti i grandi autori si misurano con i grandi temi. Impossibile evitarne qualcuno, impossibile parlarne tra le righe, girarci intorno.
Inutile dire come da grandi temi derivino grandi responsabilità.

A grandi linee mi sembra di poter dire che sono sei mesi che parlo di queste cose: della conoscenza, della solitudine e dell'equivoco. Tre parole che possono sicuramente combinarsi tra loro acquisendo nuovi significati.
La solitudine che deriva dalla conoscenza o dall'equivoco, l'equivoco nella percezione della vita di chi non ne partecipa con gli altri a causa della solitudine, la conoscenza cosciente di questa solitudine, l'esperienza di abbandono e infine l'equivoco della conoscenza, la superbia forse.

Sei mesi che parlo delle tre cose che rendono impenetrabile l'animo umano. Sei mesi che indago le radici della singolarità dell'animo umano. Animo che per quanto commoventi e nobili ed evocativi e privi di malizia siano i sentimenti che lo legano ad un altro resta inevitabilmente un elemento non dipendente dalla nostra volontà, come un sesto senso che non abbia niente da sentire.

La frase "l'importante è partecipare" calza perfettamente. Non è una gara tra pari. Non è una gara. Ogni percorso è unico, percorso da un solo corridore, destinato inevitabilmente a vincere e a perdere. L'importante è partecipare a se stessi, per quanto possibile. Immergersi e vestire, calzare adeguatamente, l'unico animo cui possiamo accedere.

Si può condividere qualcosa, si può cercare di rendere tangenti le esperienze, le sensazioni, ma non si può mangiare lo stesso panino. Siamo vivi anche perché possiamo partecipare ad una sola esistenza, la nostra, altrimenti saremmo immortali.

Bisogna adeguarsi ad entrare in contatto con l'altro con metodi più rozzi di quelli che usiamo per parlare con noi stessi. Conosci te stesso, perché anche quando crederai di conoscere al di fuori di te, sarà quello che continuerai a fare.

Siamo tutti re di noi stessi e miserabili del resto del mondo.

lunedì, settembre 20, 2010

Capitolo 9) Dal Tramonto all'Alba

"Non insistere Seb, non ho la minima intenzione di assecondare questo tuo delirio".
Gesù, adoravo quando mi chiamava Seb.
"E' solo una notte Deb, una notte soltanto" - Seb e Deb, eccoci qua in tre semplici parole, come ai vecchi tempi.
"O forse non puoi assentarti sul posto di lavoro? Non mi pare che le mignotte timbrino il cartellino, sono rimaste le uniche al giorno d'oggi" - essere sopravvissuto alla sbronza della notte precedente mi fa sentire un re.
Il mio regno per una notte (in macchina) con Deborah.
Slap!
Schiaffo in pieno volto. Pausa. Rewind.

Ore 04:37 - Casa di Oscar (Osoppo)

Dal mio ultimo autostop sono passati 24 anni. Ma quando ho alzato il dito a bordo strada, mi sono sentito eccitato come allora. Rivoli-Osoppo a bordo della Citroen bianca del signor Bianchi; Elio di nome, banalità di cognome. Il tragitto è brevissimo, ma io sono indubbiamente ubriaco, così mi lascio coinvolgere e troviamo il tempo di parlare di tutto : delle stagioni, del basketcheseavesselostessospaziodelcalciosuigiornalisarebbeilprimosportitaliano, dei cognomi più comuni, della politica - il signor Bianchi ha lasciato scheda bianca alle ultime elezioni, guai a smentirsi - parliamo persino di donne, sparandole grosse entrambi, finchè finalmente è il momento di scendere, e posso smettere di essere spensierato.

Oscar abita in una vera catapecchia; non ho idea se si possa permettere qualcosa di meglio, ma so che a lui piace così. E anche a me piace così, a pensarci bene. Da Oscar mi sento a casa molto più che a casa mia, e quella sensazione di familiarità mi pervade anche stasera, fradicio di grappa. "Quattro passi in avanti a partire dalla cassetta delle lettere, poi uno a sinistra, mezza giravolta : ecco quella maledetta piastrella...vediamo bella, cosa riservi per Zio Sebastian?" - finita la frase da neuropsichiatria, per la scoperta balzo in piedi urlando e gesticolando. Se qualcuno qui intorno mi sentisse, di sicuro chiamerebbe la polizia. E farebbe bene.

Ore 05:52 - Edicola di Ubaldo Brambieri (Rivoli)

"Ho bisogno assolutamente che tu mi dica queste fatidiche parole Ubaldo : la mia edicola vende cartine della Toscana". Ubaldo mi fissa come si guardano i pazzi, quasi roteando la testa di 180 gradi. Come non capirlo? Sono bagnato fradicio e senza scarpe, l'ho importunato prima al Bar, mi ha visto sorseggiare qualche goccetto di troppo, è l'alba e formulo richieste stravaganti ancora prima che l'edicola sia aperta.

Del resto anch'io ho le mie attenuanti : sono tornato a Rivoli a piedi (stavolta nessun signor Bianchi) e a metà strada mi sono ritrovato nel bel mezzo di un odioso temporale settembrino. Per salvare i miei adorati mocassini me li sono tolti al grido di "che la grappa sia maledetta".

"Se io le rispondo di si, senza fare domande e senza chiamare i carabinieri, poi mi promette che, almeno per stanotte, non si fa più vedere davanti alla mia edicola?" Sì sì certamente, almeno per stanotte, almeno per stanotte, grassone dammi quella cartina : sono io che dovrei desiderare di non averti più nel mio campo visivo, non il contrario.

"Prometto. Ah, se non fosse ovvio, non posso pagargliela, amico, ma solo per stanotte" - in vita mia, mai ritorno al lei è stato più appropriato.

Ore 6:28 - Casa di Deborah (Osoppo)

"Sei fuori di testa? Nemmeno mia madre mi ha mai colpito in questo modo barbaro!" - e, mentre dico questo, mi sento più immaturo e piagnucolante di un bambino dell'asilo.

"Io non ci vengo con te, è già stato un discreto incubo averti trovato nuovamente davanti alla mia porta di casa, per di più in queste condizioni! E ora, se non ti dispiace, me ne torno a dormire; e vorrei che te ne andassi subito Sebastiano...ma poi cosa diavolo ti è successo? Sembri uno scappato di casa, uno che ha fatto di corsa mezzo Friuli".

Quasi. Ci sei andata vicina. E poi pioveva fino a due secondi fa, se non te ne fossi accorta, stupida oca. Deborah abita sempre nello appartamento, e questo dovrebbe suggerirmi qualcosa, ma i miei sensi sono appannati, per non parlare dell'intuito investigativo. L'unica cosa che mi viene in mente è che sono stato fortunato a trovarla, molto fortunato.

Così fortunato che non posso permettere che lei torni dentro a dormire. Mentre Deborah si volta e sbuffa, ormai certa che io sia stato persuaso a lasciarmi la porta di casa sua alle spalle, la colpisco alla nuca con il primo oggetto che trovo a tiro : una statuetta Peruviana di dubbio gusto. Deborah cade a terra svenuta e velocemente la carico in macchina. Macchina che ora, senza alcun dubbio, mi convinco di poter domare, e al diavolo autostop e scampagnate.

Mentre metto in moto, vedo spuntare i primi raggi di sole : illuminano il mio ghigno da pazzo.

domenica, settembre 19, 2010

Ritratto del blogger da giovane (seconda parte)

Rallentare: 80 km.
Il tizio allenta la pressione sull'acceleratore, scala sicuro sulla quarta, si schiarisce la gola, alza il volume della radio.
Passano i minuti. Il tempo, in questa storia, è fondamentale.

Anzi, lo spazio. Anzi, entrambi: lo spazio diviso il tempo.

Rallentare: 50 km.
Nessun cartello di lavori in corso. E' strano, ma non così strano. Nessun altro in giro. Ai bordi della strada, mille possibili nascondigli per autovelox. Pattuglie che aspettano solo lui, un'assolata domenica di Settembre.

Rallentare: 30 km.
Scala in terza, probabilmente è un uomo rispettoso delle regole. Si deve trattare di un timorato membro della comunità. Il rapporto tra la sua velocità e quella del paesaggio gli ricorda che all'equatore la terra si muove a 460 metri al secondo.

460 metri al secondo. Ossia 1650 chilometri all'ora. Come essere a bordo del Bell X-1. Costantemente. Tutti. La metà della velocità iniziale di un proiettile sparato da un fucile M16, più o meno. Gira che ti rigira, stiamo tutti girando.

Rallentare: 10 km.
E senza pensieri riduce la velocità, restando in seconda a malapena. Si accorge di vivere una situazione assurda, kafkiana. Ma magari semplicemente non può rischiare la patente. In fondo non sappiamo niente di lui. Può darsi che guidi per vivere. Chi siamo per giudicarlo? Per riderne?

Un'ora dopo, un altro cartello: Benvenuti a Rallentare.
Che ridere.
Questo mi ricorda la barzelletta del tizio che cade da un palazzo e cadendo si dice: "Fino a qui tutto bene". L'Odio che non si può provare per l'Equivoco. E' come arrabbiarsi con uno svantaggiato, uno con dei problemi, uno che fa quello che fa senza sapere perché. L'Equivoco vive in se stesso.
Oppure Batman, anzi Joker. In The Killing Joke.
Vedi, ci sono questi due tizi in un manicomio ... e una notte, una notte, decidono che sono stanchi di vivere in un manicomio. Decidono che cercheranno di fuggire! Così, salgono sul tetto e, dall'altra parte, vedono i palazzi della città distendersi alla luce della luna... verso la libertà. Il primo salta sul tetto vicino senza alcun problema. Ma il suo amico non osa compiere il balzo perché... perché ha paura di cadere. Allora il primo ha un idea... e dice: "Ehi, ho preso la torcia elettrica con me! Illuminerò lo spazio tra i due edifici. Così mi raggiungerai camminando sul raggio di luce." M-ma il secondo scuote la testa. E d-dice... dice: "Co-cosa credi? Che sia pazzo? Quando sarò a metà strada la spegnerai!"
AH AH AH AH AH! AH AH AH AH AH AH AH AH AH AAAAH....FNFFF Oh, perdonami... AH AH AH AH AH!
La barzelletta è un faro nel mare dell'equivoco. E' un invito a rallentare quando la presunzione della chiarezza ti porta ad accelerare i modi del tuo metodo di giudizio.
E' un pò come la simpatia greca: patire insieme.

La condivisione, lo stato impossibile da ricavare artificialmente del sentimento comune è l'unica scappatoia alle altre forme di comunicazione, amplificatrici della solitudine.

E poi, se sai raccontare bene le barzellette, sei uno simpatico.

Capitolo 8) Si viene e si va

Rivoli.
Bar Sport.
Neanche due isolati dietro casa.
Vi assicuro che non sto raccontando una frottola, se vi dico che si tratta del posto più sporco che abbia mai visto in vita mia.
E, banalmente, il bagno è il posto più sporco all'interno del posto più sporco.
Eppure sono qui, in questa micro-toilette lurida, con la testa tra le mani; e vorrei tanto vomitare, oppure perdere i sensi, ma stasera non c'è verso.
"Devi bere di più maiale, altrimenti esci di qua che ti ricordi ancora tutto quanto" - e mentre mi riempo la bocca di cotanta saggezza, penso che se qualcuno entrasse ora mi scambierebbe per uno di quegli svitati che parlano con gli oggetti; nel mio personalissimo caso con il wc.
Alzo lo sguardo, e fisso con insistenza lo straccio di uomo che mi offre lo specchio : in otto capitoli è la prima volta che ne ho l'occasione.

Mi accarezzo i capelli che hanno cominciato, ormai da alcuni anni, ad ingrigirsi, certo di aver accelerato il processo dopo la giornata di oggi; non sono un bello spettacolo : il verde degli occhi sembra più spento; le rughe della fronte imponenti, come scolpite; mi sento a pezzi, ma ho la certezza che se tornassi a casa adesso non avrei nessuna possibilità di addormentarmi.
Disprezzo fortemente l'uomo che vedo riflesso : è un impotente, un miserabile, un fallito; un omuncolo che non ha saputo evitare che due donne fossero assassinate sotto i suoi occhi in un solo giorno; un poveretto che per sei lunghissimi mesi ha condiviso un ufficio con uno psicolabile omicida, credendolo un ingenuotto sognatore.

Dopo aver subìto l'interrogatorio dell'Ispettore Manetta, palesemente disturbato dall'avermi incontrato sulla sua strada per due volte in un giorno, Deborah mi ha accompagnato a casa in auto, sostenendo che non era il caso prendessi la bici nelle mie condizioni.
Ah, ovviamente a casa non ci sono andato affatto, nonostante tutte le raccomandazioni della mia ex-fidanzata prostituta.
Soltanto un paio di bicchieri, e poi vedrai come dormi d'incanto Sebastiano.

Vorrei sputare allo specchio, come nei peggiori film, ma non ho gli attributi nemmeno per fare questo : troppo rispetto per chi dovrà pulire la mattina dopo. Ovvero nessuno.
Sbatto forte la porta del bagno, e mi appoggio al banco :
"Sai cosa Ettore? Versami ancora qualcosa, bicchiere grosso però, visto che è l'ultimo".
Mentre cerco di sostenere con dignità lo sguardo perplesso del barista, provo la sensazione che la giornata che sto cercando in tutti i modi di lasciarmi alle spalle sia solo l'inizio, il coperchio di un enorme Vaso di Pandora in salsa friulana.
"Non ti darò più una goccia di un bel niente Scalise, hai una faccia che fa schifo" - in dieci parole vengo trafitto brutalmente dal barman, Ettore Languidi, o Languisi, o qualcosa del genere.
"La serata è finita, siete rimasti solo tu e il vecchio Ubaldo" - mormora infine, porgendomi un rimasuglio di qualcosa che assomiglia molto a grappa.
Bicchiere grosso.
Ahhh, adoro la coerenza dei baristi.
Uomo di buon cuore dopotutto, il vecchio Ettore Vattelappesca.

Afferro con sorprendente sicurezza il mio drink e vado a sedermi dirimpetto ad Ubaldo, l'anziano giornalaio di quartiere, che ancora non si decide a lasciare quella benedetta edicola al figlio, continuando a farsi levatacce tutte le mattine.
Sono le cose che lo fanno sentire vivo, dice.
Non deve essere male quella sensazione, sentirsi vivi intendo.
"Più tardi posso aprire con te l'edicola? Guardo solo cosa dicono i giornali delle due donne morte e me ne vado" - gli chiedo con un tono da bambinone annoiato durante le vacanze estive.
Oltretutto, non ho mai dato del tu ad Ubaldo, nè tantomeno mi sono mai sognato di chiedergli un favore, se non quello di avvertirmi ad ogni nuova uscita della mia rivista preferita : Detective Magazine.

Mai sentita? Roba da disturbati. La leggeva un mio compagno di Università - Università che, tra parentesi, non ho mai terminato - a Lecce : si chiamava Pareo mi pare, un tipo singolare, senza ombra di dubbio.
Era schernito da tutti, ma solo di nascosto, da veri infami : infatti si temeva fosse figlio di Presidente di Tribunale. Ciònonostante era riuscito ad attaccarmi quella piccola mania, anche se a quei tempi compravo di nascosto la rivista : lungi da me diventare come Pareo, senza nemmeno un parente piazzato in Tribunale.

"Se ne vada a casa a dormire Sebastiano, le tengo due copie e domani a mezzogiorno le viene a ritirare; se qualcuno dovesse vederla in questo stato davanti alla mia edicola, che messaggio trasmetterei ai miei clienti?"
Frasi troppo lunghe e banali : quando aveva smesso di parlare, il mio bicchiere era già vuoto sul tavolo. Sul suo tavolo.
E ai clienti della nostra agenzia che messaggio si trasmetterà quando scopriranno tutto? Il pensiero ritorna subito da Oscar : solo uno stupido poteva creare un rapporto di vera amicizia con l'uomo conosciuto come il Matto di Osoppo.
Eppure era l'unica persona che era riuscita a guadagnarsi la mia fiducia.

"Sa, c'è un rapporto basato sulla fiducia anche nelle edicole" - insistendo, e sempre con quell' espressione irritante da giornalaio che ne ha viste di cotte e di crude, pur non muovendosi mai da Piazzale Marini.
Banalità? Forse non erano banalità, forse non erano banalità.
Fiducia.
Tra me e Oscar c'era fiducia, e io l'ho condannato troppo frettolosamente.
In fondo ha provato anche a telefonarmi.
Se è anche solo lontanamente immischiato in quel casino, deve avermi lasciato un messaggio. "Deve averlo fatto" - sorrido e parlo da solo; Ubaldo scuote la testa rivolto verso Ettore.
E, tutto d'un tratto, ho anche un'idea sul Dove possa avermelo lasciato.

Esco affannato e senza impermeabile; con la coda nell'occhio vedo Ettore che segna sul conto di mia pertinenza anche l'ultimo drink, e poi, con un gesto disinvolto e abitudinario, stacca una grossa spina : la scritta intermittente Bar Sport si spegne e mi consegna all'ultimo buio della notte.

venerdì, settembre 17, 2010

Ritratto del blogger da giovane (prima parte)


Nelle classiche 10 regole per rendere popolare il tuo blog non manca mai, nei primi posti, la seguente: "Scrivi post brevi e se devi scrivere molto dividi il tuo articolo in più parti."
Un modo sottile per ricordare che l'attenzione è limitata, quando a parlare è qualcun altro.
Un modo gentile di dire che la gente è paziente solo con se stessa.
Un modo leggero per invitarti ad arrivare al sodo.

Ma cos'è la pazienza? Non credo sia una virtù, direi più uno stato d'animo. Come sempre il senso dipende dalla comunicazione che lo disegna e degli equivoci su cui si basa. Abbiamo parlato tanto della comunicazione e della sua interpretazione che ricorderei il 2010 come l'anno dell'equivoco.
L'abbiamo commentato, apprezzato, evocato, espresso con fiumi di parole.

Una ricerca tautologica delle radici della comunicazione e del contatto tra esseri umani.

Attraverso la scrittura. Attraverso un metodo a sensi unici alternati, privato localmente, ritrovo senza trovarsi per autore e lettore.
Tanti piccoli bar della stazione. Stazioni di montagna in bassa stagione o stabilimenti balneari a settembre. Ordinate caotiche sale d'aspetto di grandi aeroporti internazionali.

La portata del messaggio non è necessariamente collegata alla sua importanza. Ci sono concetti che hanno parecchia pazienza.
Raccogliendosi lentamente, gocciolando riempono i vuoti.

lunedì, settembre 13, 2010

Tremarella di fine stagione

Suonano al citofono.
Chiudo il libro, mi soffio il naso, mi alzo dal divano, sbuffo, cammino soffiandomi il naso, sollevo il ricevitore, cade qualcosa, premo il bottone, mi metto la cornetta all'orecchio e dico:
Pronto?

Cade qualcosa.
Ecco - penso - lo sapevo, è finalmente arrivato l'assassino.
Come nei film di paura qualcuno ha messo un avvertimento in un luogo dove sapeva che sarei andato in modo che lo vedessi. Non oso guardare cosa sia caduto. Il dito di una persona cara, magari con un anello, il che giustificherebbe il debole rumore tintinnante che ha provocato.
Oppure la spoletta di una granata. Giovane ucciso da citofono-bomba: la polizia brancola nel buio. E intanto immagino studio aperto inquadrare significativamente il nostro portone verde con un movimento di camera alla Vertigo.

L' immaginazione mi suggerisce continuamente le mie vulnerabilità, un attimo in ritardo. Tutte le occasioni che un serial killer potrebbe sfruttare per stendermi.

Raccolgo tutto il mio coraggio e guardo in basso: è caduto un pezzo della serratura, si era staccato già l'altro giorno e qualcuno deve averlo messo lì per ricordarsene.
Non perdo l'agitazione e mi rincuoro pensando che l'assassino poteva sapere che io sapessi, e quindi l'avrà fatto solo per spaventarmi. Per colpire quando crederò di essermi agitato per niente.

A questo punto, dopo il mio "Pronto?" ci starebbe una bella risata da manicomio criminale. Disturbata dal citofono, come in Scream. Oppure un'accettata contro la porta.
Queste mie inutili, involontarie divagazioni sul tema (dell'omicidio, inteso come il mio) spiegherebbero per lo meno il timore per la doccia della mia infanzia e la paura per Psycho mentre lo vedevo anche conoscendo già la trama in generale.
Profonda e rossa è la paura di essere delle prede, terribile e banale quanto il cattivo di Totò Diabolicus.

Siamo anime suscettibili?
Il sentimento della paura è la chiave dell'evoluzione?
No.
Il punto è che non sappiamo quando e in che modo dobbiamo morire: il mistero è il motore degli eventi.

sabato, settembre 11, 2010

trattenere lo starnuto

Mi sono svegliato negli stessi starnuti con cui ero andato a dormire.
Ho continuato il mio sonno dentro una breve mattina di antistaminici sul divano. Ho sognato.
E se del sogno io stesso ho detto che è difficile rielaborarne una memoria posso almeno tentare di estrarne le riflessioni che ho avuto modo di fare vivendo al suo interno.

Ho parlato della morte, del sogno, della solitudine, del mistero e delle storie. E di macchine rombanti nella notte, ma questo è un collegamento molto meno immediato agli altri temi.
In particolare voglio ritornare sugli ultimi due elementi: le storie ed il mistero.
Ogni storia si basa sul mistero. Vediamo o crediamo di vederle come isole nel cielo, seminascoste dalla nebbia.

Il desiderio di raggiungerle ci spinge a costruire ponti. I più si sentono rincuorati avendo notizia che gli autori di quelle storie, siano esse in forma di canzone o di libro o di concetto, stanno anch'essi costruendo la loro parte di ponte, per venire da noi. Ci incontreremo a metà strada.

Questa metafora mi ha già stufato, inutile dire che alcune isole si raggiungono mentre altre no.
E poi l'isola è un elemento così stupido, si può riferire a così tante cose che non faccio fatica a considerarla la prostituta delle metafore.
A volte comunque alcuni ponti crollano, altri non vengono nemmeno incominciati, addirittura di qualcuno se ne festeggia la fine dei lavori prima ancora di accorgersi che il ponte approdi semplicemente dall'altra parte della propria isola.

Mi piace invece, e trovo una particolare bellezza in questi casi, quando le unioni a metà strada non si compiono, ma di poco. Quei casi in cui si arriva appena a pochi metri dall'altra estremità, guardandosi magari negli occhi con l'altro costruttore, aprendo le braccia con un gesto sconsolato che insieme può dire ho finito il materiale, non ne ho più voglia, oppure più melanconicamente non era a te che credevo di arrivare.

Credo che David Lynch abbia espresso più sinteticamente un concetto simile:
"Le idee sono simili a pesci. Se vuoi prendere un pesce piccolo, puoi restare nell'acqua bassa. Se vuoi prendere il pesce grosso, devi scendere in acque profonde. Laggiù i pesci sono più forti, più puri. Sono enormi e astratti. Davvero stupendi. Più la tua coscienza è dilatata, più scendi in profondità verso questa sorgente e più grosso è il pesce che puoi pescare."
Perdersi nella profondità sottolinea il rischio di trovare pesci incomprensibili al di fuori del loro ambiente d' appartenenza. Come i veri pesci dell'abisso, sgraziati mostri nati per essere felici nel buio.

I ponti quasi finiti sono come questi pesci, allo stesso tempo palesemente appartenenti allo stesso regno delle altre esperienze che abbiamo avuto e incredibilmente inconciliabili con la realtà di tutti i giorni. Cos'è un ponte incompiuto? E' un ponte, anche se non è finito?
Come vedranno gli altri questo pesce, di cui non hanno partecipato alla cattura? Di cui non hanno visto l'habitat? Cosa penseranno gli altri dell'isola che ho issato nel cielo, se mai ci arriveranno? Sarà poi raggiungibile, anche a me stesso, o me ne allontano verso i miei ascoltatori solo perché non oso confrontarmi col fatto di non potervi accedere?

Le storie migliori si approfittano della momentanea incomprensibilità dei nostri stessi gesti, dentro cui ci siamo persi per ottenerne un risultato che ora, in virtù di tutto il tempo che abbiamo passato nel tentativo di raggiungerlo, non ricordiamo più.
Si comincia un libro per finirlo?

I pesci sono una bella metafora, migliore forse dei miei ponti, e poi anche essi iniziano con la pi, che è certamente una lettera molto graziosa e musicale. Per non parlare delle isole, portatrici sane di concetti frivoli.
Mi dispiace soltanto che ad essi si paragonino solo le idee. Mi sembra che storia sia un termine molto più ampio.

Chi non è una storia?
E le storie d'amore, possono amare a loro volta?

venerdì, settembre 10, 2010

le oche del vicino ascoltano il sax a mezzanotte

"Alla fine sei andato a vedere il film?"

Quasi venti minuti per rispondere.
Venti minuti in cui quel pensiero abbandona la sorgente, vive e infine muore negli occhi di chi legge.
O spira nelle orecchie di chi ascolta.
Venti minuti di vita effettiva come elemento di una conversazione, prima che si uccida, trasformando il significato che reca in qualcosa di compreso, di recepito.
Venti minuti di viaggio per poi tornare impulso e rimanere per sempre nelle menti di chi ha pronunciato e di chi a recepito.
E poi vivere ancora...come cosa?

Quanto vive un messaggio?
Quanto tempo serve ad un comunicato per assumere significati diversi da quelli che inizialmente portava?
Chi si deforma col tempo?
L'ambiente.Gli interpreti.La lingua.Le intenzioni.Il significato.Il messaggio stesso.

Messaggio maschile, messaggio come suono.
"...il suono si genera in natura come vibrazioni meccaniche, si propaga in analoga maniera e sempre come vibrazioni viene percepito"
La terra borbotta come una pentola di fagioli nell'universo e l'umanità non fa che tirare altre pietre nello stagno. Le onde si propagano. Tutto resta continuamente da un'altra parte. Spostandosi verso altre orecchie.

Quasi venti minuti per rispondere. Venti minuti in cui la stessa persona che ha scritto il messaggio può rileggerlo e riscoprirvi nuovi significati. Alla luce del semplice fatto che ormai è stato scritto il suo significato cambia.
Il film cambierà ed il messaggio cambierà con esso il suo significato.
"Alla fine"; che tempo indicherà "Alla fine" tra un milione di anni, quando qualcuno si troverà a rileggerlo?

"sei andato" Sei. Io, tu. Noi, chiunque. Con che presunzione puoi pensare che si tratti sempre di te, anche quando non esisterai più?

Forse la realtà è mille volte più solida di quello che pensiamo. Come pietre che pesano su un telo ben teso. Pietre che ne generano altre, continuamente. Propaggini di se stessa che si moltiplicano l'una sull'altra per conquistare, per far vibrare nuove e più distanti parti di telo.

Come un frattale. La realtà potrebbe essere un messaggio di messaggi. Un'allontanamento fatto di distanze infinitesime. E ogni messaggio come un proiettile cerca disperato di fuggire dalla sorgente. Cercando di toccare terra lontano, un punto così distante sul telo da non essere mai stato scosso dalle vibrazioni. Ma l'interesse, la portata del messaggio, sta nella distanza.
Lo spazio vuoto tra il prima e il dopo. Lo spazio che può essere riempito con qualunque traiettoria immaginabile. L'attimo invisibile in cui è avvenuto il mutamento, in cui il tempo è passato perché mancavano degli eventi per misurarlo.

Tanto più puro ed evocativo il messaggio tanto più è reale e tangibile l'esperienza di vita. Allo stesso modo per cui una storia acquista interesse lasciando taciute o velate le connessioni con tutto il resto, le mani che l'hanno lanciata. Lo spazio che ha percorso nella mente prima di toccare terra. E' più facile pensare ad una storia di storie.

Cosa significa "le oche del vicino ascoltano il sax a mezzanotte"?
C'è un fondo di verità: ogni pensiero è come la volpe che cancella le sue impronte con la coda.

mercoledì, settembre 08, 2010

Synecdoche, New York

Otto mesi che non salgo su un aeroplano.
E ancora non mi sento con i piedi per terra.

Ho bruciato tutte le mie foto, su un dvd. Ho ricordato un pomeriggio a Boccadasse.
Da casa nostra ci vogliono circa quaranta minuti, a piedi.
Synecdoche, New York è un film, del 2008, dura circa due ore, a piedi.
Ho ricordato un pomeriggio a Boccadasse ed ho ripensato al film, anche se non l'avevo ancora visto.

Perché? Perché la memoria indaga il passato partendo pur sempre dal presente. E le cose che guardi e fai oggi fanno inevitabilmente parte di quello che hai fatto e visto ieri, se le riguardi con la memoria. E gli attori della memoria, chi sono? Synecdoche mi ha fatto pensare a questo.
La memoria non è, purtroppo, una registrazione e si avvicina di più al concetto di ri-elaborazione o messinscena. Gli interpreti della memoria non siamo noi ma attori che interpretano personaggi di ieri che recitano copioni di oggi.
Impossibile pensare di non sapere una cosa. Impossibile pensare che "ora" sia "prima" solo perché "prima" è il periodo a cui stiamo pensando.

Pausa: ritorniamo a Boccadasse.
C'è una poesia, in ligure. Io non so leggerla. Ne intuisco vagamente un senso, comunque sbagliato.
Arrivano due signore anziane, senza guardarmi nemmeno la leggono ad alta voce. In dialetto, in italiano, la commentano, si accordano sulla musicalità delle parole, ne ammirano il senso generale, si allontanano.
Sembrava fatta per me. Non la poesia, la situazione. Perché in quell'ora, in quel luogo, il bisogno di dire ad alta voce parole nascoste?
Cos'ho? La faccia da terrorista? La faccia di quello bisognoso di capire una cosa che non sta guardando?
Tutte le volte che ripenso a The Truman Show provo una specie di gioia interiore, e poi mi raccomando di non pensarci.

Torniamo a Synecdoche. Non serve averlo visto per capire che è un film triste e che quindi parla anche delle morte. Chi era quel tizio che paragonava la morte ad un sonno, magari pieno di sogni?
Difficile ricordarsi dei sogni, difficile operare la solita operazione di ricostruzione su una cosa differente dall'esperienza reale di vita.
E la morte allora? Restare solo come ricordi, nelle menti degli altri. Interpretati da attori nemmeno tanto bravi, anche nei teatri interiori di chi non ci ha conosciuto. Di chi conosce tutto di noi, a posteriori. Forte soltanto del tempo che è passato e che ha riportato a galla, inutili, le nostre lettere d'amore, le nostre confidenze e le nostre passioni.

Otto mesi che non salgo su un aeroplano. Quasi nove anni dall'undici settembre 2001.
Nel film Synecdoche il protagonista ricrea la sua vita a New York all'interno di New York stessa.
Muore seguendo le istruzioni di un'attrice, una guida, un dogma, se stesso.
Da Boccadasse si vedono passare gli aerei, bassi, diretti al Cristoforo Colombo.
Lo scopritore dell'America.
New York è un pò l'emblema dell'America: la parte per il tutto.
Una sineddoche.

Nell'auricolare dico a me stesso di non fare caso alle coincidenze, ma posso?

lunedì, settembre 06, 2010

venerdì, settembre 03, 2010

bel tempo si spera

Il libro era rosso la valigia era rossa la scritta sulla mano era, inutile dirlo, rossa.
C'era scritto "comprare biglietti".
Dalla valigia e dal "comprare biglietti" si deduce che sono in viaggio, più probabilmente in treno, oppure al cinema.
Osservo un uomo con una valigia, un libro, una misteriosa scritta sulla mano.
Ma al cinema nessuno si porta una valigia, tranne i serial killer.
Da che se ne deduce che il nostro uomo dal libro rosso è con una certa probabilità un attore, al cinema in quanto sullo schermo.
Ma torniamo ai serial killer.

Si organizzano di solito in piccoli gruppi, diciamo di una persona. Avvisando poche persone, diciamo nessuno, circa il loro desiderio di andare al cinema vi si avviano poi da soli, lamentandosi della mancanza di compagnia. Mancanza a cui comunque rimedieranno con un bell'omicidio, una volta usciti. I loro bersagli sono di solito persone sole, che imprudentemente percorrono vie secondarie, individui vulnerabili che tornano a casa tardi la sera dopo aver visto un film al cinema, da soli.

Da ciò se ne deduce che i serial killer sono una razza in via d'estinzione, siccome spiacevolmente finiscono sempre con l'ammazzarsi l'un l'altro, rendendosi conto dell'errore solo giorni dopo, quando qualche affezionato utente del forum dei serial killer smette improvvisamente di farsi vivo. Infatti è morto, ucciso dalla solitudine sua e dei suoi simili.

Da questo se ne deduce che ogni uomo solo è un assassino e quindi non dobbiamo stupirci se ci guardiamo così di sottecchi, in treno, per cercare di capire quali pericoli nasconde chi abbiamo vicino.

"Comprare biglietti"?
Per cosa?
Devono essere per forza i biglietti del treno solo perché siamo in treno?
Magari sono i biglietti per uno spettacolo di mimi, o i biglietti della lotteria, o dell'aereo. Per fuggire, visto che con una valigia così ...rossa di sicuro hai fatto qualcosa di sospetto.

Da ciò se ne deduce che un corno. Sono stufo di essere un investigatore privato, sempre con le mani nelle mutande delle mie elucubrazioni, sempre a scoparmi quella bambola gonfiabile della Deduzione.

La Verità l'avrei potuta ottenere solo chiedendogli per cosa fossero, i biglietti.

mercoledì, settembre 01, 2010

Excusatio non petita...

Le cronache: fin dai Commentari di Giulio Cesare sono di parte. Si sa.
Se poi vogliamo richiamare brevemente Luciano di Samostata con la sua "Storia vera", ci accorgiamo che storia vera e' un titolo che ben si adatta ad un' incredibile accozzaglia di fandonie; e non sarebbe difficile andare avanti ancora molto con questo tono un po' sostenuto da vecchio professore omosessuale (di liceo). Ma sarebbe inutile, noioso e, cosa a me insopportabile, dozzinale. In fin dei conti quello che mi preme di piu' in questo momento e' scendere in campo e raccontare la mia verita' (fuggendo il rischio di premesse autoconfutanti).

Era una notte buia, non troppo buia in verita'.

Era una di quelle notti che non fanno paura, nelle quali la luna si mostra nuda nella sua straordinaria bellezza, senza indossare bikini, minigonne vertiginose, abiti firmati, mantelli, k-way e via dicendo. Nuda insomma, coi suoi bei crateri al vento, come la preferisco (inoltre, cosa assolutamente da notare, e' incredibile come la k coesista in due capi così differenti e antinomici).

Che tipo di notte fosse non fa nessuna differenza.

Era notte quando il mio telefono squillo'! Chi doveva funestare il mio riposo?
Ovviamente lui, Rodrizio! Il maniaco di Villettopolis, l' Iscariota dei fantacalcio. In compagnia di Baro, uno della sua cricca, che si era portato dietro come cronista. Erano in vena di introdursi nella mia culla di benessere allo scopo di scroccare qualche merendina o, ancora peggio, scoprire qualche mio segreto, o ancora peggio (il peggio del peggio, non c' e' limite al peggio), sbeffeggiarmi.
Certo! Rodrizio voleva evidentemente sbeffeggiarmi! Questo spiega perche' si e' portato un cronista.

Sono entrati, con la foga di chi vuole, privi di invito. Ma io prima li ho storditi, con il mio comportamento ambiguo, poi li ho incantati, con il didgeridoo.

Sicuramente la cosa ha funzionato su Baro, che per il resto della serata si e' limitato ad alzare la radio e a cantare, come lobotomizzato.
Meno su Rodrizio, il quale dopo un primo stato di accondiscendenza, incoraggiato anche dalla vista del mio pugnale che splendeva sotto il chiarore della luna, in un secondo momento si e' rivelato tornoacasista, come sua abitudine. Precisamente quando Baro, risvegliato per un momento da una brezza spirituale ha esclamato: andiamo ai boschi.

Cosi' non e' neanche cominciato un percorso.
Che non si e' concluso con il ritorno a casa

RISPETTIVAMENTE

dell' inconsapevole Baro che, da promotore di un' esperienza mistica, sotto la perfida influenza di Rodrizio e' andato a far parte del fronte del no,

di Irreprensibile, deluso dalla serata peggiore della sua vita,

di Rodrizio, che tornato nel suo antro, e' felice di aver scampato un altro pericolo: la cosa che più conta e' essere a casa, al caldo.