Mi siedo, su un lussuoso trono.
Mi siedo su un lussuoso trono, appoggiato al palmo della mano.
Sono così discusse le mani degli altri. Delicate, d' oro. A volte grasse. Altre volte unte di focaccia, con il prosciutto: io non posso sopportarla; la focaccia col prosciutto è la focaccia che si fa donna. E le mani sono soltanto arnesi. C' è addirittura chi tende ad attribuire alle mani delle responsabilità. E' il caso di mani pulite. E' il caso di Ponzio Pilato. Ci dev' essere una spiegazione antropologica a questa centralità delle mani. Forse per via del sassofono. Non credo che sia per via della bicicletta, che secondo la nota barzelletta può essere condotta senza mani, nè piedi, nè denti. Io li adoro, i denti. I piedi invece mi creano un certo disagio. Una certa repulsione. E pensare che esiste una, come potrei definirla, corrente di pensiero, che li studia; una specie di lettura della mano, solo che si fa con i piedi. Una bella trovata per le coppie che non hanno più niente da dirsi, e un sacco di cose da inventarsi. L' idea di base è chiara, i piedi sono il simbolo di quanta strada faremo. A nessuno oggi verrebbe in mente una scempiaggine del genere, ora l' idea della strada come ascesa personale è quanto meno demodè: la maggior parte del tempo la passiamo seduti. Per strada ci stanno i barboni. Per le mani invece c' è ancora un minimo di credibilità, una speranza. A una condizione, che non si cammini sulle mani. Le mani aprono le porte. Puntano tutto sull' impair. Stanno a vedere se succede qualcosa.